Il 23 settembre si è tenuto a Milano Banking Summit 2015, probabilmente il principale evento italiano dedicato ad approfondire il tema della trasformazione bancaria in corso, da un lato a causa dei nuovi scenari competitivi che si aprono con l’Unione Bancaria europea, ma dall’altro a causa anche della accelerazione impressa dall’innovazione digitale, che inciderà profondamente sui modi di “fare banca”. Le sfide, emerse dall’evento organizzato da The Innovation Group (Tig) sono molteplici: riguardano il recupero di produttività, la difesa del portafoglio clienti, la interazione con gli stessi resa possibile dall’innovazione tecnologica, la gestione del rischio imposto dal regolatore europeo, gli attacchi dei nuovi player (a livello mondiale l’esempio più calzante è Apple) in alcune segmenti dei servizi finanziari, dai pagamenti mobile all’Alternative Finance.
Il Summit, innanzitutto, ha confermato per il nostro sistema bancario un ritrovato equilibrio rispetto a un anno fa. Le esigenze di capitali, per le strutture patrimoniali, sono diminuite e le prospettive appaiono meno cupe, in alcuni ambiti anche positive. Ma a tormentare i sonni del top management dei nostri istituti di credito (la situazione europea non appare molto diversa) è il problema della digitalizzazione. Si fa abbastanza o si potrebbe fare di più? Una cosa è stata compresa. L’innovazione informatica sta toccando tutte le aree dell’attività bancaria imponendo scelte sistemiche. Una conferma in tal senso è venuta da una fonte autorevole come Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, per il quale le tecnologie come la mobility, il big data, il cloud e il social portano o costringono a un ripensamento di tutte le attività bancarie, dai processi alla interazione con i clienti. Anzi il messaggio è ancora più pregnante: la digitalizzazione sta determinando una riqualificazione di tutto il mercato dei servizi finanziari.
La banca digitale si staglia sempre più all’orizzonte ma il cammino è ancora lungo e impervio. Anche perché non ci sono solo sfide tecnologiche per le banche anche se queste hanno o dovrebbero avere carattere prioritario. Per fortuna, ha aggiunto De Gregorio, si sta uscendo dalla recessione e per il credito si annuncia un 2016 con un tasso di crescita negli impieghi. Aspetti che dovrebbero consegnare più tempo anche all’analisi dei disegni per il funzionamento della macchina digitale. Per intanto se si volesse studiare un caso di banca digitale Tig suggerisce Garanti Bank, un istituto della Turchia (la cosa ha un po’ dell’incredibile) che ha online ben il 91% dei suoi 5,3 milioni di clienti (di questi 2,1 milioni fanno transazioni in mobilità) e realizza il 30% di tutti i contratti in modalità “pure digital”.
Senza dimenticare, come puntualizza Gennaro Casale, Partner e Managing Director del The Boston Consulting, che il digitale rappresenta anche per le banche tradizionali un’occasione di diversificazione del business, quindi di una possibile profonda modifica nella segmentazione della clientela. In ogni caso, aggiunge Don Koch, Country Ceo di ING Bank Italia, “Il digitale non è una opzione ma deve diventare un elemento topico nelle strategie bancarie, anche per contrastare le banche digital native che stanno proliferando in vari modi”.
I diari nell’era digitale
Ma le grandi banche italiane che stanno facendo per la digital transformation? Hanno budget specifici? Non sono arrivate testimonianze illuminanti al riguarda a quanto è dato di interpretare dalle cose ascoltate durante il Summit. La sensazione è che dei budget più o meno mirati ci siano ma ancora non c’è certezza e soprattutto si preferisce navigare a vista, come si suol dire, e soprattutto su progetti particolari e delimitati. Ad esempio, la notizia è stata data da Massimo Tessitore, Responsabile Direzione Multicanalità Integrata di Intesa Sanpaolo, la sua banca ha si varato un piano di transformation ma in un’ottica multichannel, in quanto individuato come modello vincente, quanto meno nel breve termine. Con il che spingere la clientela verso il digitale, con il coinvolgimento in questo progetto di fornitori esterni (risulta difficile immaginare un procedere diversamente). Insomma le strategie del 2.0 non mancano a livello di istituti finanziari ma sembrano limitative. Ad esempio quella di Unicredit, illustrata durante l’evento milanese, da Massimo Milanta, Group Chief Information Officer e Chief Security Officer di Unicredit, si basa su tre pilastri. Il primo, una conferma, è rappresentato dalla multicanalità, da far evolvere in modo più organico di quanto fatto finora e con nuovi prodotti; il secondo pilastro è quello dei nuovi prodotti per tutta la banca, da sviluppare sulla base dell’analisi dei big data; c’è poi anche la digitalizzazione del back office, spesso trascurata perché ritenuta non d’impatto e di immagine. Per cogliere al meglio questi obiettivi Milanta ha anticipato la creazione di un Centro di expertise sui big data per tutto il gruppo (molto esterofilizzato), da portare avanti unitamente al tema della data governance per la gestione dei flussi informativi. Altri aspetti all’esame del management sono quelli degli skill e dell’uso delle terzi parti, ovvero di due capitoli degli investimenti sempre più importanti. Insomma una testimonianza di riallineamento dell’It e di sensibilizzazione verso l’innovazione. Il sistema bancario italiano crede nella business transformation supportata dalle tecnologie digitali.
