L'antropologo digitale
Antropologia e tecnologia
“Lo scopo dell’antropologia è quello di rendere il mondo più sicuro per le differenze umane.”
- Ruth Benedict.
“Nonostante le illusioni diffuse dalle tecnologie della comunicazione (dalla televisione a internet) noi viviamo là dove viviamo.”
– Marc Augè
L’era digitale ha cambiato il mondo, non poteva non cambiare l’antropologia. Interrogarsi antropologicamente significa oggi interrogarsi sulle relazioni tra esseri umani e macchine, sulle realtà online di Internet, delle sue piattaforme, sul ruolo crescente delle intelligenze artificiali e dei Big Data nella vita di ogni individuo e in ogni ambito esperienziale. Lo stanno facendo filosofi, sociologi ed etnologhi. Lo fanno anche antropologi, con varie metodologie e approcci di tecno-antropologia, etnografia digitale, cyber-antropologia e antropologia virtuale. Lo stanno facendo adottando strumenti digitali per condurre le loro ricerche, focalizzandosi sulla cybercultura dominante, sui memi, sulle pratiche, sugli stili di vita e sui comportamenti che sembrano determinare l’insorgere di una nuova tipologia di umano, cosmopolita, ibridato tecnologicamente e un po’ cyborg, un simbionte che richiede di essere descritto e le cui esperienze suggeriscono nuove tipologie di analisi etnografiche.
Viviamo tempi interessanti, molto tecnologici e per qualcuno alla fine dei tempi, ma pur sempre stimolanti e avvincenti. Le esperienze multiple che la tecnologia ci regala ci impedisce di riflettere in profondità su quanto essa stia trasformando la realtà, le persone che la abitano, i loro linguaggi, i contesti, i costumi e i loro aspetti simbolici, le storie, le tradizioni e i mutamenti bio-tecnologici. Tanti ambiti di riflessione che la pratica antropologica corrente ha fatto propri, proponendo interessanti punti di osservazione, analisi e interpretazioni. Di tutto questo abbiamo deciso di parlarne con alcuni antropologi, con l’obiettivo di condividere una riflessione ampia e aperta e contribuire alla più ampia discussione in corso.
Manifesto per un nuovo Homo sapiens (The Sapiens)
Per Harari l’Homo sapiens dell’era digitale (Homo digitalis?) si è trasformato in Homo deus, per Vittorino Andreoli in Homo stupidus stupidus. Nel mezzo ci stà un nuovo Homo sapiens, da costruire, come comunità di individui e cittadini con una visione esistenziale, critica della realtà tecnologica e digitale nella quale sono immersi come pesci che non sanno cosa sia l’acqua perché non l’hanno mai lasciata.E’ un Sapiens capace di guardarsi dentro e di guardare con uno sguardo diverso, di riflettere sul Sé, individuale, di genere e collettivo, disposto ad aprirsi alle novità, alla negatività (neg-attività) dell’esistenza, ai cambiamenti e alle sorprese. Capace soprattutto di elaborare pensiero critico, di riflettere, di decostruire e, nel farlo, di dare forma a pensieri diversi, alternativi, liberi, ribelli, ricchi di senso, utili a vivere la cosiddetta era digitale da esseri umani, in modo esistenziale e non solamente funzionale.
Al nuovo Homo sapiens serve un MANIFESTO e qui ho provato a delinearne uno, aperto al contributo di tutti!
Scrive Noah Harari che “quando la tecnologia ci permetterà di reingegnerizzare le menti umane, Homo sapiens scomparirà […] e un processo completamente nuovo avrà inizio”. La previsione può rivelarsi errata ma se si riflette sulla profondità dei cambiamenti in corso e il ruolo che la tecnologia sta avendo nel determinarli, si comprende che siamo in una fase di cambio di paradigma. Quando il nuovo emergerà noi potremmo non essere più umani. Cyborg, simbionti, semplici intelligenze artificiali più o meno ibridate, potenti, intelligenti e capaci di apprendere ma non più umane.
Se questa prospettiva è verosimile è più che mai necessaria una riflessione approfondita, puntuale e critica di quanto sta avvenendo. Paradigmatico per questa riflessione è il tema dell’intelligenza artificiale che, più di altri, suggerisce bene il rischio e la sfida che tutto il genere umano si trova di fronte. Un rischio da molti sottovalutato e una sfida da molti accettata forse con eccessiva superficialità. Un tema che comunque è di interesse generale e vale la pena approfondire. E la riflessione deve essere fatta da tecnici, esperti, fautori della IA, ma senza mai dimenticarsi di essere esseri umani.
