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Apple: il disincanto viene dalla Cina

Apple: il disincanto viene dalla Cina

08 Gennaio 2019 Redazione SoloTablet
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Fine dell’incantesimo, certamente non la fine di una Marca. Il disincanto si è manifestato in percentuali sul listino borsistico ma non solo. La causa dei problemi è stata trovata in Cina ma la verità è che molti consumatori hanno aperto gli occhi o hanno iniziato a fare scelte diverse da quelle che si fanno quando si è soggetti a una ipnosi che dura da tempo. Ciò che sta capitando a Apple interesserà anche altre grandi aziende tecnologiche. Per altri motivi ma tutto si tiene e come tale va analizzato.

L'anno del disincanto

Per capire ciò che è successo ad Apple a fine anno 2018 bisogna riflettere sull'anno appena passato.

Il 2018 è stato l’anno del disincanto e della maggiore consapevolezza sul ruolo assunto e sul potere acquisito dalle grandi aziende tecnologiche da alcuni (Andy Webb nel suo libro di prossima pubblicazione  in Italia The Big Nine) connotate con l’acronimo di G-MAFIA per indicare le sei americane (Google, Microsoft, Apple, Facebook, IBM e Amazon) a cui andrebbero aggiunte le cinesi Baidu, Alibaba e Tencent (indicate dalla Webb con l'acronimo di BAT (pipistrello). Facebook si è impantanata nel caso Cambridge Analytica e dalla palude non è ancora riuscita a uscire. Google e gli altri stanno affrontando la protesta crescente dei loro dipendenti che chiedono il cambiamento delle policy aziendali (stipendi, discriminazioni di genere, privacy, ecc.) e la consapevolezza emergente di consumatori e utenti che stanno cominciando a valutare gli effetti della trasparenza dei dati e delle tracce che lasciano in giro nella Rete e dai quali le aziende tecnologiche traggono vantaggio. 

I primi (dipendenti) e i secondi (i consumatori) hanno iniziato a comprendere meglio il potenziale politico che sta dietro la raccolta di dati e informazioni da parte delle principali aziende tecnologiche. La maggiore consapevolezza ha cambiato la loro percezione del sogno visionario e libertario della Silicon Valley iniettando una buona dose di scetticismo e di disillusione sul fatto che possa essere realizzato a vantaggio dei molti. Il sogno è svanito sotto i colpi degli a algoritmi di Facebook, degli usi della sua piattaforma da parte di società come Cambridge Analytica ma anche di progetti come Dragonfly con cui Google si stava impegnando a sviluppare un progetto di motore di ricerca censurato, a vantaggio del governo cinese e a tutto svantaggio dei suoi governati.

Le numerose denunce che negli Stati Uniti hanno interessato le aziende tecnologiche non hanno scalfito la loro marcia verso il monopolio ma hanno rotto il giocattolo e fatto svanire l'effetto magnetico e ipnotico delle loro promesse. In quest'ottica va letto anche il declino dell'iPhone e la situazione di difficoltà di un'azienda come Apple che più di tante altre ha incarnato il sogno della Silicon Valley, costruito sull'innovazione, ll lusso e il glamour, ma anche sulla visione del mondo.

Si apre una nuova fase

Il tonfo di Apple in Borsa non è che la cartina di tornasole di una realtà in fase di cambiamento, non solo nel mercato tecnologico ma nell’economia globale. Non a caso gli invitati di pietra delle perdite annunciate da Apple sono la Cina e gli Stati Uniti. Il problema però non è solo la guerra dei dazi in corso, la Cina sta vivendo un momento particolare della sua crescita che dura da anni. Il suo debito pubblico è stratosferico, l’economia sta rallentando e forse è già nascostamente in recessione. Normale quindi che la spesa dei consumatori diventi più nazionalista e soprattutto si rivolga a prodotti dai prezzi inferiori rispetto a quelli premium di prodotti come l’iPhone (in Cina l’iPhone costa 900 dollari, uno smartphone con tecnologie, design e funzionalità simili ma prodotto in Cina ne costa 300). 

iPhone e mercato smartphone 

La Cina e la sua economia non spiegano però il tonfo di Apple. Conta anche il rallentamento nelle vendite di iPhone, il prodotto che è per Apple la vera mucca da mungere per accumulare fatturati e profitto. L’iPhone non tira più come prima ma è l’intero settore che è in fase di raffreddamento e rallentamento. I consumatori dilazionano nel tempo l’aggiornamento dei loro dispositivi Mobili e lo fanno anche se lo smartphone posseduto è un iPhone. Un prodotto spesso acquistato come status symbol e che forse, in un periodo di elevata incertezza, calo del reddito e probabile rallentamento recessivo dell’economia globale, non attira più come prima o semplicemente costa troppo. 

L’essere uno status symbol non è servito all’iPhone per durare a lungo come durano a lungo altri marchi di aziende che operano da anni nel mercato del lusso. Probabilmente perché la concorrenza non è rimasta ferma e ha portato sul mercato prodotti con funzionalità, design e qualità altrettanto elevate, e a prezzi inferiori. Nel tempo ciò ha finito con l’erodere il mito della Mela come sinonimo di qualità e innovazione e a rendere meno valide le motivazioni che spingevano molti consumatori a sborsare un prezzo premium pur di avere un iPhone. Soprattutto se l’iPhone, nelle sue ultime apparizioni nelle vesti di nuovi modelli, compreso l’iPhone X, non ha fatto altro che aggiungere miglioramenti senza proporre nulla di nuovo che potesse incantare o tenere alta l’eccitazione e alimentare l’ipnosi o l’incantamento da seduzione. 

