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🐝🐝 ALLUVIONI DI PAROLE, DESERTI DI CONCETTI

🐝🐝 ALLUVIONI DI PAROLE, DESERTI DI CONCETTI

08 Novembre 2023 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Viviamo alluvionati da parole, dentro spazi-acquario desertificati di concetti, che si muovono per analogie come la lava sotto i Campi Flegrei. Usiamo Google Search per assegnare significati a parole che il motore di ricerca scalfisce solo superficialmente nei loro significati più profondi e polisemici, perché privo dell’esperienza di senso, che fa da ponte tra il nuovo e il vecchio, dell’inconscio umano, del vissuto delle persone.

Le parole sono come gli abiti che scegliamo al mattino per vestirci. Servono a costruire narrazioni, racconti e storie, a presentarci al mondo di fuori. Il loro utilizzo è influenzato dalla lingua che parliamo, dalla cultura e dalla storia personale di ognuno, ma anche dall’umore e dallo stato d’animo del momento che stiamo vivendo, da ciò che abbiamo a disposizione nei cassetti e da come sono stati organizzati e “categorizzati” nel tempo e negli spazi a disposizione (calzini, camicie, ecc.), sempre diversi e mai uguali per tutti. 

I concetti non stanno dentro cassetti. Gli spazi nei quali si muovono nella nostra mente sono spazi sempre in movimento, spazi allargati fatti di relazioni e che contengono mondi, sono costruiti nel tempo, legati alla storia e al vissuto di ognuno, mai definiti in modo sistematico, mai distinguibili in bianco o nero, sempre dentro categorizzazioni provvisorie, contengono informazioni, spesso inaccurate e ambigue, legate alle nostre conoscenze e ai nostri saperi, a cui si può accedere in certe condizioni e non in altre. 

Parole e concetti non sono sempre collegati tra loro anche se sembra sia così. Con le parole scolpiamo la realtà, le nostre relazioni e il mondo, diamo l’impressione che le parole usate non potevano essere diverse. Essendo semplici etichette con le quali si nominano entità e cose, non possono essere messe in discussione. In realtà sono sempre il frutto dei nostri tentativi di dare un senso a eventi e situazioni nei quali siamo coinvolti, a partire dai concetti che si agitano e scintillano nelle nostre menti e dalle relazioni che intratteniamo, con noi stessi, con l’Altro da noi, con la realtà. 

Ciò che, nel passaggio dai concetti alle parole, dovrebbe essere un flusso, mai definito nel suo muoversi ed esprimersi, flessibile, complesso, sempre in movimento, non classificabile, basato sull’emergenza e il risveglio che focalizza l’attenzione e scatena analogie, nella realtà in molti casi sembra essere diventato un percorso algoritmicamente predefinito e senza tempo per fare delle scelte. Queste scelte analogiche, semantiche e associative, avrebbero bisogno di tempo, dovrebbero essere praticate in lentezza. Anche se il tempo in questione è infinitesimale, ci vuole del tempo per risvegliare un concetto e portarlo alla nostra attenzione, per farsi trascinare dalle analogie che si porta appresso, fino a trovare le parole giuste che ci servono per agire, interagire, parlare, dialogare, relazionarci, ecc. 

La mancanza di tempo e il nostro andare di fretta ci sta privando della ricchezza del nostro pensiero e dei concetti che lo nutrono, ci impedisce di fare i collegamenti che servono tra concetti e parole, di fare emergere il nuovo che sempre questi collegamenti possono generare. Finiamo così per parlare in modo stereotipato, omologato e conformistico. I concetti a cui ci riferiamo sembrano essere stati categorizzati e classificati nei cassetti del Cloud e del Big Data. Sono gli stessi usati dagli algoritmi delle varie ChatGPT per costruire le loro parole, analogie e linguaggi. Rischiano di diventare anche i nostri, portandoci a sacrificare, ricchezza, immaginazione, fantasia, creatività e linguaggio. Il sacrificio può avere effetti drammatici, perché le macchine, a cui vogliamo così tanto assomigliare, sono già così avanti da lasciarci in molti ambiti ai blocchi di partenza.

 

 

 

 

 

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