Tecnologia, mon amour

01 Marzo 2016 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli  Tecnologia, mon amour è pubblicati nella collana Technovisions di Delos Digital

Un altro social network è possibile: più lento, più caldo, convenzionale e rituale...

Senza parlare di social networking o di Facebook, l'etnologo francese Marc Augè ha fornito nel suo ultimo libro alcuni interessanti spunti di riflessione sugli spazi tecnologici che attualmente catturano l'attenzione e il tempo di un numero crescente di persone. Nel suo libro lo scrittore esplora il mondo del bistrot francese con tutti i suoi attori. Il luogo è visto da Augè come il regno delle relazioni di superficie, quelle in cui il gesto dello scambio importa assai più di ciò che lo motiva, ma anche come un luogo straripante di vita, ricco di emozioni, di scambi e di relazioni.

Lo spazio del bistrot fa parte del paesaggio urbano francese, è un ambiente relazionale, della lentezza, della socialità contrapposta a quella fittizia 2.0 ma anche letterario. Dice Augè, nel suo ultimo libro pubblicato in Italia Un etnologo al bistrot (Raffello Cortina Editore), che senza di esso il personaggio Maigret, con le sue continue soste al bistrot, sarebbe impensabile. Sarebbe impensabile però anche la ricerca di se stessi, della vera socialità e della propria interiorità. Il bistrot è uno spazio territoriale nel quale ci si può ritagliare la propria cornice di reale, riducendone la complessità e coltivando legami veri, perché a loro volta complessi e mai scontati.

Forse per fattori generazionali il bistrot è luogo di elezione e frequentazione assidua da parte dello scrittore ottantenne che ritrova sui suoi tavolini e nei suoi interni le atmosfere giuste perché accoglienti e tranquille, ricche di nostalgia ma anche di tante sorprese  e nelle quali è possibile impegnarsi in conversazioni piacevoli e improvvisate perché il bistrot favorisce la comunicazione e la relazione. Come un Facebook d'altri tempi anche il bistrot, quello vero dice Augè suggerendo che ne esistono anche di ingannevoli e non veri, è sempre disponibile, aperto dalla mattina alla sera, più o meno presto, più o meno tardi, ma senza interruzione. 

Il bistrot è un luogo che favorisce la comunicazione e lo scambio, permette di intrecciare nuove relazioni così come di coltivare quelle esistenti, senza distinzione alcuna tra persone di passaggio, frequentatori abituali, proprietari e camerieri. E' un luogo non mediato tecnologicamente e non artificializzato dalla tecnologia nel quale ci si mescola e dal quale nessuno è escluso. Una specie di rete sociale allargata, ma limitata dagli spazi del locale, nella quale sono possibili le piccole comunità e i club privati ma che è sempre costruita sugli spazi aperti e interscambiabili, sulla cultura che la caratterizza e le esperienze che vi si possono fare.

"Quand'ero ragazzo, andare da solo al bistrot era uno dei primi segnali che annunciavano l'indipendenza dell'età adulta. Sul ricordo dei miei primi bistrot aleggia ancora un certo sentore di proibito..."

A differenza delle relazioni virtuali di Facebook, sembra dire l'autore, quelle del bistrot producono esperienze superficiali ma significative perché utili , con un carattere rituale che aiutano a vivere e offrono gli antidoti giusti per vincere la solitudine 2.0 del cittadino globale della Rete. L'autore non lo dice espressamente ma la sua nostalgia per la funzione sociale del bistrot è tale da suggerire immediatamente confronti e paragoni con gli spazi di aggregazione sociale, oggi quasi sempre online, frequentati dalle generazioni più giovani.

Il passaggio dal bistrot al social network è uno degli indicatori dei mutamenti antropologici indotti dalla pervasività della tecnologia. In questo passaggio sono cresciute nuove forme di solitudine e di sofferenza, vissute spesso non come separazione ma come rottura. I legami del bistrot, sembra suggerire Augè, mettono in contatto le persone con gli strati profondi che caratterizzano ogni essere umano. Sono legami che contribuiscono a strutturare la soggettività di ognuno e danno forma al nostro essere così come a quello degli altri. Anche sui social network è possibile costruire legami, alcuni si sono anche sposati. Ma i legami prevalenti sono tra persone che si sentono separate e non favoriscono una reale ricerca di se stessi. Ne derivano legami superficiali e illusori, spesso usati per giustificare le proprie inadempienze o incapacità realizzative. Meglio il contatto fisico del bistrot (“il bancone è il centro di uno spazio concepito, come la musica del piano bar, per non appartenere a nessuno, pur facendo posto a tutti”), la sua frequentazione assidua, la conversazione con il cameriere o con i vicini di tavolo, anche loro alla ricerca di compagnia e comunicazione orale, al di fuori delle chat dei social network e delle realtà virtuali di Internet e in fuga dai rischi che ne derivano.

