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Le persone hanno trovato da sole le risorse necessarie per contrastare la pandemia (Bruno Marzemin)
È necessario per limitare le nostre fobie, le tensioni, che altrimenti vagherebbero incontrastate rendendoci folli perché viventi in un luogo immenso, dinamico e sempre nuovo. Bello sì, ma a volte terrifico. Siamo nella fase dove dobbiamo arginare, definire, delimitare questa nuova realtà data dalla pandemia. È il momento dove ciò che sappiamo va rivisto e va ampliato, ridimensionato. L’incertezza che proviamo, derivante dall’immaginario collettivo, è intrinsecamente legata all’immaginario individuale.
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Le Politiche Sociali si sforzino di interpretare il disagio psicologico in senso bio-psico-sociale (Ivan Colnaghi)
Se la comunicazione è contraddittoria e, in questo senso, schizofrenica; se in campo sanitario la parola di un medico vale quanto quella di uno youtuber, tenderanno a scomparire quelli che Kaes chiamava “garanti metapsichici”, quei riferimenti chiari, coerenti e culturalmente connotati, che aiutano a sentirsi vivi, accolti e appartenente al tessuto sociale: così, nella solipsistica ricerca di un garante, la propria foto del profilo Facebook diventerà l’autoevidenza consolatoria della propria esistenza.
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Libertà e prigionia da coronavirus
Senza rendercene conto, per costrizione ma anche con la nostra complicità e collaborazione, ci siamo trovati prigionieri, privati di alcune delle nostre libertà. Una scelta obbligatoria per salvarsi dal contagio ma che sta diventando fastidiosa per la mancanza di certezze e per il modo con cui si è trattati. Da cittadini chiamati a obbedire, destinatari quotidiani di inviti allo stare in casa e a rimbrotti paternalistici perchè non ci si sta. Ma soprattutto tenuti prevalentemente disinformati, anche grazie alla nostra misinformazione, alla quale ci eravamo da tempo assuefatti. Segnaliamo sul tema una intervista alla filosofa Roberta De Monticelli pubblicata su HuffPost.
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Non siamo in guerra
Segnaliamo un articolo di Annamaria Testa pubblicato su Internazionale.it. Insiste sulla necessità di smettere di raccontare in giro che la crisi del Coronavirus sia una guerra. In tempi difficili, sarebbe meglio se tutti si sforzassimo a usare parole esatte e di chiamare le cose con il loro nome.
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Pandemia e ripercussioni psichiche (dialogo con Roberta Milanese)
Quello che ho osservato in questi mesi rispetto agli effetti della quarantena e dell’isolamento è stato duplice. Una parte della popolazione ha vissuto il periodo come una preziosa opportunità di vivere maggiormente la dimensione familiare. A fronte di questi pochi “privilegiati”, però, abbiamo moltissime persone che hanno vissuto il lockdown con grande angoscia e sofferenza.
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Provare paura
Segnaliamo un'intervista de Ilfattoquotidiano al teologo Mancuso. Il tema è la paura e il perchè ne soffriamo di fronte a un nemico piccolo ma sconosciuto e che sembra più grande di noi. Per Mancuso può essere un’occasione per conoscere se stessi e diventare migliori.
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Restare a casa, e dopo?
Segnaliamo a chi ha ancora voglia di leggere di Coronavirus, un articolo pubblicato da Remo Bassetti sul suo Wrog dal titolo: Restare a casa? Da soli? E dopo?
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Rompere gli schemi, altro che normalità per il dopo!
Molti parlano e chiacchierano di coronavirus su piattaforme come Facebook. Lo fanno con frasi brevi che scaturiscono da pensieri rapidi, binari, non passati nel crivello della riflessione critica. Se si volesse comprendere la crisi nella quale l'intero mondo (quasi) è precipitato non servono però pensieri rapidi e neppure letture brevi. Per chi avesse voglia di rallentare, tano il tempo ce l'ha, e leggere potrebbe trarre numerose conoscenze da questo articolo, scritto da un giornalista spagnolo, tradotto da Pierluigi Sullo e pubblicato sul quotidiano il Manifesto. Suggeriamo la lettura a tutti coloro che amano le idee complottarde ma soprattutto a quanti, di questi tempi, sono alla ricerca di verità, informazione e approfondimento.
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Soli con noi stessi (dialogando con Paola Sandonà)
La fase di lockdown ha infatti costretto gli individui a sospendere la propria routine quotidiana trovandosi soli con se stessi. In tali momenti ci si trova a meditare sul proprio percorso di vita con il rischio di trovarsi smarriti. È così che nella ricerca di un metodo di evasione da una realtà in cui non ci si riconosce, gli individui tendono a rifugiarsi in una realtà differente.
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Sottovalutate le ricadute psicologiche della pandemia (dialogando con Marco Florio)
Credo che la questione psichica sia sempre centrale. La crisi, in qualunque ambito intervenga, è sempre l’esito fatale di un processo che affonda le radici nel tempo. I disturbi che lei ha giustamente rilevato, in realtà erano presenti già prima in ampi strati della società e lo dimostrano gli episodi di cronaca e il fatto che l’utilizzo di psicofarmaci sia in continuo aumento. Questo avviene anche perché la psiche dell’uomo ha un suo tempo e il mondo contemporaneo, per lo meno quello occidentale, sembra avere a mano a mano ridotto lo spazio pensabile per questo tempo.
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