Lavoratori invisibili e AI
All'insaputa dei più e senza che la narrazione prevalente ne tenga un gran conto, dietro la realtà delle intelligenze artificiali si è diffuso e sta crescendo una realtà fatta di lavoratori, colletti bianchi, invisibili. Lavoratori che si fanno carica di districare problemi che le intelligenze artificiali non sono ancora in grado di risolvere nel gestire i dataset e le informazioni di cui possono disporre. Una incapacità che si manifesta nel recuperare, riconoscere e interpretare i dati che servono impedendo scelte e decisioni e che per questo sono delegate a persone reali. Persone che devono però rimanere nell'ombra per non intaccare la percezione delle masse e la retorica dei media e dei sacerdoti della chiesa laica tecnologica sulla potenza delle intelligenze artificiali.
Ciò che colpisce e impedisce di riflettere a fondo sulle realtà mediate tecnologicamente nelle quali siamo immersi è che non passa settimana senza che i media ci raccontino novità mirabolanti sulle intelligenze artificiali, sulla loro capacità di apprendere (machine learning), di parlare e apprendere tar di loro (deep learning), sugli algoritmi di cui sono composte. I racconti tendono tutti a evidenziare come un numero crescente di attività umane siano sostituite o sostituibili da parte di intelligenze artificiali e macchine intelligenti. Che robot, macchine intelligenti stiano sostituendo molti lavori manuali e cognitivi è una realtà ma la narrazione che ne viene fatta crea manipolazione, disinformazione e misinformazione. Il fatto che come utenti non possiamo vedere gli umani che stanno dietro o collaborano con le intelligenze artificiali, non significa che non ci siano. E non stiamo parlando degli ingegneri, dei costruttori di software e dei matematici o filosofi che generano logiche applicative e algoritmi. Si fa riferimento a una miriade di persone che operano dietro le quinte e senza il cui operato le intelligenze artificiali apparirebbero meno intelligenti di quanto non vengano raccontate e sono percepite.
Il Turco Meccanico contemporaneo
Queste persone, reali anche se invisibili, sono impegnate per emulare le macchine cosiddette intelligenti (AI). Lavorano per Facebook, Google, Amazon (non casualmente l'ambito di intervento umano è denominato Amazon Mechanical Turk), ecc.. Sono impegnate nel controllare, valutare, correggere, fare delle scelte e prendere decisioni, per sostenere le intelligenze artificiali nelle loro attività di machine learning, ma usando un cervello umano. L'utente Amazon, ma anche gli storyteller dianetici che si sono fatti carico della narrazione vincente della multinazionale tecnologica più potente al mondo, continuano a meravigliarsi e a celebrare la qualità degli algoritmi intelligenti che guidano l'utente nelle sue scelte di acquisto, ma ignorano o fingono di ignorare che dietro la facciata delle videate digitali ci sono migliaia di persone che, con i loro click, aiutano i clienti. Con l'obiettivo di soddisfare i loro bisogni ma soprattutto gli obiettivi dell'azienda per la quale lavorano.
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Per accettare come verosimile questa narrazione sulla presenza di lavoratori invisibili che rendono intelligenti le intelligenze artificiali bisogna conoscere come funziona il machine learning che le caratterizzano. Molti algoritmi di machine learning sono costruiti su modelli statistici che imparano come e cosa fare analizzando grandi quantità di dati di cui vengono alimentati.
"Il paradosso di Michael Polanyi evidenzia come la conoscenza umana vada molto più in là di quanto esplicitamente comprensibile dalle persone stesse, ponendo un paletto tuttora insormontabile anche per la più avanzata intelligenza artificiale. Molte cose semplicemente le facciamo, senza pensarci e senza averne chiara la struttura logica causale."