L’Homo sapiens si trova in una fase critica della sua evoluzione millenaria. La tecnologia che ha creato avanza molto più rapidamente di quanto la sua consapevolezza e coscienza gli permettano di padroneggiarla. La sfida che Homo Sapiens si trova davanti non è negare l’avanzata della tecnologia e la sua evoluzione accelerata, ma fare uno sforzo maggiore per comprenderla meglio, per conoscerne implicazioni ed effetti, per individuare in che modo metterla al servizio e a vantaggio degli esseri umani senza cedergli il controllo e farsi condizionare.
Il manifesto del nuovo Homo sapiens
2019 - Foto di viaggio tra i vulcani e le spiagge nere della Kamchatka
Per riuscire a fare questo l’Homo sapiens dell’epoca digitale contemporanea dovrebbe impegnarsi a:
- Non dare tutto per scontato affidandosi alla tecnologia, ai suoi giocattoli, ai suoi algoritmi e alle sue piattaforme (“aprire una breccia nella normalità acquisita…osando uno scarto…” - Francois Jullien)
- Rallentare (unico modo per ri-trovare slancio) per poter meglio ascoltare, sentire, accorgersi, relazionarsi, parteciparsi (“[…] pratica di affidabilità, capace di fecondare la relazione con senso ed appartenenza” - Anna Maria Palma), appartenere, recuperare un campo di senso (capacità di ri-organizzare la realtà) utile alla (tecno)consapevolezza (prendere coscienza, rendersi conto, realizzare)
- Interrogarsi, dubitare e porsi delle domande sulla relazione con la tecnologia e le sue piattaforme che si esprime in sottomissione, complicità, passività e adeguamento (“sono più importanti le idee della tecnologia” – Vittorino Andreoli)
- Elaborare pensiero critico sui comportamenti indotti dall’uso della tecnologia recuperando gli argomenti che servono alla critica
- Riflettere sugli effetti di strumenti tecnologici di cui sappiamo sempre meno, di cui non conosciamo i linguaggi e il codice con cui sono stati creati e del cui utilizzo sociale siamo spesso inconsapevoli, disinformati o misinformati
- Resistere al pensiero conformistico delle narrazioni digitali e di chi le suggerisce
- Conoscere meccanismi, processi, modelli di business, finalità, strategie, ecc. alla base delle piattaforme tecnologiche e di chi le possiede
- Approfondire la conoscenza del proprio Sé, del proprio valore, di quanto serve per dare forma a nuove narrazioni capaci di raccontare sè stessi e non i profili digitali che siamo diventati
- Volgere lo sguardo al di fuori dei mondi online per vedere, prendere coscienza delle realtà di vita materiale dei mondi offline: realtà declinabili in povertà, disuguaglianze, precarietà, mancanza di lavoro, iper-consumismo, malattie psichiche, crisi ambientali e molto altro
- Costruire nuove narrazioni, diverse da quelle ormai prevalenti perché uniformate, modellate e mediate tecnologicamente, poco meditate, dominate dal chiacchiericcio godereccio e felicitario della vita digitale e online
- Decostruire terminologie, parole e concetti (social network mondi chiusi o aperti? Internet libera e democratica?) per dare loro significati veritieri e far emergere ciò che è rimasto implicito o nascosto
- Disubbidire per non conformarsi alle regole date, a guru, paraguru, influencer, sacerdoti e sacrestani, storyteller e filosofi dell’era digitale
- Trasgredire (il riferimento è a un libro di Francesco Varanini) le leggi bronzee dell’era digitale
- Contrastare le tecnocrazie e tecno-burocrazie emergenti, le loro chiese new age e relative ideologie religiose, i loro sacerdoti e intellettuali al servizio
- Dissentire da quanti agiscono per impedire che lo si possa fare
- Recuperare la capacità di negare, il negativo (il neg-attivo di Jullien) come elemento per contrastare la falsa positività delle narrazioni correnti in cui tutto deve essere adeguato e adatto
- Ribellarsi alla omologazione, alla profilazione, alla trasparenza assoluta, all’invasione della privacy personale, all’invadenza degli algoritmi a caccia di dati,
- Produrre cultura tecnologica alternativa (“If we allow our self a congratulatory adoration of technology to distract us from our own contact with each other, then somehow the original agenda ha been lost.” – Jerome Lanier)
- Proteggere le prerogative dell’essere umani coltivandone le specificità di senso, di sentimento e di saggezza
- Riscoprire la collettività, la socialità e la dimensione relazionale incarnata, facendo prevalere la visione del noi più di quella individuale
- Sostenere le iniziative finalizzate a mantenerci esseri umani capaci di sognare ed (e)sperimentare, di immaginare percorsi e futuri diversi, di desiderare, di agire in scenari e progetti al limite dell’impossibile,
- Esistere, vivere esistendo, sperimentando, conquistandosi nuove libertà fuori dai pantani virtuali inerziali, ripetitivi e abitudinari nei quali ci siamo imprigionati