
Solotablet sta conducendo da inizio dicembre 2012 un’iniziativa finalizzata a dare visibilità alle molte realtà italiane che hanno deciso di investire sul mercato del tablet. Molte di queste realtà sono composte da giovani neolaureati ( FullApps, AppsBuilder, ecc.) che hanno dato vita a startup ed a nuove realtà imprenditoriali con lo scopo di trovare non soltanto una via verso il guadagno e il successo ma anche per una loro affermazione professionale.
Dalle trenta interviste fin qui pubblicate emerge una difficoltà di fondo, l’accesso a fondi di investimento e a risorse finanziarie in grado di dare respiro alle startup permettendo loro di completare la realizzazione delle loro idee e modelli di business. Emerge anche l’assenza, ancora più grave, di enti istituzionali come università e centri di ricerca in grado di affiancarsi ai neolaureati per sostenerli e guidarli nei loro tentativi imprenditoriali. Problema principale la mancanza di fondi e di iniziative.
In una situazione italiana che vede una economia in recessione colpire indifferentemente tutti i ceti sociali e tutte le generazioni, verrebbe spontaneo pensare di dedicare ai giovani maggiore attenzione e maggiori risorse. Per il futuro del paese e per non perdere il contributo che le nuove generazioni potrebbero dare ad un nuovo sviluppo e ad una nuova crescita.
Nella realtà ciò non sta avvenendo. Monostante il protagonismo delle nuove generazioni ( vedi occupazioni di scuole e proteste ) e la visibilità mediatica di nuovi protagonisti della scena pubblica, come Matteo Renzi e Giorgia Meloni che puntano al coinvolgimento attivo delle nuove generazioni per renderle protagoniste del loro e nostro futuro, tutto sembra essere immobile e, in alcuni casi ad andare indietro.
Senza investimenti per le nuove generazioni però non ci può essere futuro!
E’ in questo senso che devono essere lette le notizie che in questi mesi hanno segnalato un calo diffuso di iscrizioni nelle università italiane e l’aumento preoccupante della disoccupazione giovanile arrivato al 35%.
Una situazione che si verifica anche all’Università di Bologna che vedrà per l’anno in corso un calo del 5% degli iscritti. I numeri - ancora provvisori - delle nuove immatricolazioni, sono stati anticipati dal rettore Ivano Dionigi a margine della presentazione della cerimonia che giovedì 20 dicembre inaugurerà il nuovo Anno Accademico. Per il Rettore, questo calo degli iscritti è un ulteriore effetto della crisi economica e dei tagli ai fondi pubblici.
Fermati un attimo a riflettere!
Infatti, “a Bologna sono tanti i fuori sede - ha detto il Rettore - e in questo contesto fare studiare i figli fuori, tanto più in una città cara, è un sacrificio”. Pertanto, vi sono solamente due possibilità per modificare questo trend: fermare i tagli di Tremonti al sistema universitario, oppure “togliamo dal vocabolario la parola crescita”. Infatti, “Il taglio di 400 milioni delle risorse destinate all’Università per il 2013, fissato già da Tremonti - ha detto ancora il Rettore - farà precipitare il Fondo di Finanziamento Ordinario dai 6,9 miliardi del 2012 a 6,5 miliardi: un miliardo in meno rispetto al 2009”. Se si tolgono i “costi fissi” (personale e quant’altro), restano 150 milioni di fondi pubblici per mandare avanti la didattica universitaria a Bologna, Università con 22000 iscritti.
Il grido d’allarme potrebbe essere sottoscritto dai Rettori di molte Università italiane (se non da tutti) e merita qualche breve considerazione anche su un portale come SoloTablet che punta all’innovazione e sostiene la creatività e l’ingegno delle nuove generazioni applicate in ambiti tecnologici e Mobile.
Che la crisi abbia imposto una “cura dimagrante” alla spesa pubblica, è un effetto collaterale con aspetti anche positivi. La riduzione di spesa, tuttavia, non può essere lineare e acritica, deve scegliere delle aree di intervento da salvaguardare e, possibilmente, anche da incrementare.
Per definire strategie e finanziare nuove iniziative , in mancanza di idee e progettualità, basterebbe guardare a cosa sta fecendo la Germania uno dei paesi più “rigoristi” d’Europa. L’ultima manovra economica della Germania è stata molto rigorosa, con molti tagli, ma con qualche sorpresa.
Vediamone gli aspetti principali.
- 80 miliardi di euro di risparmio fino al 2014;
- riduzione di 10 mila posti del pubblico impiego;
- riduzione del Welfare, come i contributi alle famiglie con figli;
- riduzione delle spese per la difesa (diminuzione di 40mila unità nelle forze armate);
- possibile riduzione del periodo di leva;
- ma: 13 miliardi di investimenti in ricerca e istruzione.
Che ci sia un’esigenza di rigore in tutta Europa e che le misure per attuarlo siano dappertutto molto dure (e, non è per niente detto, positive), questo è sicuro. Qualche differenza, però, è indubbio che vi sia e va fatta notare. I 13 miliari di euro per investimenti in ricerca e istruzione che la manovra tedesca presenta è, infatti, una “novità” che dovrebbe farci riflettere.
Se si vuole avere una possibilità di “crescita”, anche a crisi finita, bisogna evitare che si smantelli la filiera scuola-università-innovazione perché, se si arrivasse a questo esito, per ricostruire qualcosa di competitivo ci vorrebbero decenni.
La parola crescita non va però affidata ai soli economisti. L’era da fine dei tempi che stiamo vivendo obbliga ad un salto di paradigma. La crescita non è un concetto economico che si può ridurre a semplice annotazione numerica ma bensì un concetto culturale legato a nuove concezioni del futuro ,
Per uscire fuori dalla crisi servono gli investimenti sopra menzionati ma serve innanzitutto una capacità grande nel comprendere le conseguenze di un cambiamento di paradigma in corso, nell’osservare i fenomeni emergenti e la realtà nella quale siamo immersi e nel trarre da queste osservazioni alcune semplici leggi generali utili alle decisioni da prendere e alle scelte che devono essere compiute.
Una di queste è sicuramente la scelta della solidarietà che miri a dare a tutti i giovani, anche a quelli provenienti dai ceti meno abbienti (proletari?) l’opportunità di iscriversi alla Università. Solo così potrebbe essere eliminato il -5% di iscrizioni e si potrebbe guardare al futuro, anche con gli occhi dei neo-iscritti, con maggiore serenità.