
Chi non si interroga sulla riservatezza dei propri dati in Facebook e le continue violazioni alla privacy probabilmente non sarà in grado di comprendere cosa sta avvenendo con la diffusione delle soluzioni delle Internet degli Oggetti. Cose (things) sempre connesse e capaci di raccogliere quantità incredibili di informazioni e di dati e di condividerli grazie al loro essere connessi alla Rete e interconnessi tra di loro. Chi già oggi si interroga sullo stato di salute della sua Privacy online ha ora nuove motivazioni per nuove riflessioni sulle implicazioni che la diffusione delle IoT avranno sulla riservatezza dei consumatori/cittadini. La risposta può stare nel negare il problema o nell’arrendersi all’evidenza che una privacy individuale non è più possibile.
E’ ormai un fatto, consolidato dalle abitudini dei consumatori, che non si leggano le informazioni fornite unitamente ai prodotti venduti. Molte di queste informazioni devono essere lette online e in ogni caso nessuno legge completamente la documentazione allegata che spesso comprende anche le norme contrattuali legate alla riservatezza dei dati personali e sensibili. Nulla di grave se il prodotto acquistato è un apparecchio domestico facile da far funzionare. Molto grave se l’oggetto acquistato fosse un giocattolo sessuale, un vibratore dotato di funzionalità tutte da sperimentare ma anche della capacità di inviare informazioni utili per l’ufficio marketing su chi lo usa, su quando e come lo usa. Se i consumatori fossero consapevoli fino in fondo dei potenziali effetti negativi della loro negligenza nel leggere e definire i confini della visibilità concessa sulle informazioni personali, probabilmente presterebbe maggiore attenzione alla privacy e alle sue potenziali violazioni o semplice all’uso che viene fatto delle informazioni raccolte.
Il senso della vita
L’esempio del vibratore è estremo ma serve a illustrare bene il futuro prossimo venturo di dispositivi, oggetti casalinghi, veicoli, prodotti tecnologici indossabili tutti tra loro interconnessi e capaci di condividere informazioni, di analizzarle e di usarle, sia per “tenere sotto controllo” comportamenti, abitudini, vizi e stili di vita ma anche per promuovere nuovi prodotti con campagne personalizzate.
Il tema è quello della Privacy, del suo ruolo nella vita delle persone e della società e dell’importanza di una consapevolezza sui suoi potenziali effetti collaterali. Il tema vero però dovrebbe essere l’informazione e la conoscenza di una tecnologia di cui quasi il 90% della popolazione (rilevazione relativa al mercato più avanzato, quello americano) non sa neppure cosa sia. Tutti si dicono preoccupati della continua digitalizzazione della vita quotidiana e ora anche degli oggetti fisici ma pochi o nessuno sembra in grado di coglierne le implicazioni e di reagire in modo adeguato. Tutti o quasi sono a disagio con l’uso che i media digitali fanno dei loro dati ma pochi sanno quali misure e contromisure adottare per difendersi.
Per difendersi ogni persona dovrebbe conoscere il viaggio che l’informazione prodotta tecnologicamente fa e come viene usata. E’ un viaggio che parte da un dispositivo hardware per poi incanalarsi verso altri lidi attraverso Internet o una APP, per essere memorizzata in banche dati e archiviata e forse anche condivisa immediatamente con terze parti di cui non si quasi mai a conoscenza. Al termine del viaggio, se ne esiste uno, persino gli utenti più esperti non saranno in grado di sapere dove le loro informazioni sono state conservate.
Vista l’utilità del servizio di archiviazione, sempre più spesso in cloud computing. Interrogarsi sulla riservatezza delle informazioni potrebbe essere un esercizio capzioso. I dati potrebbero ad esempio servire in futuro per diagnosticare e prevenire malattie e patologie o per fornire qualche forma di aiuto al consumatore/utente. Da questi dati potrebbero trarre vantaggio i produttori impegnati a migliorare la loro offerta, la customer retention la soddisfazione della clientela. In assenza di normative adeguate e legislazioni nazionali l’uso di questi dati si presta però ad abusi correnti e frequenti, il primo e più semplice di tutti quello della condivisione con terze parti di dati concessi privatamente e per usi limitati. Di questa assenza approfittano una miriade di società che hanno compreso quanto i dati e le informazioni siano diventati un altro oro nero e per il quale sono disponibili a ingaggiare battaglie e guerre future sempre più competitive e aggressive.
Non è necessario scomodare il grande fratello di orwelliana memoria ma è ormai una fatto che le persone sono circondate e immerse in ambiti di videosorveglianza e controllo tecnologico diffuso e pervasivo, soprattutto grazie alla miriade di sensori che popolano miliardi di smartphone e ora anche di altri oggetti, più o meno intelligenti ma sempre connessi e sempre attivi nella raccolta dati. Il tutto è aggravato dalla mancanza di regolamentazioni e da etiche e culture diverse che si prestano all’interpretazione e all’abuso, ad esempio su argomenti come la trasparenza e visibilità.
Perso ormai il controllo dei propri dati, al consumatore non resta che sperare nell’arrivo di normative adeguate e nel loro rispetto da parte dei produttori e media tecnologici e di chi usa i loro prodotti per la raccolta dati. Abituati a portarsi appresso il loro smartphone i consumatori sono diventati disattenti sulle informazioni da loro prodotte e su come possono essere usate. Il diffondersi delle Internet delle Cose, non solo smartphone ma anche router, braccialetti per la fitness, elettrodomestici 2.0, televisori ecc., sono diventati veri e propri computer dotati di un loro sistema operativo e di applicazioni. Le reti non sono solo rese possibili da componenti hardware capaci di interconnettersi ma soprattutto di milioni di righe di codice tra di esse interagenti e integrabili ma anche potenzialmente vulnerabili con rischi per la sicurezza.
Considerando che l’unica soluzione possibile, il distacco della spina e l’isolamento radicale da ogni vita online, in realtà non è praticabile non rimane che lo sviluppo di nuove forme di consapevolezza sul fatto che i dati e le informazioni personali continueranno a essere ricercate, raccolte e usate e usare la conoscenza prodotta per attivare forme di resistenza passiva o di azioni proattive finalizzate alla difesa e alla sicurezza personale.