“Entrando in un bistrot, si ha sempre l’impressione di un incontro possibile. È infatti un luogo che favorisce la comunicazione e lo scambio. Ai suoi tavolini è possibile intrecciare relazioni con gli sconosciuti di passaggio, oltre che con i camerieri e gli habitué. Anche quando è connotato socialmente per via del quartiere in cui si trova, il bistrot resta comunque un luogo in cui è possibile mescolarsi. Il bistrot non è un club e non esclude nessuno. È un spazio aperto su altri spazi, sulla strada e sulla vita. È un’eterotopia, come diceva Michel Foucault, che, pur essendo artificiale, può anche avere radici profonde che lo legano al passato”.

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Il bistrot è il tempio della lentezza, ci si entra per restarvi e trascorrere il tempo, in amene conversazioni o impegnati a lavorare con il proprio dispositivo mobile, a scrivere o semplicemente a guardarsi intorno. In questi locali, dice Augè, non si conosce la fretta, ci si entra per restarvi, anche a lungo o più volte nella stessa giornata. In un bistrot si può sfogliare un giornale cartaceo o uno digitale su un iPad, si può leggere un libro di Gallimard o una sua versione digitale sul Kindle di Amazon, si può lavorare, studiare, scrivere o semplicemente guardarsi intorno commentando amichevolmente le scene di vita quotidiana che passano davanti alle vetrine. In tutto questo il bistrot manifesta la sua natura e vocazione sociale, il suo essere spazio culturale e familiare. Scrive Augè che Seduti al bistrot, si ha la sensazione di sfuggire alla solitudine domestica, ma contemporaneamente ci si sente un luogo conosciuto e sicuro.”

La lentezza che caratterizza il bistrot, è una lentezza dello sguardo e della percezione del tempo che scorre, fa sentire bene e non obbliga alla tirannia dell'eterno presente tipico degli ambienti sociali della Rete. Al tavolino del  bistrot ci si sente a casa, in luoghi materiali, conosciuti e sicuri. Tranquillità, familiarità e sicurezza derivano anche dal percepire storie vissute condivise che l'immaginazione può ricostruire a partire da semplici sguardi o osservazioni. Le sorprese sono sempre presenti e spesso sono inattese ma sono ben accette e ad esse ci si può abbandonare molto più serenamente di quanto non si possa fare dentro il muro delle facce di Facebook.

Come i luoghi della Rete anche il bistrot può essere un luogo di passaggio ma è più ricco di opportunità e offre un numero maggiore di possibilità per l'esercizio dell'immaginazione e la sperimentazione dello scambio sociale e dell'incontro. Possibilità simili sono esperibili anche online ma non nella misura in cui ci sono state descritte. La rete come spazio esperienziale di bellissime favole non è più credibile e non meraviglia che cresca l'attenzione per luoghi tradizionali di incontro o escano libri e narrazioni come quelle di Marc Augè volte a celebrare  luoghi come il bistrot ma soprattutto la loro cultura e utilità.

Facebook e i numerosi social network, assiduamente abitati dai nativi digitali, stanno delineando le loro linee della vita e sembrano essere la soluzione ideale per i loro bisogni di socialità e convivialità.  Nella loro età adulta questi nativi odierni potrebbero ritrovarsi a guardare indietro per valutare le loro esperienze sociali 2.0 e digitali. Le esperienze di persone dell’età di Marc Augè e che come lui hanno sperimentato momenti di vita culturale e sociale meno condizionati tecnologicamente, sono state diverse e vedono legarsi insieme i bistrot ma anche i paesaggi, i viaggi, i volti, le canzoni (dal vivo e nei bistrot) e molte altre ancora come quelle dettate dalla testa e dal cuore.

