[Articolo scritto e pubblicato la prima volta nel 2014]
In un’era che per il filosofo Zizek è alla fine dei tempi e che per altri è semplicemente la fine della storia può sembrare normale che si parli anche di fine del lavoro. In realtà se ne sta parlando da anni, in termini futuristici prima e poi sempre più inserente ai processi dell’automazione, nel lavoro manuale così come in quello cognitivo e della mente.
L’automazione delle macchine va fatta risalire alla rivoluzione industriale, che è stata la somma di numerosi progressi simultanei in varie discipline come l’ingegneria, la chimica e la metallurgia e in particolare all’invenzione del motore a vapore che ha cambiato il lavoro manuale ma anche determinato mutamenti radicali nell’organizzazione del lavoro e nel passaggio all’era moderna. L’automazione ha prodotto i suoi effetti anche sulla forza lavoro e sulla disponibilità di opportunità lavorative. Ieri sul lavoro manuale e oggi, nella nuova era delle macchine intelligenti, anche su quello cognitivo. La corsa all’automazione delle aziende e i computer sempre più intelligenti lasceranno a piedi numerosi lavoratori, soprattutto quelli dotati soltanto di capacità ordinarie.
L’illusione della concentrazione nel mondo digitale
Con la perdita di posti di lavoro e la disoccupazione crescente, gli effetti sociali possono essere pesanti, in termini di coesione culturale, difficoltà economiche e familiari, problemi personali e individuali. La crisi attuale che ha accentuato la crisi del lavoro sta nascondendo il fenomeno dell'automazione crescente e i suoi effetti. Secondo molti analisti, la rivoluzione tecnologica in ambito lavorativo ha raggiunto il suo tipping point. L’economia del prossimo futuro è destinata ad essere condizionata sempre più dalla presenza di robot, droni, automi, macchine intelligenti, algoritmi digitali e applicazioni capaci di prendere il posto di lavoratori in carne umana e di mettere a rischio, forse, qualsiasi tipo di lavoro.
Quello che nei racconti di fantascienza veniva spesso raccontato con entusiasmo e ottimismo, oggi è diventato oggetto di preoccupazione e di sguardo pessimistico sul futuro. Le nuove tecnologie hanno fatto aumentare il benessere e il tempo libero delle persone e permesso loro un più facile accesso al consumo di beni materiali ma se viene a mancare il reddito, la libertà finisce per diventare un fardello pesante da sopportare. Cosa può succedere se il lavoro venisse meno e a quali trasformazioni sociali andiamo incontro se l’automazione continuerà la sua evoluzione-rivoluzione attuale?
La domanda se la pongono in molti, sia coloro che continuano a vedere nella tecnologia uno strumento potente di opportunità e di progresso, sia coloro che sono al contrario preoccupati del dominio crescente della tecnologia nella vita di tutti i giorni. Tutti si interrogano su un futuro fatto di disoccupazione tecnologica, un futuro nel quale pochi scienziati e programmatori sono impegnati a inventare soluzioni e macchine capaci di far perdere il lavoro ad altre persone e forse a loro stessi.
La paura delle macchine non è nuova e ricompare a ogni innovazione tecnologica. E’ stata la paura a far nascere il movimento dei Luddisti nel periodo della Rivoluzione Industriale e oggi è la paura all’origine delle preoccupazioni di studiosi ed economisti che vedono il rischio di nuove forme di luddismo. E’ una paura eccessiva e senza fondamento perché la tecnologia non è destinata a segnare la fine del lavoro ma è un timore comprensibile per gli effetti concreti che essa ha in termini di precarizzazione del lavoro, aumento della pressione competitiva e conseguente diminuzione dei salari e di aspettative di carriera professionale e lavorativa.
Il fenomeno dell’automazione va interpretato all’interno di altri fenomeni che stanno caratterizzando il terzo millennio quali il predominio incontrastato della finanza e il prevalere del capitale sul lavoro, la sparizione del lavoratore manuale e la pervasività delle tecnologie dell’informazione con la loro rivoluzione digitale e cognitiva. In questo contesto il lavoro non tornerà mai più come prima e la disoccupazione rimarrà alta così come continuerà a crescere la cosiddetta generazione Neet (2.5 milioni in Italia). La mancanza di lavoro interesserà sia le persone adulte, maschi compresi, sia le nuove generazioni che avranno sempre più difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro ed a iniziare nuove carriere professionali. I salari e gli stipendi inoltre continueranno a non crescere.
Il mercato del lavoro verrà rivoluzionato anche dalla capacità disruptive delle nuove tecnologie dell’informazione e soprattutto del software. Persone dotate di un iPhone o un Galaxy e delle applicazioni adeguate come Airbnb possono oggi gestire le loro case in proprietà per offrirle sul mercato dell’ospitalità, mettendo in crisi Hotel e Motel e la loro forza lavoro. UberPop offre nuove opportunità di lavoro ma contribuisce anche alla sparizione di molti posti di lavoro. Nuove interfacce vocali intelligenti trasformeranno i Call center in spazi vuoti. Solo alcuni esempi che suggeriscono quanto una riflessione sulle conseguenze dell’automazione della seconda era delle macchina sia diventata urgente, quanto meno per cominciare a ipotizzare come e cosa debba essere la società del futuro del post-lavoro o della fine del lavoro.
In questa società prossima ventura il tempo libero è destinato a crescere e a interessare un numero crescente di persone. Ci sarà più tempo da dedicare a figli e nipoti, alle relazioni interpersonali e alla vita comunitaria. La fine del lavoro determinerà l’era del benessere e della libertà. Una visione ottimistica e probabilmente sbagliata se si osserva la sofferenza di quanti il lavoro lo hanno già perso e a come spendono, in maggioranza il loro tempo, guardando la TV, navigando Internet, abitando i social network, dormendo, annoiandosi e deprimendosi, quando possono contare su un contributo assistenziale e governativo. A dimostrazione del fatto che la maggioranza delle persone ha bisogno di un lavoro e se non ce l’ha si sente deprivata e condannata a una vita priva di senso e miserabile da cui possono derivare problemi finanziari ma soprattutto psicologici, mentali, familiari e sociali.
Secondo alcuni l’assenza di opportunità lavorative tradizionali farà aumentare la creatività e l’imprenditorialità delle persone. La tecnologia è disponibile a tutti e può trasformarsi in uno strumento potente di creatività per nuove startup, nuovi tipi di lavoro e forme organizzative come incubatori, reti di aziende e comunità artigianali.
Benchè sia sbagliato guardare al problema del lavoro in termini binari, di bianco o nero, la realtà è che la nuova rivoluzione delle macchine, come è stato ben descritto da Erik Brynjalfsson e Andrew McAfee nel loro libro, è in atto ed è destinata a dare forma a nuovi scenari ad oggi ancora inimmaginabili. Difficile pensare ad un mondo senza lavoro e a un futuro senza speranza di lavorare ma anche ipotizzare un mondo nel quale l’assenza di lavoro pagato sia la molla per nuova creatività e imprenditorialità, capace di generare nuove fonti di reddito ma anche maggiori soddisfazioni lavorative.