
Non tutti si sono piegati alla catena di montaggio dei selfie o dello scatto continuo. Non avendo ceduto alla tirannia dei selfie, di loro probabilmente nel futuro non ci sarà traccia. C’è però da chiedersi quanto saranno rilevanti le tracce lasciate dalle moltitudini che oggi ingolfano la Rete con immagini sorridenti e gaudenti che non rispecchiano la realtà di vita che stanno vivendo.
Sul tema segnaliamo un interessante articolo di Giuliana Mazzoni sulla rivista online The Conversation che prende spunto da una visita all’Hermitage di San Pietroburgo resa difficoltosa dalla miriade di persone più intente a scattare foto e autoscatti che a contemplare le opere artistiche esposte. Una esperienza che ha suggerito all’autrice una riflessione sull’influenza di questi comportamenti sulla memoria e su come vediamo noi stessi.
La riflessione richiama l’attenzione al dispositivo tecnologico usato come deposito di memoria e al fatto che, affidandoci sempre più a memorie esterne, stiamo forse rischiando di mettere a rischio la nostra. Un tempo allenata e alimentata attraverso la recita di poesie, la registrazione di avvenimenti personali vissuti in prima persona e non attraverso la lente di una fotocamera o di uno smartphone.
Per chi fosse interessato a leggere la riflessione della psicologa dell’Università di Hull può leggere il suo articolo qui.