Con Facebook il bistrot condivide la capacità di soddisfare il bisogno urgente e immediato di contatto. Il primo lo fa grazie al muro delle facce e ad una pagina web condivisa, il secondo attraverso il suo bancone di zinco della mescita, centro nevralgico del locale e sempre vicino alla cucina, e i numerosi tavolini appicciati l'uno all'altro, come se le loro dislocazione fosse stata pensata per favorire la conversazione, l'incontro e il contatto fisico.

A fare la differenza nei bistrot è spesso la loro organizzazione degli spazi che non devono appartenere a nessuno ma fare posto a tutti. Il bancone, come il muro di Facebook, ha un ruolo centrale e la sua disposizione determina il successo o l'insuccesso del bistrot. Il successo è legato alla capacità, anche spaziale, di accoglienza della persona sola così come di gruppi di amici o conoscenti. 

Secondo Augè "abbiamo bisogno di rapporti superficiali...le parole che ci scambiamo nel conversare sono spesso più importanti per il fatto di essere scambiate che non per il loro contenuto". Sembra essere una perfetta descrizione di Facebook, un social network che basa molto del suo successo sulla necessità diffusa di pronunciare delle parole per il semplice fatto di farlo, perché sono rivolte ad un altro. Un comportamento che illustra bene quanto sia consapevole il bisogno di scambio. Su Facebook lo scambio passa attraverso frequenti cambiamenti di stato e messaggi o foto postate sul muro delle facce personale.

Al bistrot ci si appoggia al bancone e si fanno dei commenti, di politica, di sport o sul tempo, con il solo intento di verificare, tramite gli altri ospiti presenti, che le cose siano in ordine. Le conversazioni tendono a essere superficiali ma, a differenza dell'esperienza online, la profondità deriva dall'incontro dello sguardo e delle facce, dei gesti e dei corpi, dei sentimenti e degli affetti. Conversazioni e scambi avvengono sempre in forma rituale, rispettando alcune convenzioni tipiche del luogo. La finalità non è necessariamente  utilitaristica ma legata al bisogno di esistere, anche quando si sarà usciti dal bistrot, negli sguardi degli altri e contribuire a far loro percepire di esistere nei nostri.

Come i social network anche i bistrot sono frequentati in massima parte da flaneur (termine reso famoso dal poeta francese decadentista Charles Baudelaire, indica il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell'osservare il paesaggio) e da individui soli o semplicemente solitari. Il bistrot è uno spazio aperto che offre rifugio a tutti e apre le porte ai più diversi tipi di pubblico offrendo a ciascuno l'occasione di diventare, più o meno inconsapevolmente, attore e spettatore, il tutto in piena libertà e senza il controllo che oggi è in grado di esercitare una applicazione tecnologica come Facebook.

Nel suo libro Augè non fa alcun paragone di sorta con i luoghi sociali della Rete. Il suo è un viaggio nella memoria e nella nostalgia per un mondo percepito come ancora esistente ma cambiato e che non potrà più ritornare al tempo dell'esistenzialismo, di Sartre e della Parigi letteraria.

Il viaggio è personale e venato di tristezza là dove ricorda i molti amici, frequentatori anche loro di bistrot, persi per strada. Tentato in prima istanza di fare un appello agli scrittori di tutto il mondo perché tornino a ridare vita ai bistrot, Auge accantona subito l'idea relegandola nella sua ambiguità di orazione funebre e ammettendo che lui stesso ha cambiato l'esperienza del bistrot e fatto altre scelte, come ad esempio il viaggiare. La malinconia del bistrot di un tempo è determinata dai ricordi, sia di quelli che risalgono alla superficie sia di quelli perduti per sempre insieme ai neuroni che li tenevano in vita. Meglio allora vivere il presente, riconoscere i cambiamenti intercorsi nel tempo e coltivare il ricordo intimo di esperienze che, come tali, non possono che essere personali e soggettive.

I bistrot non sono andati perduti, dice Augè nella penultima pagina del suo libro, " ...si è persa la naturalezza con cui, fino a poco tempo fa, navigavo dall'uno all'altro. Posso navigare ancora, ma gli scali sono deserti. Forse, è la ragione profonda per cui parto e viaggio: lontano, posso avventurarmi in cerca di nuovi scenari e nuovi incontri senza avvertire il peso opprimente dei giorni trascorsi e delle amicizie perdute , senza sentirmi condannato alla ripetizione e all'oblio."

Parafrasando una frase dell'autore che cita una conversazione con un cameriere di bistrot, "Siamo tutti di passaggio."

Nei bistrot così come su Facebook!

 

 

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