Anche una banca grande e blasonata come Mediobanca ha preferito testare il terreno del nuovo con una iniziativa indipendente: Che Banca! Il suo braccio per le relazioni con il pubblico nel mondo digitale. Adesso sta pensando ai processi interni, con particolare attenzione verso il mondo dei dati e quindi l’ideazione di un nuovo database che privilegi la data quality ma anche la mobilità.
Tanto è vero, è la testimonianza portata da Romano Stasi, Managing Director di ABI Lab, che le nostre banche non hanno ridotto il badget 2015 per l’Ict: è rimasto costante o è in crescita. Al suo interno, inoltre, ci sono state delle modifiche in termini di apporti alla formazione del budget complessivo. La mobilità è cresciuta di rilevanza così come l’integrazione tra canali e la gestione dei big data. E il social? Pare che le banche tradizionali di casa nostra ne facciano un uso nullo o trascurabile.
Valga per tutti il caso della Banca Popolare di Milano, resa dal suo Coo, Giovanni Sordello. In primis anche questa banca ha lanciato due anni fa Bpm 2.0 perché andava di moda. Risultati concreti e visibili sono difficili da misurare e questa osservazione vale un po’ per tutte le banche. Il nuovo piano, a cui si sta lavorando per il dopo 2016, dovrà prevedere anche iniziative per la comprensione delle indicazioni delle social network, dove attualmente si è pressoché all’anno zero. Nello specifico Bpm ha avviato una iniziativa, portata avanti da alcuni giovani informatici per comprendere questa realtà e soprattutto “spiegarla al top management”. Potrebbe essere l’inizio per la diffusione di una nuova cultura aziendale ma non si ritiene per domani il punto di svolta.
Quale il ruolo atteso per i fornitori di tecnologia abilitanti la digitalizzazione. Quasi in coro le banche sollecitano ruoli di partnership e di parziale partecipazione alla condivisione dei rischi mentre attualmente la loro offerta è ancora di natura soprattutto tradizionale. Le nuove esigenze richiedono contributi più innovativi, inclusa in certi casi una visione da App Economy. I fornitori hanno approcci differenziati. HP, per esempio, ha optato per una maggiore flessibilità. In quest’ottica il vendor suggerisce di supportare le filiali tradizionali, non potendole eliminare, digitalizzandole e virtualizzandole il più possibile. Non solo il tema dei big data andrebbe maggiormente sviscerato e applicato così come il fronte delle App andrebbe valorizzato meglio di quanto avviene. Sono opinioni di Gianni Rugginenti, Sales Manager Private Market Enterprise Group di Hewlett-Packard Italia. Sul potenziamento o l’uso delle filiali come sportello per la remotizzazione di servizi centrali punta Creval che insieme a Microsoft ha appena varato una serie di postazioni di questo tipo basate sull’utilizzo di tablet di ultima generazione, in grado anche di consentire la firma grafometrica dei contratti. Sarà lo sportello digitale del futuro? A monte il Creval, come altre banche, punta sull’introduzione di nuovo middleware anziché sulla sostituzione di risorse legacy come interventi per l’adattamento al nuovo.
Sintetico il punto di vista di Telecom Italia: per Enrico Trovati, Responsabile Marketing Business di Telecom, per le banche digitalizzare significa rendere possibile le operazioni in modalità mobile. A supporto ha citato il caso di Google che realizza oggi più del 60% dei suoi ricavi tramite utenti mobile. Ciò presuppone un grande ricorso ai big data e l’implementazione di un sistema che risponda a una logica di federazione tra gestori di telecomunicazioni e banche per l’identity e la strong authentication. Quello che in banca ancora non si fa o si fa poco in modo digitale è soprattutto l’execution, come pure formazione e motivazione del personale. Sono gli avvertimenti lanciati da Gianmatteo Manghi, Director of Sales di Cisco Systems Italia che verso le banche, ha aggiunto, cerca di porsi con una strategia di partnership sui temi della sicurezza, dell’analisi dati oltre che del networking.
Al mercato delle banche è interessata anche Intel. Il come lo ho spiegato Carmine Stragapede, Direttore Generale di Intel Italia: “Stiamo cercando di capire meglio le esigenze del settore finanziario per calibrare la nostra produzione di chip per mettere gli oggetti connessi in condizione di dialogare meglio”. In questo contesto Intel assegna molta importanza agli sviluppi dei tablet, inglobando per esempio dei chip per la firma grafometrica. “Ci sono diversi ambiti, precisa, in cui possiamo personalizzare i nostri prodotti per il mondo finanziario.”
Come nel mondo industriale si va verso fabbriche senza operai, anche nel mondo della finanza ci saranno sempre più banche con pochi banker, Per merito o demerito delle tecnologie, ma per la comodità di chi vuol accedere al credito velocemente e facilmente. Un esempio è Workinvoice, una startup che consente alle Pmi e agli artigiani di trovare liquidità in poche ore e online grazie all’incontro tra chi chiede e chi offre (denaro in questo caso). Un marketplace della liquidità cofondato da Fabio Bolognini applicando più o meno lo stesso concetto che ha reso grande e famosa Amazon.
Gian Carlo Lanzetti