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Siamo tutti chiamati a cambiare abitudini

Siamo tutti chiamati a cambiare abitudini

11 Aprile 2022 Pandemia e salute
Pandemia e salute
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Parlare oggi di felicità è diventato molto difficile soprattutto se in un periodo come quello che stiamo vivendo negli ultimi 2-3 anni. Il punto di partenza è quello di pensare sempre positivo, poiché se io mi immagino già che accada qualcosa di brutto e penso che nulla andrà bene, inizio già da subito a vivere male l’esperienza anche se magari non accade niente di brutto.

Viviamo dentro una crisi sistemica fatta di tante crisi che si susseguono. Abituati da anni alla narrazione tecnologica di realtà dominate da logiche binarie, computazionali, edonistiche e gratificanti, abbiamo perso la capacità di riflettere sulla realtà, quella fuori di noi e quella dentro di noi. Ci ritroviamo così spiazzati dalla capacità dei sistemi complessi che abitiamo di sorprenderci con le loro emergenze e le interrelazioni che le tengono insieme. La sorpresa è tanto più grande quanto maggiore è la difficoltà cognitiva a leggere gli eventi e i fatti, la mancanza di strumenti, anche intellettuali, per interpretarli e la incapacità a riflettere criticamente sulla realtà e su sé stessi. La forza della realtà è tale da generare disagio, ansia, inquietudine, rassegnazione, paura del futuro e la sensazione di inadeguatezza nell’affrontare le crisi del momento.Di tutto questo ne parliamo con psicologi, psicoterapeuti e psichiatri con l’obiettivo di fornire e condividere informazioni, suggerimenti, strumenti e riflessioni. 


 

Una intervista sul disagio psichico nella società tecnologica attraversata dalle crisi, condotta da Carlo Mazzucchelli con Francesco Palazzo, Psicologo - Psicologo dello Sport e del benessere.


Due anni di pandemia e ora una guerra dentro l’Europa, il rischio di bruciare energie psichiche (burnout) è per molti italiani una realtà. Il ritorno alla normalità si allontana, aumentano stress emotivo, ansia e inquietudine. Le persone si sentono più insicure, instabili, impotenti facendo acuire il disagio psichico e la sofferenza psicologica. Il rischio è un sovraccarico di stress proprio in un momento nel quale si iniziava a sperimentare sentimenti di fiducia e speranza per il futuro. Lei cosa ne pensa? Quanto è veritiera questa istantanea dell’Italia e quali sono gli effetti sulla psiche degli italiani, sul loro equilibrio mentale e psicologico e sulle loro capacità di vivere quella che per alcuni filosofi è un vivere alla fine dei tempi? 

La situazione negli ultimi due anni ha costretto tutti quanti a cambiare le proprie abitudini, i comportamenti e in generale la vita quotidiana. Soltanto la parola cambiamento ci rimanda a tutto ciò che è diverso da quello che facciamo solitamente: questa condizione è soggettiva, perché c’è chi la vive come una costrizione, e invece chi ci vede un’opportunità di crescita personale.

Nel primo caso si può parlare di istinto di sopravvivenza, ovvero “accetto quesi cambiamenti per andare avanti”;  in questa condizione gli effetti dello stress derivanti dal cambiamento si amplificano e se non gestiti in maniera ottimale possono portare a disagi psichici importanti. La situazione della guerra di certo non aiuta, perché non fa altro che aumentare sempre di più sentimenti di confusione, insicurezza, incertezza verso il futuro e la paura di dover sempre ricominciare da capo.

Il problema è che questo tipo di vissuto lo stiamo vivendo da più di due anni a questa parte ormai, a causa del covid, e una sollecitazione così prolungata a fonti di stress può sicuramente portare a problematiche importanti a livello mentale fino al rischio di arrivare ad un esaurimento psichico. Io credo che in questo momento come non mai c’è bisogno della figura dello psicologo come supporto alle persone con il fine di mantenere un equilibrio mentale e ottimizzare i livelli di benessere. 

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In pochi giorni siamo passati da media (tradizionali e non) occupati in pianta stabile da virologi e infettivologi alla presenza costante di esperti di geopolitica e generali. La pandemia è stata anche infodemia, continua a esserlo con la guerra in corso. L’eccessiva esposizione ai media ha fatto aumentare il malessere, amplificato dalla difficoltà ad avere accesso a informazioni qualificate e “di verità”, a pensieri non conformistici utili per una rielaborazione e riflessione individuale. Ne è derivata una maggiore difficoltà a esercitare resilienza e capacità adattativa che sempre, nelle situazioni di crisi (stress) hanno permesso il superamento di crisi gravi.  Quali sono secondo lei gli effetti della informazione e della comunicazione mediale corrente nell’amplificare il disagio psichico delle persone? Cosa bisognerebbe fare? Può essere sufficiente abbandonare le piattaforme socia, spegnere la TV o staccare la spina? 

