Le ragioni che suggeriscono una riflessione sugli occhiali di Google sono legate al loro essere una ‘disruptive technology’, una protesi tecnologica per rappresentare il mondo e una ghiotta opportunità per sperimentare nuove forme e nuovi livelli di conoscenza (Tempi moderni: vivere alla fine dei tempi).
Le numerose nuove tecnologie digitali stanno trasformandoci in un cyborg simbionte che funziona come ricevitore di messaggi e di segnali dal mondo esterno e delle rappresentazioni che ne facciamo.
Con l’arrivo degli occhiali di Google e dopo aver provato a leggerne la filosofia che ne ha plasmato finalità di scopo e le funzionalità, si può dire che la realtà si è ancor più allontanata da noi. Le nuove tecnologie ci stanno trasformando in entità passive che rinunciano ad esplorare il mondo perché a farlo ci sono protesi tecnologiche come i Google Glass.
Gli occhiali di Google sono sicuramente un prodotto innovativo che non può essere accantonato superficialmente ma deve essere studiato a fondo nelle sue caratteristiche tecniche e ancor più in quelle semantiche, metaforiche e filosofiche.
Gli occhiali di Google sono in ordine di tempo l’ultimo prodotto di una serie di tecnologie digitali che ci stanno educando ad una rappresentazione visiva del mondo. Con i Google Glass la realtà virtuale entra dentro di noi e ci trasforma in avatar reali che nulla hanno di che invidiare a quelli di Second Life, a loro volta sempre più umanoidi e capaci di interazione con il mondo esterno ( se anche gli avatar di Second Life indosseranno i Google Glass quali saranno le applicazioni e le sperimentazioni possibili?).
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Da anni gli strumenti e i prodotti, resi possibili dalle nuove tecnologie come telefoni cellulari, smartphone e tablet, stanno lavorando sulla nostra psiche e sulla nostra intelligenza. Lo fanno solleticando la nostra naturale pigrizia e cercando di convincerci a delegare alle macchine quello che potremmo fare da soli (perché la realtà deve essere aumentata e non diminuita?).
L’avvento degli occhiali di Google sono un passaggio ulteriore in questa direzione, ma anche un segnale del rischio che stiamo correndo come esseri umani (post-umani) nel momento in cui rinunciamo alla nostra capacità di interagire e ‘intelligere’ il mondo e ci affidiamo sempre più ciecamente ( metafora perfetta dei Google Glass? ) e passivamente a intelligenze visive, immediate, nozionistiche e artificiali da noi stessi costruite ( Kurtzweil ne sarebbe contento ). Queste macchine ci aiutano a scrivere e a comporre, a leggere e a comprendere, a memorizzare e a ricordare ed ora anche a vedere.
"Sir, we’ve boiled down the human species to 1,234,727 profiles or roles. Our information systems do an eval on the 18 billion inhabitants of planet Earth, assess parameters and habits of each person, and basically assign them, through Glass, the applicable profile. From that point on, every suggestion, advice, datum, and prediction funneled through Glass to the user will fall within the shape of the role/profile fitted to him. Our surveys indicate that, on the whole, this escalation will operate smoothly…people want it. They welcome it…" - Jon Rappoport is the autore di The Matrix Revealed e Exit From the Matrix,
Ma a vedere che cosa?
L’elemento fondamentale che caratterizza il nuovo gadget tecnologico di Google è probabilmente tutto qui. Poi ci sono le innumerevoli opportunità che esso offre come ‘disruptive technology’ e come ecosistema applicativo. Google punta naturalmente su queste ultime ma nel farlo svela la sua filosofia di fondo e la visione della tecnologia come macchina capace di emulare il cervello umano. Una filosofia coerente, con la visione del motore di ricerca e la sua abilità della personalizzazione, con quella di Google Plus e delle applicazioni in cloud computing ed ora con Google Glass e la sua capacità di rappresentare il mondo esterno a noi attraverso una protesi tecnologica.
Così come il motore di ricerca trasforma Google in un Matrix( Matrix e le realtà parallele e programmate di Google+), i Google Glass eleggono Google a mediatore e intermediario di ogni esperienza utente con la protesi tecnologica degli occhiali.
La mediazione non impone restrizioni e si presenta come capace di aggiungere nuovi livelli di intelligenza utili all’intero processo di esplorazione della realtà attraverso gli occhiali. Il ruolo di Google nell’intera architettura software che permette ai Google Glass di funzionare è evidente ed è stato anche presentato in un video da Google stessa.
In pratica ogni applicazione che eroga un servizio all’utente deve passare da Google prima di arrivare sull’occhiale. La scusa o la motivazione è che ogni informazione che viene data all’utente deve essere personalizzata ( ancora la personalizzazione, la stessa idea di fondo del motore di ricerca ) in base al profilo ( dati anagrafici ma anche comportamentali e contestuali ) e alle informazioni che dell’utente Google già possiede (Google non è più uguale per tutti e fa filtro. Fra un pò farà anche la ricerca...)
Come ha scritto Kathrin Cave su IDG Connect, Google ha deciso di tenere banco e dare tutte le carte usando algoritmi sofisticati per correlare tutti i dati sugli utenti tra loro e fornire loro una specie di ‘cervello aggiuntivo’, una protesi tecnologica ulteriore che non si capisce bene quanto possa aiutare nella rappresentazione individuale della realtà
Il concetto della protesi cerebrale esterna non è nuovo ed è spesso associato al dispositivo mobile che ormai non ci abbandona più e al quale affidiamo molte delle nostre attività, dal calcolo aritmetico alla formula matematica, dalla ricerca del ristorante sotto casa alla conoscenza virtuale di persone che abitano nello stesso condominio, ecc.
Il fatto di essere dotati di protesi tecnologiche non è necessariamente negativo. Come ogni cosa nuova tendiamo ad enfatizzare gli aspetti sconosciuti rispetto alle opportunità. I Google Glass, unitamente a ‘Google Brain’ aggiungono nuovi livelli di intelligenza e nuove forme (algoritmi) di conoscenza. Quando l’ecosistema applicativo sarà in grado di offrire una offerta di qualità, chi indosserà gli occhiali di Google avrà la possibilità di sperimentare in modo confortevole il nuovo gadget. Non tutti saranno però felici di vivere esperienze personali mediate e intermediate dal ‘Google Brain’, un cervello che potrebbe diventare, così come lo è diventato sul motore di ricerca, un potenziale filtro tra noi e la realtà.
Se la realtà percepita sarà quella suggerita dalla personalizzazione di Google, il rischio è di uscire dalla iperrealtà per ritrovarsi a tutti gli effetti in un Matrix ( Matrix e le realtà parallele e programmate di Google+).