Tutti gli animali abbandonarono le loro tane e scapparono spaventati.
Mentre fuggiva veloce come un lampo, il leone vide un colibrì che stava volando nella direzione opposta.
“Dove credi di andare? – chiese il Re della Foresta. – C’è un incendio, dobbiamo scappare!”
Il colibrì rispose: “Vado al lago, per raccogliere acqua nel becco da buttare sull’incendio”.
Il leone sbotto: “Sei impazzito? Non crederai di poter spegnere un incendio gigante con quattro gocce d’acqua!?”
Al che, il colibrì concluse: “Io faccio la mia parte”.
Ecco io faccio la mia parte e continuo in questa direzione per promuovere il senso della possibilità, la cultura della gentilezza.
Come il colibrì.
Non so se riuscirò a spengere l’incendio delle lamentele e degli sfoghi su quanto sta accadendo in questi mesi. Alcune sono molto legittime, alcuni sfoghi tolgono il respiro e fanno abbassare lo sguardo per rispetto di chi li fa e perché spesso ci trovano impotenti.
Ma tante altre, quelle sugli incontri on line, ad esempio, sulle video chiamate, sull’abbondante offerta di webinar su tutto, sul desiderio di tornare alla normalità, di non avere più le mascherine… Quelle che guardano limitatamente al disagio senza avere una panoramica più ampia, che non trascura mai l’altra faccia della medaglia, che dà valore a tutto quello che c’è, anziché a quello che manca, anche se tanto in certe situazioni può essere. Quelle no.
Siamo stanchi di tutto questo? Legittimo, in gran parte. Ma proviamo a ritornare in uno spazio di libertà di scelta, dove ci è più facilmente possibile praticarla. E nei vari libri scritti abbiamo sempre puntualizzato che non parliamo della libertà di scegliere quello che vogliamo o non vogliamo o di cambiare le cose che non ci piacciono o libertà analoghe.
Parliamo di una libertà interiore, la libertà che ci permette, laddove possibile e spesso lo è, di trovare il modo di affrontare quello che ci accade, di attingere a risorse inaspettate, di diventare per se stessi e per gli altri fonte di recupero, di sostegno, “nonostante ogni nonostante”.
Non vuol dire questo negare fatti, ridurre problemi, non vuol dire neanche essere positivi.
La libertà di scelta alimenta la generosità, verso se stessi e verso gli altri.
La generosità, scrive Carlo Mazzucchelli, così come la felicità, è una sfida che bisogna saper cogliere. La generosità unisce, facilita lo scambio, è origine di nuove esperienze felicitarie e di affetti, serenità e nuove narrazioni.
La generosità è molto connessa alla gentilezza, condizioni entrambi che ci permettono di “scegliere” di prestare attenzione a quanto accade dentro sé stessi e agli altri, ai messaggi lanciati da chi abita lo stesso ambiente, reale e virtuale, cercando di interpretarne il sentire, le motivazioni e i bisogni prima ancora dei contenuti, dei linguaggi e dei mezzi utilizzati, ma anche predisponendosi a modificare comportamenti, modi di pensare e giudizi su sé stessi e sugli altri, per cogliere altro e oltre e non avere l’attenzione focalizzata solo su quello che non sta funzionando.
Ancora la scelta di non ascoltare le continue repliche delle stesse notizie, a volta date con uno stile comunicativo violento e aggressivo facendo prevalere il cuore e l’empatia, i sentimenti di solidarietà e compassione, i gesti di generosità e (com)partecipazione su quelli divisivi, conflittuali.
“Perché la lamentela, la recriminazione trovano tanto spazio, perché siamo portati a lamentarci, a recriminare costantemente e su tutto?”
Antonio Quaglietta elenca tre trappole che la lamentela comporta.
“La prima trappola in cui spesso cadiamo, è quella di considerare la tendenza a lamentarsi (“lamentosità”) un tratto caratteriale.
La lamentela non è un tratto caratteriale o di personalità, lamentarsi è un’abitudine. Sì, lamentarsi è una gran brutta abitudine che apprendiamo e continuiamo a praticare quotidianamente fino a renderla automatica… così la chiamiamo carattere.
La seconda trappola da evitare è la diffusa convinzione limitante che ci mostra la lamentela come qualcosa di utile, così come la continua recriminazione.
In realtà perpetrando questi atteggiamenti rischiamo di mantenere la mente concentrata sui problemi; rinnoviamo le emozioni negative legate all’esperienza; impediamo in qualche maniera nuove visioni che ci potrebbero permettere di inquadrare in modo diverso la questione precludendoci la possibilità di un cambiamento.
La terza grande trappola del lamentarsi è pensare che lamentandosi ci si sfoga, ci si libera dalle emozioni negative. Ma dovremmo fare una distinzione fra lo sfogo e la lamentela.
Lo sfogo, il tirar fuori e condividere le nostre emozioni legate a un avvenimento, il racconto dell’avvenimento stesso sono assolutamente utili per dar compimento a un’esperienza negativa ed elaborarla.
Lo sfogo però ha una durata limitata nel tempo.
La lamentela, invece, è uno sfogo che non ha una fine.
Stiamo vivendo tutti, seppure con gradualità diverse, momenti gravi, in molti casi perdite significative.
In questi momenti, è molto utile condividere con le persone vicine le proprie emozioni e il proprio vissuto, dar voce al proprio sentire; non facendolo rischiamo di trattenere tutto dentro e di accrescere il malessere.
