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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E…UCRAINA 🍒🍒

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E…UCRAINA 🍒🍒

01 Marzo 2022 Redazione SoloTablet
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Secondo Antonio Damasio la nostra mente è una serie di immagini di vario tipo e di mappe che, attraverso gli organi di senso (vista, udito, ecc.), fotografano in modo dettagliato il contesto nel quale siamo immersi e, attraverso l’enterocezione (gusto, olfatto, sentimenti, ecc.), il nostro stato interiore. In fondo è ciò che fanno anche molti robot dotati di intelligenza artificiale, grazie alla simulazione dei circuiti neuronali umani e degli ambienti esterni in cui operano. Con due differenze fondamentali, non hanno sentimenti e sono privi di coscienza. Chi ha costruito le intelligenze artificiali si è focalizzato sull’intelligenza, sulle sue capacità a risolvere problemi (problem solving) e sulla sua efficacia, piuttosto che sui sentimenti. Ma noi umani siamo dotati di intelligenza, di sentimenti, di affetti, di coscienza e molto altro ancora, non siamo ri(con)ducibili a un unico elemento, seppure potente, rapido ed efficiente come può esserlo l’intelligenza umana. Non siamo macchine computazionali!

🍒UMANITA’ E UCRAINA

All’intelligenza artificiale ho pensato in questi giorni che vedono l’umanità tecnologica attuale precipitare dentro un’altra guerra, combattuta con armi tecnologiche, dalla “precisione chirurgica”, e decisa dalle nuove tecnocrazie, da poteri assoluti che hanno preso il controllo del mondo, subordinando la politica e mettendo a rischio la democrazia e la libertà, che forzano le “condotte umane” verso le direzioni da loro scelte. E parliamo del mondo intero, non facciamoci deviare dal cattivo di turno! Con un primo effetto, il popolo non conta più nulla, come raccontano i labirinti delle metropolitane di Kiev piene di gente impaurita. E non facciamoci condizionare neppure dalle narrazioni populiste ingannevoli in circolazione (il popolo ama farsi ingannare!). Tutto avviene dentro un contesto che facciamo fatica a mettere in discussione, un contesto caratterizzato dall’unica ideologia imperante, rappresentata da un tecno-neoliberismo ormai egemone (ma in crisi) e dalle tecnologie di rete, agenti della globalizzazione, in mano a pochi oligarchi che credono di avere preso le redini del mondo. È un contesto che, come l’acqua della metafora di Foster Wallace, non percepiamo più e che accettiamo così com’è, per il grado di benessere che è in grado di regalarci, anche se spesso è più raccontato e mediatizzato che reale. Siccome ci sentiamo bene non percepiamo che qualcosa sta radicalmente e profondamente cambiando. Abbiamo disimparato a sentire, siamo meno impegnati a esercitare l’arte della conoscenza e così impossibilitati a muoverci, mobilitarci, attivarci. Ne è un esempio la scarsa partecipazione alle manifestazioni per la pace di questi giorni rispetto a quelle oceaniche contro la guerra in Iraq (è colpa dei social?). La capacità di sentire, conoscere e attivarsi, poi di fare delle scelte da cittadini e prendere decisioni consapevoli e responsabili, sono fondamentali per comprendere il mondo attuale, dominato dall’ideologia tecnologica, dalle sue oligarchie e tecnocrazie, dalle loro mire a ingegnerizzare ogni aspetto della vita individuale e sociale. Per rimanere umani bisogna reinventare un nuovo sistema di vita, capace di andare oltre gli aspetti puramente economici, produttivi, legati all’efficienza della tecnica (leggete Galimberti). Bisogna reimparare a ridiventare umani (leggete Benasayag, Jullien), forse anche intelligenti, visto che abbiamo deragliato uscendo fuori dai binari della natura. Chissà cosa pensano altre forme intelligenti come piante, funghi, batteri, animali, ecc. 

🍒SEMPRE PIU’ SIMILI A MACCHINE

Mentre gli artefici delle intelligenze artificiali stanno ancora cercando di dare forma a macchine operanti lungo le linee dei sentimenti dotandole di corpi molli e flessibili che, grazie ai loro sensori, possano auto-regolarsi e sentire, noi umani stiamo dando il meglio di noi stessi nel mettere a tacere sentimenti e affetti, nel diventare anaffettivi, nel disattivarci emotivamente. Inevitabile pensare alla pandemia, alle distanze fisiche da essa imposte, alla virtualizzazione e digitalizzazione di moti ambiti vitali. Abituati come siamo a vivere in modo digitale la vita, il corpo, gli affetti e le relazioni, abbiamo dimenticato come e quanto possa essere importante abbandonarsi alle emozioni che il nostro sistema nervoso, unitamente ai vari apparati preposti alla (ap)percezione sono in grado di generare. È come se avessimo operato per tarpare il sentire privilegiando il vedere, per rimuovere ogni emozione dolorosa, con l’illusoria intenzione di condizionare l’omeostasi, anche con le tante storie che ci raccontiamo, per sopravvivere alle brutture della realtà della realtà. 