Prezzi elevati e bulimia di profitto

I prezzi elevati e l’elevatissimo profitto che garantiscono non sarebbero neppure giustificati per un’azienda che sembra puntare sui servizi. Nel frattempo però agiscono psicologicamente nel processo decisionale di acquisto di molti consumatori che non riescono più a spiegarsi il gap di prezzo esistente tra smartphone con funzionalità e qualità tra loro simili.

Questa percezione non li spinge necessariamente (la migrazione da Android a iOS è comunque calata) a sposare l’ecosistema Android ma ritarda nel tempo la scelta di sostituire il dispositivo con uno nuovo, soprattutto in assenza di aggiornamenti sostanziali o grandi innovazioni. Se la strategia di Apple continuerà a basarsi sul modello di business corrente, l’azienda dovrà trovare il modo di combinare il prezzo premium con il nuovo sentire dei loro clienti-consumatori. Dovrà farlo anche in Cina dove i consumatori sono meno raggiungibili e indottrinabili da campagne Facetime e Messenger e più disposti ad esserlo per quelle che passano su piattaforme cinesi come WeChat, Alipay ed altre.

Una crisi che viene da lontano

Le difficoltà sul mercato cinese vengono da lontano. In Cina quasi tutti i consumatori usano WeChat, un miliardo di cinesi lo fanno spendendo sino a quattro ore al giorno con l’applicazione. Una piattaforma che in pratica sostituisce il sistema operativo dei dispositivi rendendo irrilevante l’suo di Android o iOS. Una piattaforma che unisce insieme in modo potente e intelligente le funzionalità di Facebook (social), YouTube, WhatsApp, Spotify, PayPal e Netflix. In Cina non esiste un ecosistema Apple ma ne esiste uno WeChat e questo fa la differenza, anche nell’orientare le scelte di acquisto dei consumatori. La Cina è cresciuta tecnologicamente in modo esponenziale e oggi non ha bisogno di boicottare i prodotti americani perché li può usare semplicemente per far funzionare le sue piattaforme come WeChat. In questo contesto l’iPhone è diventato un semplice oggetto di lusso, esibibile da chi fa dei marchi della Apple uno status symbol da affiancare ad altri oggetti di lusso di cui però disporre. 

Tutte le riflessioni in corso sul crollo di Apple in borsa stanno avvenendo in un mercato che ha comunque visto la vendita, nell’ultimo trimestre del 2018, di quasi 70 milioni di iPhone. E’ però un fatto che l’iPhone vende meno ed è in declino proprio sul mercato sul quale Apple contava di più. In altri mercati come quello statunitense, canadese, tedesco, spagnolo e italiano Apple è fiduciosa di continuare a mantenere i suoi obiettivi di vendita e di fatturato. Ma bisogna credere alle dichiarazioni dell’azienda che ha deciso di non rendere più noti i dati di vendita dei suoi prodotti di punta. 

Anche Apple ora propone sconti

Nel frattempo i fan della Mela possono scoprire con sorpresa e soddisfazione le numerose promozioni che Apple propone con una generosità mai mostrata precedentemente. Nessuna campagna di saldi ma un segnale della percezione che qualcosa nella strategia del mercato al consumo ha bisogno di essere ripensato. Anche per evitare che quanto successo in Cina (-25% di fatturato in un trimestre e scivolamento dell’iPhone al quinto posto della classifica degli smartphone più venduti) possa accadere anche in altri mercati e in USA. 

Cosa succede quando il giocattolo si rompe

Il tonfo in borsa nel frattempo ha dato origine a una infinità di narrazioni e riflessioni. Tutte evidenziano che qualcosa nel giocattolo Apple si sia rotto e che la mitologia sapientemente costruita da Steve Jobs non sia più sufficiente a garantire che la favola continui. I segnali che arrivano dal mercato dicono che molti consumatori non riescono più a trovare motivazioni valide per nuovi aggiornamenti dell’iPhone che posseggono a prezzi troppo elevati e quasi irritanti per la clienti fedeli da sempre. L’irritazione colpisce anche le nuove generazioni, brutto segno per un’azienda che ha fatto dell’innovazione e dell’immagine i suoi punti di forza. 

Quello che sta succedendo a Apple non va sottostimato. E’ un segnale che è stato mandato a tutte le aziende tecnologiche che lavorano da tempo al monopolio globale. Il segnale indica che nulla dura per sempre, anche nel marketing e in economia. Ai periodi di gloria e di successo seguono quelli di crisi e di declino. Le varie fasi sono spesso dettate anche dai cambiamenti che avvengono nelle teste delle persone, dalle loro percezioni sulla situazione economica, dai loro stili di vita e comportamenti di acquisto. Ma anche dalla maggiore o minore consapevolezza da essi raggiunta sul ruolo e il potere che i potenti di turno hanno assunto e che potrebbero mettere a rischio libertà ritenute inviolabili. Libertà la cui difesa può portare a scelte diverse, anche come consumatori.

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