tiamo scivolando in un futuro aperto a scenari apocalittici. C’è già chi scommette, se non arriverà prima l’apocalisse, che entro il 2050 dovremo comunque farci da parte. “Qualsiasi cosa ci renda umani, come il genoma o le funzioni cognitive, verrà mappata e resa virtuale dai computer [...] I nostri meccanismi non biologici avranno la meglio, mentre quelli biologici verranno meno. La coscienza, in quanto tale, sarà il risultato di una precisa combinazione di microchip e nanobot”.
Nel frattempo ciò che conosciamo come pensiero “umano” avrà già cessato di esistere.
Dal canto loro i giovani, nel preferire i social network alla propria privacy, hanno già compiuto una scelta verso un “futuro meno privato e quasi telepatico, in cui le persone conosceranno comunque l’una i pensieri dell’altra”.
Tu non sei un gadget
Douglas Rushkoff sembra non nutrire dubbi. Nel suo libro Presente continuo, descrive una umanità immersa in una dimensione onirica che ha travolto i confini tra presente e passato. Ed è pronta ad accogliere il nuovo acriticamente senza troppo rendersene conto. Quando tutto accade ora viene meno lo sviluppo narrativo del racconto. E l’essenza di ciò che siamo stati.
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