🍒LE IA CRESCONO, GLI UMANI INVECCHIANO

Abbiamo impiegato migliaia di anni a diventare quello che siamo, potremmo impiegarne molti meno a regredire o a farci sostituire da nuove specie ibride, umane e tecnologiche, più avanzate ed evolute. Ma non più umane, comunque diverse dalla specie umana nella fase di evoluzione corrente. Lo sviluppo delle intelligenze artificiali sembra irreversibile, potremmo avere presto macchine in grado di sentire e per questo forse anche capaci di far emergere al loro interno una qualche forma di coscienza, intesa come capacità di prendersi cura di sé, apprendere e superare i propri limiti. Se questa evoluzione avrà luogo, noi umani potremmo trovarci affiancati da assistenti senzienti, efficienti, intelligenti e sensibili. Mentre lavoriamo a far nascere sentimenti ed emozioni dentro una macchina, dovremmo interrogarci su come preservare e coltivare i nostri sentimenti, siano essi positivi o negativi,  dentro i nuovi contesti psicologici, sociali e culturali  nei quali ci troviamo. Punto di partenza per questa operazione potrebbe essere ciò che sta succedendo nel mondo a causa della guerra in Ucraina. Un evento che ci dovrebbe portare a riflettere sulla disumanità della guerra, sulla follia del potere, sulla violenza delle armi tecnologiche, sulla crisi sistemica in atto che vede crescere la disperanza (De Monticelli) perché sono svanite le speranze in un mondo migliore. 

🍒MENO MALE CHE ABBIAMO UNA COSCIENZA

Le macchine non hanno una coscienza e forse non ne avranno mai una. Noi umani, nel frattempo, stiamo sprecando quella che abbiamo, stiamo cioè disperdendo ciò che essa apporta alla mente umana, migliorandola. Oggi stiamo forse regredendo in una fase nella quale continuiamo ad avere stati mentali ma percepiti come se non fossero nostri e dei quali possiamo non avere alcuna responsabilità. Nelle nostre menti le immagini (mentali) sembrano scorrere come quelle di Instagram o di Facebook, immagini senza appartenenza di cui non sentirsi né consapevoli né responsabili.  Componente chiave nello sviluppo della nostra coscienza umana, ci spiega sempre Damasio, sono stati i sentimenti, sia quelli negativi sia quelli positivi, originatori di creatività e risposte, utili per la gestione della complessità e la costruzione di nuove culture. Oggi questo sviluppo si è arenato. Da svegli dovremmo esserne coscienti, al contrario viviamo uno stato comatoso. Siamo pur sempre in grado di sognare e nel sogno, si sa, la coscienza si attiva, ma essere coscienti è qualcosa di più di essere svegli o di sognare. Si può essere svegli senza avere coscienza delle immagini che passano per la testa, senza prenderne consapevolezza e senza farne scaturire scelte responsabili. 

🍒COSA POSSIAMO FARE?

Mentre tutti ci stiamo trasformando in esperti di geopolitica, conviene diventare edotti che la complessità del mondo ha generato elevata fragilità umana. Nella catastrofe percepita tra gli effetti c’è la difficoltà a cogliere l’intero e la perdita del valore complessivo della vita. Bisogna ritornare a pensare, a esercitare il sentire e l’immaginazione, soprattutto bisogna interrogarsi sugli orizzonti di senso delle nostre esperienze. Pensare non basta, bisogna che il pensiero sia radicale, capace cioè di rompere il modo di pensare consolidato e conformistico, in pensiero quindi non conformista, aperto a visioni larghe e informate. Più che di tecnologie disruptive, abbiamo oggi bisogno di nuovi pensieri di rottura, capaci di aumentare la comprensione dei tempi paradigmatici, forse rivoluzionari, forse anche tragici, che stiamo vivendo. Più che di trasformazioni digitali, abbiamo bisogno di trasformazioni cognitive, psicologiche e culturali. Forse non abbiamo bisogno di influencer, guru, inventori di neo-filosofie, evangelisti e messia vari, ma di maestri, di maestri di vita, portatori di un pensiero nuovo, dinamico, capace di confrontarsi con le grandi domande e le sfide del momento. Abbiamo bisogno di persone capaci di alimentare passioni intellettuali e civili, capaci di farsi testimoni per aiutarci a superare la rassegnazione e lo sconforto. E tutti noi possiamo essere queste persone!

 

 

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