A seconda del contesto in cui è usato, il termine relazione acquista sfumature diverse.
Una relazione tra due persone, allude ad un rapporto di amicizia o ad un rapporto sentimentale.
Qui voglio escludere i rapporti sentimentali in senso stretto, riferendomi a tutti gli altri, quelli di amicizia o di collaborazione professionale, pur considerando che anche in questi, i sentimenti esistono.
Nel mio universo con la parola relazione voglio riferirmi specificatamente al senso di una relazione autentica. Come scelta costante di cura, interesse e amore. L’autenticità garantisce il sorgere di una relazione di qualità.
E’ in questa dimensione che si sviluppano empatia, compassione e tolleranza.
La mia passione per le relazioni mi porta ad oltrepassare in un continuo impegno a vedere il mondo con gli occhi degli altri, immedesimarmi e ascoltare il mondo con le orecchie degli altri.
Jacob Levy esprime poeticamente tutto questo nel suo “Invito a un incontro”, già altre volte ricordato:
E quando mi starai vicino io prenderò i tuoi occhi
E li metterò al posto dei miei,
e tu prenderai i miei occhi
e li metterai al posto dei tuoi,
e allora io ti guarderò coi tuoi occhi
e tu mi guarderai coi miei.
Così anche la cosa comune invita al silenzio e
il nostro incontro rimane la meta della libertà:
il luogo indefinito, in un tempo indefinito,
la parola indefinita per l’uomo indefinito.
In ogni relazione di qualità la rottamazione non sarebbe contemplata, ma quando questa viene messa in atto provoca una grande sofferenza.
Prendiamo la definizione che viene data alla rottamazione: “sostituzione di un bene obsoleto con un altro più moderno, favorita da incentivi economici e sgravi fiscali”.
Quando ci sentiamo rottamati in una relazione?
Quando cambiano i comportamenti, quando si esce da una regolarità di frequentazione, cambiano i regali, cambiano gli inviti, non si fa più parte di quel quotidiano affettivo di cui siamo stati partecipi per anni.
Inoltre, ci rendiamo conto che ci sono altri prescelti e il disagio è rendersi conto che non serviamo più, che c’è qualcuno che è nelle condizioni di essere più utile più funzionale e per questo scelto e prescelto.
Siamo stati rimpiazzati.
E l’affetto? E le frasi con cui veniva espressa la meraviglia per quanto importante fosse la nostra presenza, la nostra amicizia...
Quando è che ti senti rottamato?
Quando non ti senti più scelto.
Quando non ti senti preferito.
Quando ti senti escluso dalla routine affettiva che avevi conosciuto.
Quando le persone semplicemente si eclissano, spariscono dalla tua vita.
Quando non ti senti più dire “Sei la persona migliore che mi potesse capitare!”… o “La miglior cosa che mi sia successa”, “Cosa farei senza di te?” “Meno male che ci sei!”
Quando comprendi infine che sei solo servito, perché quelle cose uniche che ti venivano dette, che sembravano appartenere solo a te adesso, vengono fatte senza di te o addirittura con altri.
Cose è che può acquetare un po’ l’animo?
La comunicazione! Per quanto complessa!
L’informazione diretta e contestuale del cambiamento
La rassicurazione che il bene e la stima e la considerazione rimangono invariate, avere il coraggio di dichiarare che è subentrata una qualche convenienza, una qualche funzionalità che fa sì che vengono fatte altre scelte, vengono date altre preferenze.
La fisiognomica, questa sconosciuta: come rimanere gentilmente umani
Ma è significativo anche che la persona che si sente “rottamata” si interroghi sul valore che dà a quelle sensazioni, cosa aveva riposto in quella relazione, perché magari da una parte era stata vissuta con tutta la dedizione e l’amore possibile e incondizionato e dall’altra solo con una manifestazione di affetto e di apprezzamento funzionali a quel momento, appunto utili!
È su questo aspetto che chi sta soffrendo per questo, può intervenire e lo può fare lavorando su di sé, sul suo sentire, sulle sue sensazioni, sui suoi pensieri.
Se c’è sofferenza per ritrovarsi in queste condizioni, è interessante chiedersi cosa si anima dentro di noi, che origini può avere questo bisogno di essere utile, di essere riconosciuto, di essere importante, di essere prescelto, di non essere dimenticato, messo da parte?
Se la realtà non può essere cambiata occorre lavorare sulla nostra modalità di percepirla. Come in ogni circostanza, direi.
