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E se fossero gli smartphone a rendere tristi i ragazzi della iGeneration?

E se fossero gli smartphone a rendere tristi i ragazzi della iGeneration?

21 Agosto 2017 Redazione SoloTablet
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La domanda sembra capziosa ma le risposte possono provocare reazioni contradditorie. A dare una risposta positiva è stata recentemente la psicologa americana Jean Twenge con il suo libro iGen. Un testo che ha sollevato numerose critiche, forse per la radicalità con cui viene sostenuta una tesi, da molti contestata.

Le narrazioni che mettono in guardia degli efftti della tecnologia sulle nuove generazioni continuano a guadagnare terreno, così come le inizitive che puntano a favorire una riduzione del tempo passato dai ragazzi con il loro smartphone. Per alcuni lo smartphone è come il cibo spazzatura, più se ne mangia  più aumentano i problemi ma anche la voglia di averne di più. Quanti sono i ragazzi di oggi in grado di smettere di verificare costantemente i loro messaggi, di scrollare le immagini sui loro display, postare commenti o MiPiace, ecc.?

Sul tema del rapporto tra ragazzi delle nuove generazioni e tecnologia la psicologa Jean Twenge, ha pubblicato di recente un libro intitolato: iGen: Why Today’s Super-Connected Kids Are Growing Up Less Rebellious, More Tolerant, Less Happy – and Completely Unprepared for Adulthood – and What That Means for the Rest of Us.

Il titolo è lungo ma il concetto che sta alla base dell'intero libro è semplice e si basa sull'interrogativo se lo smartphone non stia distruggento un'intera generazione di ragazzi. Il libro sta suscitando negli Stati Uniti molte discussioni ed è basato su numerose ricerche e indagine condotte negli ultimi 25 anni. L'autrice sostiene di non avere mai visto nulla di simile a quanto sta succedendo alle nuove generazioni e che gli effetti, in termini di depressioni, solitudine, isolamento, ecc. sono diventati fenomeni diffusi che obbligano genitori e adulti ad un esame più attento e approfondito di ciò che sta accadendo.

Il titolo del libro richiama volutamente quella che l'autrice ha definito la iGen (Generazione i) riferendosi ai nati tra il 1995 e il 2012, ragazzi che hanno passato l'intera adolescenza giocando con un dispositivo tecnologico (in media dalle sei alle 8 ore al giorno).

Alla critica che la sua visione dia forza al pensiero conservatore che vede nella tecnologia una forza eticamente distruttiva l'autrice replica di avere semplicemente dato voce ai ragazzi stessi e che è dalle loro narrazioni che emergono i problemi che la tecnologia sta producendo.

Ai genitori l'autrice suggerisce di fare di tutto per abbreviare il tempo passato davanti a un display dei loro ragazzi. Soprattutto i genitori devono diventare maggiormente cnsapevoli degli effetti che la tecnologia sta avendo sui loro figli (Genitori tecnovigili per ragazzi tecnorapidi)

 

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