Si il titolo nasce da un’esperienza dell’autore in Senegal come lui stesso racconta “Sono entrato in una moschea con le scarpe in mano, cosa che non si può assolutamente fare. Ma è arrivato un vecchio che sorridendo ha preso le mie scarpe, le ha messe in un sacchetto, me le ha restituite e mi ha fatto cenno di entrare. Mi ha colpito che quell’uomo mi abbia accolto, preferendo la gentilezza alle regole. Se si collaborasse, invece che limitarsi alle regole, tutto andrebbe meglio”.
In queste poche righe è racchiuso il senso autentico della gentilezza che non può essere alimentato dalla rigorosità, che a volte diviene rigidità dell’applicazione delle regole.
Un aspetto che desidero sottolineare è l’importanza del sorriso. Il mio apprezzatissimo collega Davide Cortesi, inizia i suoi interventi con questa frase: “Un uomo senza sorriso non apre un negozio”.
La fisiognomica, questa sconosciuta: come rimanere gentilmente umani
Il sorriso connota l’espressione del volto. E il volto è la prima espressione di accoglienza. Ricordo qualche giorno fa in una farmacia dove la mia sosta era motivata da qualcosa che avevo prenotato ed era anche inserita in un timing abbastanza condizionato, la farmacista è riuscita a farmi vivere il fatto che non fosse pronto quanto avevo ordinato, anzi perfino a coinvolgermi nella ricerca e nello scarico del prodotto, con un volto così accogliente che sarei rimasta lì, potendo, per l’intera mattinata. Il mio apprezzamento è stato sostenuto dalle parole di un signore entrato dopo di me, a cui la dottoressa ha rivolto un saluto con la stessa enfasi con cui aveva accolto me. E quel signore le ha detto: “Non ho bisogno di niente, ma venire a salutarla, cambia aspetto alla mia giornata”. La dottoressa non aveva solo il sorriso sulle labbra, neanche solo negli occhi, lo aveva dentro di sé come testimonianza di un interesse per l’altra persona, me, l’altro signore, quasi di quel doppio interesse di cui parla Marta Nussbaum quando definisce la gentilezza.
Gentilezza è accoglienza della diversità, gentilezza è andare appunto oltre le regole e non far sentire fuori luogo una persona.
Le regole possono essere cambiate soprattutto quando non funzionano. E a questo proposito nel post di Nicoletta Cinotti di questa mattina leggo quanto siamo ostinatamente severi con noi stessi quando, pur accorgendoci che queste non stanno più funzionando, ci sproniamo, quasi ci “frustiamo -se potessimo- per non volerle cambiare. Essere gentili con noi stessi potremmo considerarla l’unica regola da non cambiare. E per poterlo fare occorre una buona dose di sensibilità e di amore perché la fiducia si sposti dall’applicare regole a noi stessi e quindi alle scelte che di momento in momento siamo chiamati a fare.
Le uniche regole che ad oggi hanno funzionato nella mia vita sono quelle di cui parla S. Covey nel suo libro le “Sette regole per avere successo”:
- DESIDERIO La voglia di fare, la voglia di intraprendere, ma non la volontà ferrea, quello willing dentro dentro che alimenta la fiamma del desiderio
- CONOSCENZA Cosa fare, perché farlo e come farlo
- CAPACITA’ acquisire competenze per saper fare
Ma tutte regole alimentate dalla gentilezza, da quel senso di appartenenza e di accoglienza che nutre il campo nel quale operiamo e permette veramente di onorare quanto scrive Rollo May nel suo libro "L'arte del Counseling" “Quello che tu sei parla così forte che non riesco a sentire quello che dici”