Aldous Huxley ha scritto: "L'esperienza non è ciò che accade all'uomo, ma ciò che l'uomo fa di quello che gli accade".
E questo lo si può fare riconoscendo quali convinzioni, quali pensieri, quali sensazioni, quale linguaggio, quali atteggiamenti possono sostenere e permettere di accettare un cambiamento significativo. Quali al contrario, con la loro tossicità, possono rendere meno sostenibile ciò che deve “comunque” essere affrontato.
Possiamo lavorare costantemente su tutto questo, implementando la capacità di dare un senso agli eventi e alla vita, e di modificare la propria visione delle cose e, di conseguenza, anche i propri comportamenti.
L’auto osservazione e l’educazione dell’attenzione interna generano la familiarità con il percepito, la capacità di cogliere i segnali del corpo, interpretarli nella maniera più funzionale.
Si può lavorare sul processo di identificazione e disidentificazione con gli accadimenti, permettendo di vedersi anche fuori dalla dinamica per cogliere la dimensione oggettiva e non solo soggettiva del proprio agire nel mondo: una percezione più ampia di ciò che ci sta accadendo.
In questo spazio ha rilevanza il nostro dialogo interno, ciò che diciamo a noi stessi nel nostro intimo, le emozioni dietro le parole, le sensazioni profonde.
Cercare così più alleanza, rispetto all’inimicizia classica che ogni situazione di criticità può rappresentare.
Tutto questo può avvenire se garantiamo una particolare accoglienza, a noi stessi e agli altri per creare qualità di presenza, attenzione e ascolto, senza giudizi e senza interpretazioni disfunzionali; offrire un silenzio e un ascolto rispettosi dei vissuti, per facilitare lo sviluppo delle potenzialità promuovendo il riconoscimento e l’utilizzo funzionale delle risorse fisiche ed emozionali.
Nella relazione che ciascuno di noi intrattiene con i pensieri, con le sensazioni, può avvenire un’alchimia esistenziale che può generare il benessere con se stessi e con gli altri, sicuramente con noi stessi.
Prendiamo ad esempio i pensieri. È liberatorio realizzare che questi sono appunto solo pensieri e non sempre coincidono con chi siamo o con la realtà che stiamo sperimentando.
Qualunque pensiero se non viene riconosciuto nella sua accezione, rischia di generare ansia e preoccupazioni fino a farci agire come se quel pensiero potesse essere la verità, la realtà.
Riuscire a distanziarsene e a vederlo con chiarezza, potrebbe permetterci di scegliere in modo sensato le nostre priorità, potremo attivarci in qualche modo per lasciar andare.
Fino ad essere consapevoli della forza con cui un pensiero ci prende, della verità del suo contenuto. Solo così possiamo tornare al governo della nostra vita, ciascuno con la sua modalità.
L’uso deliberato dell’attenzione è la chiave che apre, la combinazione vincente.
Magari già portandola al nostro respiro allentiamo il disagio che quel pensiero ci provoca e riusciamo ad accettarlo, integrarlo nella realtà che stiamo vivendo.
Ci sono tante pratiche derivanti da diverse discipline che ci allenano nel processo di liberare l’energia contenuta in un pensiero, in una sensazione, di lasciare andare ogni attaccamento ad esso, fino a generare un nuovo ordine di priorità.
E quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione cessano di essere così imponenti, ingombranti, così prepotenti
A monte occorre avere fatto una scelta consapevole e responsabile di stare nella vita non come “turista per caso”, ma come persona impegnata a riflettere ed elaborare funzionalmente i disagi provocati da pensieri e da sensazioni.
Il beneficio è quello di ridurre i cosiddetti costi relazionali, ma soprattutto rimarginare le possibili cicatrici relazionali.
Se questi processi richiedono un allenamento e una consapevolezza profonda, possiamo accogliere l’invito che arriva più immediato, letto sulla news letter della Casa Editrice DOitHUMAN:
“Arriva un tempo in cui, dopo una vita passata ad aggiungere, possa essere opportuno iniziare a togliere.
• Togli il cuore dai posti dove non c’è più amore.
• Togli il tempo passato a inseguire le persone.
• Togli lo sguardo da chi hai dato il permesso di ferirti.
• Togli potere al passato.
• Togli le colpe dai tuoi racconti.
• Togli lo sguardo da chi ti parla alle spalle.
• Togli i compromessi che ti sporcano le scelte.
• Togli i sì concessi per adattamento.
Perché, spesso, la vera ricchezza non è aggiungere, ma togliere”.