A mio avviso la comunicazione mediale e l’informazione avvenuta in questi ultimi due anni hanno avuto effetti contrastanti: da una parte hanno permesso alle persone di rimanere informati sui fatti e su quello che succedeva ogni giorno, ma dall’altra ha sicuramente avuto effetti amplificatori del disagio psichico. Infatti, abbiamo assistito ad un’informazione quasi monotematica, soprattutto avvenuta tramite la TV impedendo ad ognuno di noi di “staccare” anche solo per un momento da questa tragica situazione di emergenza.

Ovviamente si tratta di considerazione personali e gli effetti sulle persone sono da considerarsi soggettivi, perché non per tutti rimanere costantemente informato ha significato aumentare i propri livelli di stress, ansia e paura, mentre per altro è stato proprio così. Voi direste, “ok, ma se non voglio ascoltare basta cambiare canale o spegnere la spina” così posso distrarmi con altro.Questo è vero solo in parte, perché una volta che l’input, derivante dal canale che abbiamo appena cambiato oppure soltanto per sentito dire, arriva al nostro cervello i nostri pensieri e l’attenzione si rivolge nuovamente su quell’argomento e continuiamo a rimuginare ancora, magari senza nemmeno rendercene conto.

Quindi non basta staccare la TV, ma magari cercare di selezionare e dosare questi stimoli facendo altro, dedicandoci ad altre attività, hobby o passioni. 

La crisi sanitaria e ora quella della guerra hanno fatto dimenticare a molti la crisi finanziaria ed economica del 2008 che non è mai terminata. La crisi economica ha fatto aumentare povertà, disuguaglianze, assenza di lavoro e precarietà, soprattutto ha fatto aumentare incertezza e ansia per il futuro. Molti dei protagonisti di questa crisi si sono adeguati in proprio ricorrendo ad ansiolitici e farmaci antidepressivi vari. Il loro consumo negli ultimi due anni è dato in costante aumento. Lei conferma questo (ab)uso di farmaci e quali possono essere gli effetti sulle persone che ne fanno uso? Quali alternative e percorsi psicoterapeutici suggerirebbe? 

Sì è stato ampiamente confermato l’aumento di consumo di farmaci in grado di ridurre l’ansia, gli stati depressivi e altre condizioni legate allo stress. Il problema è che, tranne una fetta di popolazione che ha bisogno di questo tipo di aiuto e consigliato dal terapista, molte persone che utilizzano questi farmaci possono andare incontro ad effetti collaterali a livello fisico magari a causa dell’utilizzo sbagliato anche riguardo alle dosi.

Quello che mi preoccupa però solo le conseguenze psicologiche; di solito le persone che ricorrono subito al farmaco sono quelle con bassi livelli di resilienza, ovvero con scarse capacità di reagire agli eventi negativi in maniera costruttiva. Infatti, il rischio più grande è che il farmaco, oltre a  diventare una dipendenza, possa divenire un modo per sfuggire alle avversità, ai problemi della vita, alle catastrofi; in questo modo invece di affrontare le cose negative della vita in maniera costruttiva, la tendenza potrebbe essere quella di prendere il farmaco e distaccarsi da essa senza mai elaborare.

Sicuramente un percorso terapeutico con esperti in grado di gestire questo tipo di dipendenze o di problematiche è consigliato nei casi in cui il disagio sia ormai conclamato. Oltre a questo, in ottica di prevenzione, si possono svolgere dei percorsi di potenziamento delle risorse personali a partire da quella di gestione delle emozioni, resilienza e autoefficacia. Questi tipo di training sono fondamentali per prima cosa per aumentare la consapevolezza di quello che succede intorno a noi e dentro di noi, per poi andare a lavorare sulle nostre risorse in maniera concreta. In questo modo la persona si rende conto che il problema va affrontato, elaborato; l’atteggiamento giusto è quello di considerare gli eventi negativi come un’opportunità di crescita e trasformali a nostro vantaggio. 

