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La vita è diventata mobile, il futuro liquido! Entrambi sono ibridati dalla tecnologia.

La vita è diventata mobile, il futuro liquido! Entrambi sono ibridati dalla tecnologia.

08 Gennaio 2014 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Due libri pubblicati nel 2013 possono servire a comprendere meglio i tempi rivoluzionari di cambiamento che stiamo vivendo. Tempi caratterizzati dalla globalizzazione e dalla elevata mobilità di cose, merci e persone, da scenari futuri sempre meno prevedibili e liquidi nella loro indeterminatezza e dal potere della tecnologia che sta ridisegnando le nostre vite individuali così come quelle di aziende, nazioni e interi continenti.

I due libri a cui faccio riferimento sono “L’età ibrida “ di Ayesha Khanna e Parag Khanna (editore Codice)  e “Vite Mobili” di Anthony Elliott e John Urry (Edizioni il Mulino).

Il primo è un testo dedicato ai cambiamenti in atto a sui stiamo tutti assistendo più o meno passivamente e che stanno determinando nuovi equilibri geo-politici, competitivi ed economici sempre più definiti dal livello di innovazione tecnologica raggiunto. I cambiamenti toccano anche la sfera personale e individuale andando a ridefinire il rapporto uomo-macchina come una co-abitazione finalizzata a nuove forme di evoluzione, non più solo umane, ma ibridate dalla tecnologia.

Il secondo libro è una dissertazione dotta ed erudita sulla costruzione della identità personale in tempi nei quali sembrano essere scomparse le radici fisiche e culturali a cui fare riferimento e i legami ad esse connessi. Grazie alle nuove tecnologie tutto è diventato mobile, dalla facilità con cui ci si sposta, si viaggia e ci si muove, dalla ricchezza di informazioni disponibili e dal loro flusso illimitato ed ininterrotto in rete, dal turismo al consumo crescente di merci de-localizzate e dalla possibilità di comunicare con chiunque in ogni momento e da qualsiasi posto del mondo.

Mobilità e tecnologia sembrano prometterci scenari futuri certi e pre-determinati ma nella realtà la nostra percezione e le esperienze di vita quotidiana ci fanno  percepire la indeterminatezza di ogni previsione possibile e la liquidità di ogni futuro ipotizzabile.

L’unica cosa certa è il potere raggiunto dalla tecnologia in tutti gli aspetti della nostra vita e la sua capacità di contribuire alla costruzione dei futuri prossimi venturi e di farlo con o senza il contributo umano. Un potere sempre più diffuso capace di accelerare il tempo, eliminare le distanze, incidere sugli spazi fisici della economia e della società ma anche su quelli psicologici degli individui.

Cosa succederà, si chiedono gli autori di ‘L’età ibrida’, quando i telefoni saranno parte integrante della nostra mobilità perché integrati nel nostro corpo? Cosa succederà quando il computer sparirà dalla nostra visuale per essere integrato in maniera invisibile nell’ambiente che ci circonda? Cosa succederà quando il nostro contributo alla evoluzione si limiterà all’assorbimento passivo delle novità tecnologiche? E cosa succederà infine se e quando si realizzerà la profezia della singolarità (quando le macchine superano l’intelligenza umana) di Kurzweil?

A tutte queste domande gli autori del libro non forniscono risposte ovvie e neppure deterministiche. Il loro è un invito informato alla riflessione e alla osservazione. La prima necessaria per comprendere a fondo tutti i cambiamenti indotti dalla tecnologia, la seconda utile per guardare i comportamenti dei bambini e dei nativi digitali e osservare le loro interazioni creative e innovative con la tecnologia.

Citando Toffler gli autori ci ricordano che “nessuno è abbastanza pronto per il domani, il futuro arriva tropo presto e nell’ordine sbagliato”. Sembrano dirci che non esistono ricette e non sono possibili facili previsioni. Bisogna solo farsi trovare preparati, informati, dotati delle conoscenze adeguate e soprattutto predisposti ad accettare una vita fatta di continui cambiamenti, di ancora maggiore liquidità e incertezza.

