
Il tema è stato ben affrontato da un Professore Associato dell’Università di Melbourne e un giornalista che scrive sul settimanale Marketing Week oltre che consulente di grandi aziende tra le quali Unilever. Nel 2015 ha partecipato con un suo intervento (disponibile anche su YouTube) al Media Forum in Canada durante il quale ha condiviso la sua visione sul valore limitato dei media sociali nel generare valore per i Brand.
Secondo Ritson la consapevolezza di questa limitatezza è in crescita e porterà nel 2016 a una visione marketing sempre più integrata e meno sbilanciata a favore dei nuovi media. Nel suo intervento, ricco si spunti e provocazioni il professore australiano si interroga sulle nuove modalità di interazione con le marche dei consumatori, sull’utilità delle applicazioni social per l’immagine e la conoscenza di una marca o di un marchio, sulla attualità del marketing digitale e molto altro.
La visione di Ritson è volutamente provocatoria e tale da generare discussioni tra contendenti variamente agguerriti.
La grandi marche non avevano bisogno dei media sociali per conquistare il cuore e la mente dei consumatori e garantirsi la loro fedeltà. Le tecnologie digitali hanno cambiato tutto, anche se non necessariamente quelle dei social network. Le nuove tecnologie obbligano le Marche a essere più creative, a sperimentare nuovi canali di comunicazione e interazione e raccontare storie capaci di creare un connessione con il cliente e alimentare la relazione con sempre nuove narrazioni e fornendo loro informazioni utili e valore aggiunto, utile a motivare le loro scelte di acquisto.
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Dall’arrivo dei media sociali molte Marche si sono limitate ad affiancare i loro loghi o messaggi con le faccine social con l’obiettivo di comunicare di essere anche loro presenti e social come lo sono i consumatori e di stabilire in quegli spazi una relazione vantaggiosa. Altre hanno investito abbondantemente in campagne mirate e costruite sfruttando al meglio funzionalità e potenzialità di spazi sociali come Facebook o Instagram.
I casi di studio e le referenze su iniziative di successo non sono numerose. In particolare in termini di ROI (Return on Investment) e di conversioni tra visualizzazioni, click e acquisti. La scarsità di successi è collegata da alcuni alla impreparazione di molti uffici marketing aziendali e alla incapacità ad adottare pratiche e modi di agire consoni ai nuovi media.
Se l’approccio continua a essere quello tradizionale l’insuccesso su un nuovo media come Facebook è garantito perchè chi lo frequenta si aspetta qualcosa di diverso. E’ una visione interessante che non contraddice la tesi del professore sui limitati benefici derivanti dagli investimenti marketing nei media sociali ma associa lo scarso risultato ad un uso inappropriato del media. Le conversazioni su marchi e Brand sui social sono spontanee e capaci di generare flussi di passaparola e referenze. I contenuti delle conversazioni associate a un Brand nascono dalle esperienze da esso condivise. Se queste esperienze sono inesistenti o inadatte a soddisfare bisogni o a catturare attenzione difficilmente diventeranno oggetto di conversazione.
Nella realtà è diffusa la pratica di presenziare le piattaforme dei social network con pagine, siti web, comunità o gruppi pensati per alimentare la conversazione e lo scambio. L’impatto di questi spazi e delle loro iniziative è stato minimo rispetto ai risultati ottenibili con approcci tradizionali, non perché i nuovi media non siano potenti e ricchi di opportunità ma perché malamente o scarsamente utilizzati. La loro proliferazione è stata determinata anche da una pubblicistica marketing e giornalistica che non è stata molto diligente nel raccontare la realtà, i fatti (i risultati ottenuti) e gli impatti o effetti dei media sociali sul business. Ad esempio che i nuovi media non eliminano quelli esistenti ma tendono ad aggiungere valore e/o a integrarsi.
Ad esempio i nuovi media offrono la possibilità ai Brand di abitare una comunità e di tenera sott’occhio per creare e rendere possibili una infinità di nuovi contatti spontanei a differenza di quelli tradizionali molto legati a pratiche tipicamente outbound e/o broadcast. L’integrazione dei due approcci o canali favorisce risultati e ritorni sugli investimenti.
Questa integrazione tra media tradizionali e nuovi è utile a tutte le tipologie di aziende. Le piccole e le medie traggono probabilmente meno utilità dai media sociali, almeno in proporzione agli investimenti in termini di denari e di tempo che dovrebbero fare per ottenere risultati tangibili che vadano al di là di nuove conversazioni e maggiore visibilità. Con un approccio integrato anche le PMI possono superare i limiti dei media sociali ma devono investire in customer service, pubbliche relazioni, attività commerciali, iniziative finalizzate a generare traffico sui media sociali e sugli spzi di presenza online con l’obiettivo di creare maggiore awareness e conoscenza del portafoglio d’offerta.
Tutta la discussione sui media sociali potrebbe rivelarsi una trappola e una inutile perdita di tempo. Ciò che interessa a Facebook, a Instagram e agli altri produttori di applicazioni di social networking sono i dati, i profili, le informazioni sui comportamenti degli utenti. L’interesse per il numero di connessioni, di click, di Like è minore. Il modello di business si basa sulla vendita di questi dati a società di marketing o aziende che sanno come utilizzarli. Il limite dei media sociali sta quindi nel frequentarli e praticarli senza avere compreso il loro modello di business.
Questa ignoranza porta a investimenti in direzioni sbagliate e con risultati deludenti. Entrare in possesso di dati e informazioni e dei profili così come dei contenuti delle conversazioni potrebbe trasformarsi in potente strumento di conoscenza utile per iniziative marketing profilate e personalizzate. Queste iniziative potrebbero essere tradizionali ma trarre grande vantaggio dall’uso fatto dei media sociali per prepararle e organizzarle. Un altro vantaggio per le aziende deriva dall’uso dei media sociali come strumenti di customer service e di informazione verso il consumatore.