Andrea Gaggioli, insieme a Giuseppe Riva (con cui già nel 2010 aveva pubblicato sul flow di network http://www.ledonline.it/ledonline/index.html?/ledonline/Networked-Flow-Riva.html) , Luca Milani, Elvis Mazzoni hanno recentemente pubblicato (Francoangeli, 2012, Springer, 2012) le loro ricerche nell’ambito del networked flow, che adottando un approccio multidisciplinare bio-genetico-neuropsicologico e psico-sociale, prendono l’avvio dalle domande: come emergono le reti creative? Come evolvono? Perché alcune reti creative sono maggiormente performanti di altre?
Secondo Gaggioli e colleghi, la collaborazione creativa è potenziata quando i membri del team sperimentano una intenzione di gruppo, un senso del “noi” co-costruito e fondato sulla fiducia reciproca, condivisione ed empatia. Da questa esperienza ottimale di gruppo scaturisce la creatività, emergono idee o artefatti nuovi, originali, utili, che a loro volta influenzano le dinamiche del gruppo.
Essi mettono a punto un modello che spiega non solo la struttura ma anche il funzionamento psicologico delle reti creative. La collaborazione non basta: è infatti noto, ad esempio, che la tecnica del brainstorming, ideata negli anni 50, può in realtà bloccare la creatività del gruppo (a causa dell’effetto di interferenza cognitiva causato dal dover esprimersi a turno).
Tra le componenti psicologiche delle reti creative, Gaggioli e colleghi indicano il massimo livello di presenza, il libero fluire dell’energia emotiva, il sentirsi capace, grazie al coinvolgimento nel gruppo, a trasformare efficacemente le intenzioni in azioni; inoltre anche sentirsi in uno stato di transizione (“liminalità”) e di cambiamento verso una nuova evoluzione non ancora avvenuta, uno “stato nascente” che spinge a fare appello alle proprie migliori risorse.
Ma quando la creatività diventa innovazione? Un’idea creativa, una tecnologia, un’opera d’arte, si afferma quando viene promossa da individui qualificati: molti sono coloro che hanno idee innovative, ma pochi sanno farle riconoscere ed apprezzare dalla comunità di riferimento. Quanti artisti e creativi sono stati apprezzati solamente molti anni dopo la loro morte! Le idee innovative diventano valide, utili, solamente quando sono condivise, valutate, rimodificate dal branco, trasmesse nelle narrazioni che veicolano i concetti, le tecniche, i cosiddetti memi (Dawkins) che compongono la cultura di una comunità.
Sawyer e DeZutter (2009) hanno parlato di “creatività distribuita”: un esempio è l’improvvisazione jazz, un tipo di creatività che non riguarda solo i musicisti ma anche la disponibilità e la qualità degli strumenti musicali, delle case discografiche, le sale dove si esibiscono.
La creatività quindi nasce dal gruppo: al mito del individuo creativo libero, isolato e quasi estraniato dalla società, si sostituisce invece la visione del creativo che introduce novità grazie ad un terreno sociale e culturale favorevole.
E’ noto ad esempio che Leonardo da Vinci non fu solo un genio prolifico ma un eccellente leader organizzativo, un “motore” di una rete di artisti e scienziati (quali il matematico Luca Pacioli nonché giovani artisti) e che lo aiutavano a realizzare e promuovere le sue invenzioni .
Non basta insomma il genio e l’originalità: è anche necessario il genio sociale, la capacità di sfruttare un’organizzazione che sostiene a apprezza, comprendendo gli interessi di chi può supportare il processo creativo. L’artista è una parte di una complessa rete interattiva, una tessere di un mosaico che è il mondo dell’arte e della produzione creativa.