
L’automazione avanza e ruba posti di lavoro. Lo fa in ogni paese a economia avanzata e non risparmia nessun tipo di modello economico. I numeri dei posti di lavoro a rischio sono elevati e non sembrano poter essere compensati, a oggi dalla creazione di posti di lavoro alternativi e altrettanto numerosi.
Nel 2018 il think tank governativo cinese composto da China Development Research Foundation (CDRF), Sequoia Capital China, coadiuvati dai dati raccolti dal McKinsey Global Institute, ha svelato che l’intelligenza artificiale potrebbe andare a sostituirsi a milioni di persone che oggi svolgono attività e professioni ripetitive, sia manuali sia cognitive.
In un paese che sta investendo moltissimo in tecnologia, e in particolare nella robotica, la nuova fase caratterizzata dall’automazione costerà tra i 40 e i 50 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Il tutto nel giro di soli 15 anni. Significa che entro il 2030 robot, macchine intelligenti e tecnologie per l’automazione andranno a sostituirsi a un quinto delle posizioni attuali nel settore manifatturiero. Se l’evoluzione dell’automazione dovesse accelerare i posti di lavoro a rischio sarebbero fino a 100 milioni.
Già oggi la Cina detiene il primato dei robot industriali impiegati anche se la loro densità, considerando l’elevato numero di abitanti, è inferiore a quella di altri paesi industrializzati (quasi 70 robot per ogni 10000 lavoratori). L’automazione e la conseguente necessità di costruire robot farà crescere nuove tipologie di lavori, probabilmente però mai assimilabili al numero di lavori perduti. Per l’economia cinese il settore della robotica e dell’automazione significa in ogni caso un nuovo mercato in costante crescita con un valore che ha superato i 20 miliardi di dollari e un tasso di cresita del 65%.
Nonostante il rischio posti di lavoro, la Cina teme l’invecchiamento della sua popolazione e la richiesta crescente di aumenti salariali. Per questo ha messo in cantiere un progetto Made in China 20125 che punta a trasformare l’industria cinese con investimenti mirati sull’innovazione e sulla tecnologia.
Le prime conseguenze dell’automazione si sono già manifestate nelle zone a maggior sviluppo industriale della Cina come lo Zhaijiang e il Guangdong che hanno visto le macchine sostituire nelle aziende tecnologiche, ma non solo, fino al 40% della forza lavoro. L’automazione toccherà pesantemente anche i colletti bianchi e in particolare quelli del settore finanziario, un settore che oggi in Cina conta quasi 10 milioni di persone.
Se non si creeranno posti di lavoro alternativi e se lo spostamento verso lavori più qualificati non sarà tale da compensare i posti di lavoro perduti, la Cina dovrà affrontare, insieme a molti altri paesi che stanno investendo in automazione, una disoccupazione crescente e sempre più strutturale. La Cina avrà avrà anch’essa bisogno di investire di più in formazione e in capitale umano, una priorità nell’era dell’Intelligenza Artificiale, delle macchine intelligenti, e dei robot. Ciò potrebbe vedere il passaggio di molti professionisti a lavoratori da attività produttive ad attività creative, legate alla ricerca e alla scoperta scientifica, e all’innovazione tecnologica. Una scommessa che la Cina sembra intenzionata a fare ma senza la certezza di riuscire a vincere. In particolare nel riuscire a compensare l’elevato numero di posti di lavoro che nel frattempo saranno andati perduti.