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La privacy torna di moda!

La privacy torna di moda!

16 Maggio 2019 Redazione SoloTablet
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A tentare di rilanciare il tema della privacy è stato recentemente Mark Zuckerberg dichiarando che il futuro sta nel privato. Poi ci ha pensato anche il numero uno di Microsoft con l’affermazione che la privacy è un diritto umano. Qualcosa di simile lo sostiene anche Tim Cook di Apple. Cosa sta succedendo?

Per lungo tempo ci siamo confrontati o indignati con un leitmotiv condiviso da molti: la privacy è morta! Ciò non ha mai significato che la privacy fosse ritenuta poco importante o che fosse ritenuto inutile continuare ad agire per difenderla. La rassegnazione diffusa era legata alla percezione che non ci fosse nulla da fare contro lo strapotere delle società tecnologiche e dei loro modelli di business tutti incentrati sulla raccolta (furto, trasparenza, ecc.) di dati e sulla loro analisi finalizzata a sostenere campagne marketing e promozionali. Poi però è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytics e da quel momento, qualcosa è cambiato, nelle reazioni dei media ma soprattutto nella percezione degli utenti e dei consumatori. La mutata percezione ha fatto aumentare la preoccupazione e determinato l’emergere di nuovi comportamenti che hanno iniziato a mettere in difficoltà grandi società come Facebook, determinandone cambi di strategie e forse il ripensamento dei modelli di business.

Modelli di business tutti incentrati sulla monetizzazione che nasce, per i colossi tecnologici dalla raccolta pubblicitaria e vendita di prodotti, per gli inserzionisti dalla vendita di un numero maggiore di prodotti attraverso la capacità di personalizzare messaggi comunicazionali e commerciali. Modelli costruiti, in termini di privacy, sulla furbizia che lascia agli utenti la responsabilità di definire i confini della riservatezza dei loro dati, puntando sulla loro pigrizia e smemoratezza. Una pigrizia che si traduce in complicità o passività e che fa il gioco di piattaforme tecnologiche costruite appositamente per trarre vantaggio dalla trasparenza dell’utente e dalla sua scarsa attenzione a un tema importante come quello della riservatezza dei dati che lo riguardano e che produce.

Pigrizia e passività che si traducono in complicità sembrano voluti. Gli utenti consumatori sembrano contenti che Google o Facebook utilizzino i loro dati perchè pensano che essi possano servire a migliorare la loro esperienza digitale e online. La privacy è come se fosse negata, vissuta come una noia, un’ammaccatura dello smartphone che non gli impedisce di funzionare. Vissuta come semplice disturbo la privacy diventa così elemento di lamentele ma quasi mai motivo di rivendicazioni o distacco della spina. La ricerca di convenienza prevale sulla rivendicazione di un diritto.

Se questa è la situazione si comprende bene che, i proclami sulla difesa della privacy che stanno rimbalzando da un ufficio marketing all’altro dei proprietari delle piattaforme tecnologiche, possano essere semplici proclami. Tali rimarranno se non verrà cambiato il modello di business ma anche se l’utente, il consumatore, e il cittadino non avranno compreso l’importanza di un approccio diverso alla riservatezza e protezione dei loro dati. Un approccio che dovrebbe suggerire azioni concrete per chiedere rispetto e garanzie sulla privacy e che possa valere per tutti. Un approccio diverso da quello attuale, praticato da utenti che rinunciano a essere complici della propria schiavitù, potrebbe indurre le compagnie tecnologiche a rivedere i loro approcci in termini di privacy, sicurezza dei dati ed etici. Una realtà difficile da immaginare perché queste tematiche sono complicate e di difficile soluzione. A fare la differenza però potrebbero essere gli utenti con le loro scelte di consumo e soprattutto di fiducia.

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