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Nella situazione attuale probabilmente nessuno è in grado di fornire consigli adeguati alla problematicità e criticità del vissuto individuale e personale. Forse neppure filosofi e psicologi. Eppure un tentativo va fatto perché è necessario lavorare per una maggiore conoscenza (diversa da informazione) e consapevolezza, con l’obiettivo di alimentare la speranza così come la resilienza e la capacità di reazione ad eventi e situazioni sempre più drammatici. Può darsi che parlare di felicità sia diventato complicato ma immaginare che il futuro, sempre imprevedibile, possa essere migliore è un primo passo per essere forse più felici. Quali suggerimenti si sente di dare a persone che hanno perso la capacità a sperare, a immaginare futuri diversi, a elaborare pensieri positivi e ad agire per concretizzarli? 

Parlare di felicità è diventato molto difficile soprattutto se in un periodo come quello che stiamo vivendo negli ultimi 2-3 anni. Il punto di partenza è quello di pensare sempre positivo, poiché se io mi immagino già che accada qualcosa di brutto e penso che nulla andrà bene, inizio già da subito a vivere male l’esperienza anche se magari non accade niente di brutto.

Quindi perché rovinare tutto ancora prima che accada. Inoltre è stato scientificamente provato che pensare intensamente a qualcosa di specifico nel concreto, non fa altro che aumentare la probabilità che questo accada. Attenzione, perché non intendo dire che siamo dei veggenti e manipoliamo il futuro. Vi faccio un esempio: se un atleta di tennis che si prepara a fare un colpo è poco sicuro di se, sopraggiunge la paura di sbagliare e il primo pensiero in testa è quello “adesso sbaglio” oppure “non voglio sbagliare”. A questo punto nella sua mente si riproduce l’immagine di un suo errore. Certo è che non è sicuro che il tennista sbaglierà il prossimo colpo, ma sicuramente quel tipo di pensiero, porta a delle conseguenze psicofisiche (irrigidimento muscolare, abbassamento autostima, ecc..) che vanno ad aumentare la probabilità che accada proprio ciò di cui aveva paura. Questo per dire che partire con pensieri positivi pone le basi per una buona riuscita del compito, poi è normale che ci sono altri aspetti in gioco.

Un altro punto su cui mi vorrei soffermare è l’interpretazione che diamo dell’evento negativo: la tendenza è quello di vedere soltanto quello che è andato male. Se, invece, utilizzassimo un atteggiamento positivo e andassimo ad analizzare quello che ci succede ogni giorno, anche nelle esperienze negative ci renderemmo conto che si può sempre ritrovare del buono, anche dove sembra impossibile trovarlo.

Quali consigli? Prima cosa essere sempre positivi; avere un atteggiamento positivo ci permette di trovare soluzioni alternative a problematiche che ci sembrano insormontabili, ci permette di vedere il “bicchiere mezzo pieno” in tutto ciò che ci accade nella vita e infine fa sì che le mie risorse e le mie qualità rimangano sempre stabili o ancora meglio crescano. 

Le crisi in atto hanno colpito tutti ma in particolare i più giovani. Lo sono di più anche perché, abituati a relazioni senza corpo, hanno finito per essere più soli, isolati e impediti in relazioni incarnate che alla loro età dovrebbero essere la norma. Oggi assistiamo all’aumento di sintomi depressivi, devianze comportamentali, disturbi del comportamento alimentare e di ansia, delle dipendenze, dei fenomeni di microcriminalità (baby gang e non solo). Molti giovani hanno provato e, alcuni, sono riusciti a mettere in campo misure adeguate a reagire e trovare nuovi equilibri esistenziali. Molti però sono ormai da tempo alla ricerca di una qualche forma di assistenza e di aiuto, in particolare coloro che questo aiuto non possono averlo dalle loro famiglie. Ora il disagio psicologico vissuto nel periodo della pandemia rischia di esplodere perché la guerra è un evento impensabile e incommensurabile per i più. Tale da renderli ancor più vulnerabili. Cosa è possibile fare secondo lei per i più giovani? Quanto può servire la reintroduzione del bonus psicologico? 

Sono d’accordo sulle difficoltà che i giovani stanno avendo in questo periodo e ancora di più in questo periodo che stiamo vivendo. Prima la pandemia, ora la guerra sono questioni che influiscono sullo sviluppo dei giovani. Oggi la tecnologia fa parte della vita quotidiana di tutti noi, ma in maniera particolare nei ragazzi che vengono sempre più influenzati dai pensieri del web.

Sicuramente la reintroduzione del bonus psicologico è un ottimo passo per poter fare qualcosa in più per questa fascia di popolazione, soprattutto perché lo stato riconosce che il supporto psicologico non è un intervento straordinario, ma diventa un intervento ordinario fondamentale per riprendere in mano la propria vita e trovare la giusta direzione. Ciò che si può fare con i ragazzi sono interventi di prevenzione a scuola o nell’ambiente sportivo su temi fondamentali come quelli della comunicazione o della gestione delle emozioni.