In “Vite Mobili” gli autori usano la tecnica del racconto di storie individuali per evidenziare come, una società intensamente mobile, stia rimodellando il sé, le attività quotidiane, le relazione interpersonali con gli altri e il modo di stare in contatto con il resto del mondo. Il cambiamento è tale da suggerire l’introduzione di un nuovo lessico e nuove terminologie per parlare di ‘personalità portatili’ che servono a descrivere identità riarticolate in termini di capacità di movimento e di riorganizzazione cognitiva e psichica di noi stessi.

La vita mobile richiede a tutti grande flessibilità, ancor più grande adattabilità e capacità riflessiva per poter essere pronti di fronte all’inatteso e per gestire in modo efficace le novità. Una vita di questo tipo comporta rischi e offre numerose opportunità. Il pericolo maggiore sta forse nel rimodellamento costante della personalità che avviene a causa di una interazione con ‘sistemi computerizzati sempre più complessi e che focalizza l’esistenza sul breve periodo, l’episodico, su frammenti sparsi di informazione e spicchi di socialità. Questo rimodellamento avviene ad una velocità accelerata dai ritmi evolutivi della tecnologia che ci obbliga a ‘mantenere compatti il proprio sé e la propria rete sociale riconfigurando il tutto intorno a click del mouse o del cellulare e a comandi preconfigurati di copia e incolla’. 

Nel loro libro Elliott e Urry non si limitano all’analisi del sé ma allargano lo sguardo ai sistemi di mobilità, alle politiche di mobilità, ai processi e alle risorse che li rendono possibili. Di fronte alle possibili conseguenze tragiche che la mobilità tecnologica sta determinando gli autori non offrono ricette ma si limitano a formulare domande e interrogativi e a chiedere ad altri di contribuire con le loro riflessioni o possibili risposte. La domanda cardine è ‘Come vivranno le generazioni future?’ e ‘Che futuro potranno avere i figli e i nipoti di coloro che hanno visto la loro vita trasformata dalla mobilità’ e di cui il libro ha raccontato alcune storie? Quali potranno essere i contorni futuri delle loro vite mobili e tecnologiche?

La riflessione forse più interessante arriva alla fine del libro quando viene suggerito alle scienze sociali di sviluppare nuove risorse utopistiche e emancipatrici e di confrontarsi con la capacità immaginativa delle persone nel creare nuove opportunità anche nelle situazioni globali e mobili più sfavorevoli. Per farlo è necessario recuperare il senso della parola utopia e osservare le pratiche utopiche sociali e porsi altre domande come ad esempio: “Come possiamo ipotizzare i nuovi futuri mobili a partire dal presente?”, “Quali nuove forme di pensiero richiedono le vite mobili di oggi per delineare le possibili vite mobili di domani?”.

Ciò che è importante sapere è la consapevolezza che se l’utopia futura prevedesse futuri virtuali, la vita sullo schermo non sarebbe mai la soluzione ottimale perchè meno interessante rispetto a frequentazioni sociali e incontri di persona. Siamo nati per vivere socialmente ma anche per farlo con un contatto fisico determinato dalla possibilità di conversare, emozionandosi e parlandosi di persona.

Costruire vite mobili future e sostenibili implica affrontare enormi complessità. In questo scenario opportunità e rischi viaggiano insieme ma non impediscono che si continui a ricercare percorsi da percorrere e nuove utopie. Probabilmente non è possibile perseguire questo obbiettivo pianificando e programmando ma una maggiore conoscenza e consapevolezza dei fenomeni e dei cambiamenti in corso può aiutare a comprendere ciò che è ancora in fieri e sta emergendo e ciò che è destinato a dare forma ai prossimi futuri possibili.

Entrambi i libri meritano una lettura attenta, critica e motivata.

Buona lettura

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