Possiamo provare a fare un ragionamento sulle misure che riguardano il coronavirus, e quanto sta intorno – nello spazio e nel tempo – che non sia solo bianco (quello dominante una settimana fa: questi sono matti, certo che sembra li abbiamo tutti noi i malati a furia di fare ‘sti cazzo di tamponi, torniamo alla normalità, qui qualcuno dovrà risarcire i danni economici per quei quattro starnuti) oppure nero (quello dominante dopo la zona protetta: chiudiamo qualsiasi cosa in tutta Italia, non usciamo di casa che alla fine non è nemmeno male prendersi una pausa, non invitiamo nessuno per l’aperitivo, mandiamo la stessa persona per famiglia in missione a fare la spesa)?
Un bell’articolo di Adriano Sofri, qualche giorno fa, quando ancora le misure erano limitate ad alcune zone, definiva un fraintendimento la condotta di chi dice: “io me frego del coronavirus e continuo a vivere come prima!”. Siccome il vero pericolo di fondo (che i media inizialmente hanno omesso di mettere al centro) è che le strutture ospedaliere non hanno sufficienti posti letto per la terapia intensiva e un contagio veloce della popolazione metterebbe in ginocchio la sanità condannando a morte le persone più vulnerabili colpite dal coronavirus, noi tutti siamo socialmente responsabili rispetto alla sua diffusione. Un quarantenne di buona salute può ben fregarsene di rimanere contagiato, se guarda solo a se stesso; ma attraverso di lui il contagio circola, accelera e crea le condizioni di una maggiore letalità.
In effetti, fa un po’ accapponare la pelle il cinismo inconsapevole di un’affermazione come: “Uccide solo gli ultraottantenni”, che pure hanno diritto a essere tutelati nel loro diritto a vivere. È vero che, in alcuni frangenti, l’argomento è stato usato per spiegare che il virus era da equiparare a un’influenza, che di suo fa ogni anno diverse vittime indirette tra gli anziani, senza che a nessuno venga in mente di fermare il paese. Ma l’analogia con l’influenza sembra ogni giorno che passa una valutazione nettamente sbagliata.
Non contagiarsi, dunque, come dovere sociale? In realtà i virologi – su questo tema abbastanza compattamente – avvertono che non dovremo sentirci tranquilli, anche quando l’emergenza apparirà terminata, sino a quando la popolazione mondiale non svilupperà il cosiddetto “effetto gregge”: la protezione indiretta derivante dal fatto che buona parte dei contatti avvengono con persone che hanno sviluppato l’immunizzazione verso il virus. Ma come nasce l’effetto gregge? La sua via maestra è un vaccino, e la sua somministrazione generalizzata. E però il vaccino per il coronavirus non esiste, e non abbiamo alcuna idea di quando si potrà realizzare. La via alternativa è che una parte importante della popolazione, probabilmente superiore alla metà, sia stata contagiata. Nel tempo, sarebbe proprio l’ammalarsi individuale il metodo per sconfiggere il male collettivo della pandemia. Le cose insomma sono un po’ più complicate.