Chi sviluppa questi modelli si affida a quello che è noto come il paradosso di Polanyi che si basa sull'idea che noi umani conosciamo molto più di quanto possiamo raccontare di sapere perché molta parte della nostra conoscenza è tacita. Conoscenza tacita che, per quanto triviale possa essere, come tale non può essere programmata e/o trasformata in software e in codice algoritmico. L'algoritmo può essere molto sofisticato ma senza imparare e senza pratica rimarrà sempre inadeguato e, in alcuni casi, anche inutile o inefficiente. Per di più se i dati di cui l'algoritmo, cosiddetto intelligente, sviene nutrito è spazzatura, il risultato sarà anch'esso spazzatura.
Uno dei problemi noti è la difficoltà dell'algoritmo a riconoscere i doppioni delle pagine dei prodotti (Amazon) o identificare l'immagine che serve tra quelle disponibili (Google, Facebook, ecc.). L'esempio è quello di intelligenze artificiali preposte al packaging industriale che potrebbero avere difficoltà a determinare se sui nastri trasportatori che alimentano l'impacchettamento dei prodotti sia finito, inavvertitamente, per errore o casualmente, qualcosa di diverso da ciò che è previsto. L'inefficienza nasce dalla difficoltà a etichettare nel modo corretto/adeguato i molti dati disponibili: foto per il riconoscimento algoritmico, registrazioni per il riconoscimento linguistico, testi per ciò che è noto come sentimenti analysis.
Ecco allora che si ricorre all'intervento umano. Un intervento che non è solo svolto da lavoratori invisibili che affiancano le intelligenze artificiali ma anche da tutti gli utenti coinvolti, per esempio, nelle verifiche del reCAPTHA di Google. In pratica tutti lavoriamo gratis, forniamo lavoro interamente non pagato e poi ci facciamo anche promotori e storyteller delle MARCHE che, per le loro intelligenze artificiali, ci hanno 'sfruttato'. Lo sfruttamento reale, per salari e condizioni di lavoro, è quello di migliaia di lavoratori, spesso localizati in Cina (leggete qui per saperne di più) o in paesi africani. Lavoratori invisibili sono anche coloro che operano sulle piattaforme di crowdworking come quella nota come Amazon Mechanical Turk di Amazon che punta sulla disponibilità di molte paersone ad avere una entrata extra, seppure minima, per l'erogazione di servizi utili a far funzionare i suoi algoritmi e le sue intelligenze artificiali.
I lavoratori invisibili da non dimenticare
Mentre la narrazione corrente descrive le potenzialità e qualità di entità digitali, incorporee, avanza una nuova classe di lavoratori, meglio di colletti bianchi, con skill limitati e disponibili per tipi di lavoro non qualificato, capaci di fornire i servizi di cui i proprietari di molte piattaforme tecnologiche hanno bisogno nelle loro filiere produttive. Il lavoro umano non è solo necessario ma ben accetto perchè il paradosso di Polanyi insegna che, anche con skill limitati, un essere umano ha pur sempre maggiore facilità di risolvere alcuni problemi rispetto a una macchina. Non male, soprattutto se il costo del suo intervento può essere mantenuto molto basso.
La riflessione di tutti dovrebbe focalizzarsi sulle promesse raccontate delle intelligenze artificiali ma più ancora sulle nuove tipologie di sfruttamento messe in opera nei confronti di persone, esseri umani, che probabilmente non hanno altre alternative di reddito e sono quindi ricattabili. Il loro lavoro è invisibile, è tenuto voluatemnte nascosto, spesso attraverso esternalizzazioni e collettivizzazioni, offuscato da interfacce tecnologiche e algoritmi dei quali l'utente della rete o del dispositivo tecnologico ha scarsa conoscenza e consapevolezza. Questa tipologia di lavori non può essere facilmente regolamentato, sfugge anche a sindacati e entità sozili impegnate nel creare condizioni di lavoro più umane. Il nascondimento, anche dentro lo storytelling dei media, è necessario anche per evitare una presa di coscienza da parte degli utenti nella loro veste di consumatori. Una loro maggiore conoscenza, consapevolezza e responsabilità potrebbe mutare i loro comportamenti e le loro scelte di acquisto.