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Homo Deus: una riflessione per chi ha letto il libro di Harari

Homo Deus: una riflessione per chi ha letto il libro di Harari

04 Ottobre 2017 Redazione SoloTablet
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Homo Deus, il secondo libro Yuval Noah Harari, è diventato un successo commerciale per la notorietà dell'autore ma soprattutto dei temi trattati. Temi quali l'esistenza di Dio, la libertà e gli algoritmi e le loro interrelazioni. Il testo pone molte domande e offre alcune risposte sulle quali non tutti saranno d'accordo. Chi lo acquista sa di essersi dotato di un libro non commerciale (665 pagine) ma utile ad allargare conoscenza e conoscenze in ambiti lontani dal rumore che chiacchiericco dello storytelling digitale. La lettura è semplice, richiede un pò di attenzione e concentrazione e regala interessanti interpretazioni e visioni del mondo dominato dagli algoritmi che verrà. Il messaggio dell'autore è chiaro e si può sintetizzare nella consapevolezza che ognuno dovrebbe coltivare nei suopi rapporti con il mondo tecnologico che sperimenta ogni giorno.

In Rete lerecensioni a Home Deus sono numerose ma vogliamo segnalarne una in particolare, scritta da Ghislain Lafont dal titolo I paralogismi del transumanesimo.

Più che una recensione è una riflessione scritta per richiamare maggiore attenzione alle tesi/provocazioni contenute nel libro di Harari

Nell’aprile 2015 pubblicavo in questo blog un post dal titolo Transumanesimo e resurrezione. Il successo folgorante dell’ultimo libro di Yuval Noah Harari, Homo Deus, mi spinge ora a ritornare sulla questione.

«Le Point» del 31 agosto ha pubblicato un’intervista dell’autore che sintetizza bene il suo discorso. All’inizio vi sono due postulati negativi: due miti sono in via di sparizione, dato che perdono sempre più pertinenza, l’esistenza di Dio e la libertà individuale.

A proposito della religione, Harari dice tre cose. In primo luogo egli sostiene «che una delle caratteristiche primordiali egli esseri divini è di rendere le cose viventi». Ora, dice, «noi siamo capaci di rimodellare la vita» o di «ridefinire il codice della vita». D’altra parte, chi dice «vita» dice «morte» e le tecnologie legate all’AI (intelligenza artificiale) permetteranno precisamente di rinnovare indefinitamente la vita, di far indietreggiare e, alla fine, di sopprimere la morte. Nessun bisogno dunque di dio né della religione.
In secondo luogo Harari constata che le religioni forniscono dei criteri d’identità che permettono la costituzione di comunità, e generano, per altro verso, delle crisi. Ora, noi non abbiamo più bisogno di queste criteri: oggi le comunità politiche si costituiscono in altro modo, ovunque sia presente «lo Stato-nazione burocratico».
Le religioni – è sotto gli occhi di tutti – non hanno niente da dire né sulla vita quotidiana, regolata dalla tecnica (medica o di altro tipo), né sullo sviluppo reale della civilizzazione, dell’Intelligenza Artificiale e della genetica.

In terzo luogo, Harari lega la religione alla questione dell’autorità: la religione fornisce una finzione che giustifica un’autorità di tipo monarchico, oggi obsoleto.

 

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