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Il lavoro “agile” o smart alla prova dei fatti

Il lavoro “agile” o smart alla prova dei fatti

08 Marzo 2016 Gian Carlo Lanzetti
SoloTablet
Gian Carlo Lanzetti
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Una indagine di InfoJobs (società di recruiting) indica che solamente il 28,5% delle aziende ha in programma l’implementazione di politiche di smart working nei prossimi 3 anni. Però un po’ tutte le organizzazioni, pubbliche e private, ne stanno valutando benefici e limiti.

Lo smart working, di cui il tablet è spesso uno dei componenti tecnologici più importanti, è uno dei temi più caldi del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro e sulle forme organizzative più efficaci per conciliare produttività ed equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Se fino a qualche anno fa l’effettiva applicazione di politiche di smart working era resa difficile dalla limitata disponibilità di strumenti adeguati al lavoro da remoto, oggi, grazie alla rivoluzione digitale e alla piena diffusione di device mobili e strumenti cloud, il lavoro agile è finalmente una prospettiva concreta per milioni di lavoratori. Anche il Parlamento si sta interessando al tema, tanto che in Senato inizierà a giorni la discussione su un disegno di legge che mira a fare chiarezza su una disciplina rimasta finora ai margini delle diverse riforme del mercato del lavoro susseguitesi negli anni. In questo contesto di crescente interesse InfoJobs, principale realtà italiana nel settore del recruiting online per numero di offerte di lavoro, traffico Internet e numero di CV in database, ha chiesto ad aziende e lavoratori cosa ne pensano della prospettiva di adottare politiche di lavoro agile in una survey cui hanno preso parte oltre 40.000 lavoratori e 400 aziende.

Da questa indagine emerge un quadro sfaccettato, in cui aziende e candidati restituiscono la complessità di una tematica in cui cultura aziendale, tecnologia e normativa si intersecano, in uno scenario in cui il legislatore sarà chiamato a mettere ordine. Il dato più evidente è la scarsa conoscenza dei contenuti sulla proposta di legge che sarà all’esame del Parlamento: il 63,8% delle aziende e il 92,7% dei candidati non conoscono i contenuti della proposta di legge (39% delle aziende e 62% dei candidati non sanno nemmeno che esista una proposta di legge). Solo l’8,1% delle aziende e il 7,2% dei candidati ne conosce approfonditamente gli elementi.

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I due target concordano invece sull’impatto positivo dello smart working nella produttività e nell’equilibrio tra vita privata e lavoro: il 36,8% dei candidati e il 25,6% delle aziende afferma che migliorerebbe le condizioni lavorative dei dipendenti, la loro motivazione e inciderebbe positivamente sulla produttività, a cui si aggiunge il 49,7% di candidati e il 63,3% delle aziende secondo cui potrebbe in alcuni casi portare a dei benefici anche se non in tutti i settori. Solo l’11,1% delle aziende e il 13,5% dei candidati pensa che lo smart working non porterebbe vantaggi in termini di produttività.

Sempre secondo la survey condotta da InfoJobs, ad oggi il 44,2% delle aziende utilizza il lavoro agile, ma in maniera strutturata solo il 13,6%, a cui si aggiunge il 30,6% del campione che adotta politiche di smart working solo in alcune aree. Dal punto di vista dei candidati, le percentuali sono ancora più nette con il 78,5% degli intervistati che dichiara di non essere al corrente di politiche di smart working nella propria azienda, a cui si oppone l’11,6% del campione secondo cui il lavoro agile viene adottato in alcuni casi isolati e solo il 7,8% nella cui azienda c’è una politica di lavoro agile strutturata di cui tutti i dipendenti sono a conoscenza. I motivi alla base di questa situazione sono la mancanza di una normativa certa sul tema (per il 37,2% delle aziende) o del supporto tecnologico necessario (18,6%).

Sull’aspetto tecnologico emerge inoltre come il 49% delle aziende non reputi la propria struttura pronta, dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, a implementare politiche di smart working, percentuale che sale al 68% dal punto di vista dei candidati. Per quanto riguarda la motivazione dei lavoratori, il 39,9% dei candidati si dice disposto a lavorare in smart working, convinto che orari più flessibili inciderebbero positivamente sulle prestazioni. Oltre alle performance, anche l’impatto sulla vita privata gioca un ruolo importante, con il 32,7% dei candidati che accetterebbe di lavorare in smart working proprio per gli effetti positivi che questa modalità avrebbe sulla vita familiare. Solo il 23% dei candidati lo reputa deleterio, motivando però il rifiuto del lavoro agile con la volontà di tenere separati lavoro e vita privata.

 

Quadro incerto

Se questo è lo status quo, qual è la prospettiva immediata per lo smart working nelle aziende italiane? I risultati della survey mostrano che solamente il 28,5% delle aziende ha in programma l’implementazione di politiche di smart working nei prossimi 3 anni (percentuale che scende all’11,8% se si parla di un arco temporale di 5 anni). Il 46,2% del campione afferma, invece, che non implementerà questa modalità di lavoro. Le ragioni di questa chiusura risiedono per il 34,1% dei datori di lavoro nella natura del settore in cui opera, che sarebbe incompatibile con il successo del lavoro da remoto; per l’8,6% del campione il motivo è invece la mancanza di abitudine a lavorare in autonomia che porterebbe a una perdita di produttività.

Anche nella prospettiva di approcciare una nuova realtà lavorativa, la prospettiva di una maggiore flessibilità può giocare un ruolo importante, tanto che il 17,5% dei candidati accetterebbe condizioni economiche meno favorevoli a fronte della possibilità di lavorare in smart working, a cui si aggiunge il 39,2% del campione che a parità di offerta economica sarebbe incentivato nella scelta di un’azienda dalla possibilità di lavorare da remoto. Dello stesso avviso il 34,4% dei datori di lavoro, secondo cui è un elemento differenziante a cui sempre più lavoratori guardano con interesse, a cui fa eco il 48% del campione secondo cui costituisce un incentivo, anche se il grado di responsabilità e le condizioni economiche sono più importanti nell’attrazione e ritenzione dei migliori talenti. Di parere contrario il 43,3% dei candidati, per cui questa prospettiva non costituirebbe un incentivo nella scelta di un nuovo lavoro, e il 17,6% dei datori di lavoro, che non crede sia un elemento differenziante nell’attrazione e ritenzione dei talenti.

 

 

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