Se però parliamo esclusivamente e ininterrottamente di questa esperienza, concentrando i nostri pensieri sulla stessa, non stiamo facendo cronaca, ma ci stiamo lamentando e lamentarsi nutre e alimenta il malessere.
In questo particolare momento, proprio in questo anno così complesso per tutti, ma più drammatico per tanti, occorrerebbe fare una profonda riflessione prima di avanzare una qualche lamentela cercando di avere uno sguardo periscopico e in questo saper collocare il proprio disagio, la propria mancanza, proporzionalmente a quanto di più importante accade ad altre persone intorno a noi.
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E soprattutto occorre ricorrere a quella libertà di scelta che può metterci nelle condizioni di scegliere appunto la maniera migliore per affrontare quanto ci accade. Maniera che non consiste sempre in azioni per risolvere, ma può riguardare il modo di pensare, di percepire, di raccontare, consapevoli che ogni parola, ogni pensiero può essere quella goccia che spenge l’incendio della lamentela e della recriminazione e non la scintilla che ne alimenta il fuoco.
Carlo Mazzucchelliscrive: “Scegliere non è solo tema di riflessioni filosofiche, etiche e morali o atto indicativo di capacità decisionali personali. Le opzioni di scelta disponibili sono oggi infinitamente maggiori del passato, sia nella vita di ogni giorno, sia per le scelte che servono a dare un indirizzo e una direzione alla propria vita.
Scegliere è una questione aperta, importante, perché la possibilità di farlo è alla base di ciò che siamo diventati, di come viviamo, come pensiamo e come siamo, sia come individui sia come società. Lo è ancor più in una realtà tecnologica che ha abituato le persone alla facilità e alla velocità della scelta, costruita in modo binario proprio per accelerare e semplificare processi decisionali, eliminare dubbi possibili e alimentare meccanismi gratificanti di feedback e contro-feedback, di stimolo e risposta, di semplice consumo.”
Tornando quindi alla storia del colibrì mi piace ricordare come prosegue la storia.
“Vedendo quanto il colibrì continuava a fare nonostante l’incredulità e a tratti la derisione da parte degli altri animali accadde che tutti si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate l’incendio poteva dirsi ormai domato.
E al colibrì fu dato un grande riconoscimento: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che insieme si può spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore.”
Si possono condividere sofferenze e angosce, ma in queste trovare anche il coraggio di riconoscere quanto possiamo apprezzare e di quanto possiamo sentirci grati per quello che comunque abbiamo vissuto o stiamo vivendo, nonostante “i gravi nonostante”.
Se a fine giornata, pur nella consapevolezza di ogni possibile difficoltà, scegliessimo di scrivere tre cose, almeno tre cose per le quali siamo grati, potrebbe significare che stiamo praticando la generosità come strumento e modalità di relazione, con noi stessi, con gli altri, di amicizia, per stare bene con sé stessi, dare un segnale di fiducia e di possibilità agli altri, contribuendo a far stare bene anche loro. Piccole gocce.
La favola del colibrì ispira a questo senso della possibilità. Stimola a fare ciascuno la sua parte, ad avere fiducia nella solidarietà per la quale altri vogliano e possano fare la stessa cosa.
Ridurre le lamentele, contenere le recriminazioni ci permette di limitare sensibilmente l’assunto per il quale, scrive Kahneman in Pensieri lenti e veloci “Il cervello degli uomini e degli altri animali contiene un meccanismo che ha il compito di dare la precedenza alle brutte notizie.
Non è stato individuato nessun meccanismo altrettanto rapido per riconoscere le. buone notizie.
Il cervello dà la precedenza alle minacce anziché alle opportunità, com'è giusto che sia.
Il cervello risponde in fretta anche a minacce puramente simboliche. Le parole emotivamente cariche attirano subito l'attenzione, e le parole brutte (“guerra», «crimine») attirano l'attenzione più rapidamente di quanto non facciano quelle belle (“pace», «amore»).
Non vi è vera minaccia, ma il solo ricordo di un evento negativo arriva come minaccioso. La sensibilità alle minacce vale anche per il processo mentale con cui reagiamo all'enunciazione di opinioni dalle quali dissentiamo fortemente.
Lo psicologo Paul Rozin, esperto del sentimento del disgusto, osserva che basterebbe la presenza di un unico scarafaggio a rovinare del tutto il carattere invitante di una ciotola di ciliegie, mentre una ciliegia non farebbe niente a una ciotola di scarafaggi. Il negativo vince sul positivo sotto molti profili.
Le impressioni e gli stereotipi cattivi si formano più in fretta e resistono di più alle smentite delle impressioni e degli stereotipi buoni».
Tutto questo sollecita il senso della response ability individuale grazie al quale scegliamo con cura parole e pensieri da condividere, traduciamo nel cuore quanto utile ad essere preso in considerazione non sprecandoci nel replicare insistentemente notizie che basterebbe assumere con consapevolezza, una volta sola, lasciando grande spazio alla libertà di scelta e a quella generosità verso noi stessi e verso gli altri che ci possano aiutare a costruire ogni giorno “certezze relative” per volgere lo sguardo ad un futuro possibile, non penalizzando il presente che del resto rimane l’oggi di cui ci preoccupavamo o ci siamo occupati ieri.
Posso ben fare per un giorno quello mi preoccuperebbe pensare di fare tutta una vita. Un giorno dopo l’altro!