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PERFEZIONISMO
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perfezionismo s. m. [der. di perfezione]. – 1. In psichiatria, tendenza nevrotica (generalmente di tipo ossessivo) che impedisce sovente all’individuo di attuare cose relativamente semplici perché il suo narcisismo e la sua autocritica, unitamente a uno scarso senso della realtà, spostano costantemente tale attuazione verso obiettivi ideali irraggiungibili. 2. Con sign. più generico, aspirazione a raggiungere, nel proprio lavoro o nella propria attività, una perfezione ideale non facilmente attuabile: il suo p. è esasperante; la direttrice ci ossessiona con un p. d’altri tempi.
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PERSONA [1]
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persóna [lat. persōna, voce di origine probabilmente etrusca, che significava «maschera teatrale» e poi prese il valore di «individuo di sesso non specificato», «corpo», e fu usata come termine grammaticale e teologico]. Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale, considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività. Con il significato etimologico, maschera teatrale, e quindi anche la parte che un attore rappresenta sulla scena. Nel linguaggio giuridico ogni soggetto di diritto, titolare di diritti e obblighi, investito all’uopo della necessaria capacità giuridica.Nel linguaggio filosofico, l’individuo umano in quanto è ed esiste, ossia intende e vuole, esperimenta e crea, desidera e ama, gioisce e soffre, e attraverso l’autocoscienza e la realizzazione di sé costituisce una manifestazione singolare di quanto può considerarsi essenza dell’uomo, nella sua globalità intellettiva e creativa, e come soggetto cosciente di attività variamente specificate (razionale, etica, ecc.) la dignità, il valore, la libertà, la creatività della persona umana. In teologia, Dio viene definito persona quando se ne vuole distinguere il concetto da quello panteistico o idealistico, o comunque proprio di altre concezioni che negano la personalità di Dio. Categoria grammaticale che, nelle forme verbali e anche nei pronomi personali, serve a distinguere chi parla o scrive, chi è il destinatario del discorso, chi costituisce l’oggetto della comunicazione. (Treccani)
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POSITIVO [1]
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poṡitivo [dal latino tardo positivus, da ponĕre «porre», participio pass. posĭtus]. In generale, che è posto come dato sul piano della realtà oggettuale, e come ciò che è affermato, prescritto sul piano logico e giuridico. Valido, solido, effettivo, sia dal punto di vista della concretezza del dato storico sia dell'esperienza diretta. Contrapposto a negativo, può indicare la ‘conferma’ relativamente alla prevedibilità di un risultato, il sussistere di conseguenze vantaggiose o favorevoli in corrispondenza di dati o fatti direttamente controllabili.
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Potere alle parole
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OLTREPASSARE CON UN LIBRO - Abituati a messaggiare senza riflettere, dentro un surplus cognitivo che non ci arricchisce ma ci fa scoprire ancor più il disagio derivante dal surplus informativo attuale, cominciamo a renderci conto di un disagio quotidiano che potrebbe capitare a tutti: la difficoltà legata alla mancata comprensione di un messaggio. Un modo per superarla potrebbe essere un utilizzo migliore e più intelligente dell'Italiano in modo da imparare a diventare siamo competenti nel conoscere e usare le parole. Con OLTREPASSARE stiamo fornendo uno strumento utile a farlo, utile per approfondire la conoscenza della lingua e a riflettere su che cosa è, a cosa serve e perché parliamo, scriviamo, leggiamo.
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I Caffè Filosofici di OLTREPASSARE
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PRECARIO
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precàrio [dal lat. precarius, «ottenuto con preghiere, concesso per grazia», derivato di prex precis «preghiera»]. Incerto, non sicuro, soggetto a subire, da un momento all’altro, un cambiamento, un peggioramento. Che o chi ha un rapporto di lavoro temporaneo senza garanzie di stabilità o continuità, legato a un contratto a termine.
"La parola precario viene dal latino "prex", preghiera. Precarium vuole dire dunque ottenuto con preghiere, per volontà e concessione di altri, per grazia. E di ciò i precari della scuola ne sanno qualcosa..." - Silvana La Porta
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PREFERENZA [1]
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preferènza [dal latino medievale praeferentia, da praeferre «preferire»]. Predilezione, propensione. Il preferire, il fatto di preferire qualcuno o qualcosa ad altra persona o cosa.
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PREGHIERA [1]
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preghièra - Dalla radice indoeuropea prach- (sanscrito pracchāti = domandare, chiedere) al latino prex (genitivo, precis). In seguito, dal latino popolare precaria, sostantivazione femminile di precarius = "ottenuto con preghiere", si arriva al provenzale preguiera da cui l'italiano preghiera. La parola è strettamente legata all'atto di chiedere, di domandare. Pregare implica, primariamente, mettersi in relazione con la divinità ma anche porre delle richieste a qualcuno in segno di umiltà, sottomissione, con cortesia
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PREGHIERA [2]
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preghièra - Dalla radice indoeuropea prach- (sanscrito pracchāti = domandare, chiedere) al latino prex (genitivo, precis). In seguito, dal latino popolare precaria, sostantivazione femminile di precarius = "ottenuto con preghiere", si arriva al provenzale preguiera da cui l'italiano preghiera. La parola è strettamente legata all'atto di chiedere, di domandare. Pregare implica, primariamente, mettersi in relazione con la divinità ma anche porre delle richieste a qualcuno in segno di umiltà, sottomissione, con cortesia
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PRESENZA [2]
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preṡènza (preṡènzia) [dal latino praesentia, da praesens -entis «presente»]. Il fatto di essere presente in un determinato luogo, o di intervenire, di assistere a qualche cosa.
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PRESENZA [1]
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preṡènza (preṡènzia) [dal latino praesentia, da praesens -entis «presente»]. Il fatto di essere presente in un determinato luogo, o di intervenire, di assistere a qualche cosa.
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