La possibilità di tracciare un limite tra umano, disumano e postumano sembrerebbe iscriversi nella capacità di superare tutte le fratture interiori, che avviliscono e sviliscono la tensione dell’uomo verso la propria autorealizzazione; il superamento delle proprie fratture interne è una possibile via per rivelare i volti di noi “umani”. I contributi raccolti consentono di riconoscere un’apertura dell’umano altrimenti incomprensibile, una nuova strutturazione dei processi di costruzione dell’identità che si avvale del potenziamento e del superamento del limite supremo e finora invalicabile: la nostra stessa mortalità.
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