Sicuramente oggi si piò fare qualcosa in più grazie alla realtà virtuale, uno strumento che attira molto di più i giovani e che dà la possibilità di lavorare in sicurezza e in diversi contesti per migliorare la capacità di adattarsi a diverse situazioni. La figura dello psicologo è fondamentale anche per poter dare un supporto al giovane nel scoprire la sua identità attraverso percorsi di potenziamento di alcune capacità fondamentali chiamate soft skill (gestione emozioni, comunicazione efficace, empatia, ecc..). 

La pandemia, ora la guerra, sta provocando conseguenze serie sulla psiche di molte persone. Secondo l’OMS è a rischio la nostra salute mentale. Una esagerazione o una verità? Un rischio per tutti o solo per alcune categorie di persone e di popolazione? L’esposizione alla imprevedibilità degli eventi genera un’ansia percepita reale che interessa il Sé, l’inconscio e può trasformarsi in patologia generando paura, incertezza e voglia di fuga da ogni tipo di rischio o pericolo. Una fuga che impedisce di rafforzare la capacità a resistere, forse necessaria per le prossime crisi già in formazione. La guerra alle porte dell’Europa ha accelerato e approfondito il sentimento di disagio anche perché tutti temono l’impatto economico della guerra. Se dopo due crisi dovesse manifestarsi la crisi economica la situazione potrebbe diventare esplosiva. Quali sono secondo lei i sentimenti prevalenti nelle persone che ricorrono a lei per trovare risposte al loro disagio? 

Non è un’esagerazione la dichiarazione fatta dall’OMS; l’aspetto su cui vorrei focalizzarmi è che questa situazione è potenzialmente pericolosa per il benessere psichico delle persone. Questo non significa che ha le stesse conseguenze per tutti, ma il problema fondamentale è che il danno molto spesso rimane nascosto nel nostro inconscio senza mai arrivare alla nostra coscienza. I campanelli di allarme potrebbero essere sentimenti di disagio, di grande confusione, incertezza, il sentirsi sempre inadeguati anche in occasione dove prima ci si sentiva sempre sicuri.

Oltre a questo è importante che ci sia anche l’umiltà di accettare i propri limiti, di accettare che ci sia un problema e la volontà di cambiare e migliorare se stessi. 

Per concludere ci può raccontare qualcosa di lei, di come e dove opera professionalmente e delle sue attività psicoterapeutiche? A chi si rivolge principalmente e con quali proposte? Qual è l’orientamento psicologico a cui fa riferimento e quali soluzioni/approcci si sente di promuovere? 

Io sono uno psicologo dello sport e del benessere specializzato sull’utilizzo delle nuove tecnologie come strumento di potenziamento cognitivo. Mi occupo di mental training individuale e/o di squadra e formazione per lo staff tecnico e genitori, coaching individuale, team building e consulenze sia individuali sia per le famiglie. Quindi da una parte la mia attività si focalizza sul contesto sportivo con l’obiettivo del potenziamento della performance individuale, mentre dall’altra mi occupo di sostegno, supporto psicologico ed empowerment in particolare nei giovani.

Il mio impegno generale e obiettivo principale per entrambi i contesti lavorativi è quello di offrire un supporto costante alle persone, sportivo e non, attraverso l’integrazione di metodi innovativi, come la realtà virtuale, e metodologie tradizionali, al fine di migliorare i propri livelli di benessere psicologico e qualità della vita.

Ho gestito progetti in ambito sportivo per il potenziamento delle abilità degli atleti tramite utilizzo di realtà virtuale. Collaboro con la startup innovativa  Vrainers, che si occupa di realizzare simulazioni ed esercitazioni in realtà virtuale (VR) e con l’intelligenza artificiale (AI); all’interno del team sono il responsabile del blog e in questo momento sto partecipando allo sviluppo del progetto di potenziamento della comunicazione.

La mia attività viene svolta  in due contesti diversi: presso il Centro Sportivo Stadium di Besozzo in provincia di Varese e il centro Elpis ad Ispra sempre in provincia di Varese. Il mio obiettivo per il futuro è svolgere la specializzazione in psicoterapia con orientamento Cognitivo-Comportamentale: secondo me il modo migliorare per risolvere dei problemi è affrontarli (esposizione in vivo della terapia) e non fuggire da essi.

 

** Le immagini sono istantanee fotografiche di un viaggio in Alaska 

 

 

 

 

 

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