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Verso la demenza digitale, lo dice Manfred Spitzer

Verso la demenza digitale, lo dice Manfred Spitzer

05 Novembre 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Senza computer, smartphone e Internet oggi ci sentiamo perduti. Una percezione che secondo Manfred Spitzer dovrebbe allarmarci tutti perché indicativa di un cambiamento in corso nel nostro cervello, con il rischio di demenza precoce. Il messaggio è provocatorio e volutamente forte così come è estremo il modo con cui l’autore dialoga con i molti critici del suo pensiero (“Demenza digitale…che stupidaggine. Sento già le voci dei miei critici. Eppure, se solo consultassero la rete, si renderebbero conto del contrario. Chi rinuncia a pensare non diventa un esperto!”).

Una recensione del libro  Demenza digitale  di Manfred Spitzer edito dal Corbaccio (pp. 342, euro 19,90)


 

“Va fatto notare che sono proprio i social network ad accrescere l’isolamento sociale e la superficialità dei contatti, anziché migliorarli o approfondirli. Solo un esiguo numero di ragazzi ricollega alle amicizie online sensazioni positive, di cui invece si ha esperienza soprattutto nelle amicizie personali [..] viene da chiedersi perché nessuno faccia niente..”

“Sono convinto che dobbiamo essere prudenti nei confronti delle nuove tecnologie. Dovremmo imparare dalla storia: quando vennero  inventati i rai X, gli apparecchi per le radiografie divennero un passatempo molto diffuso alle feste dell’alta società e diventò di moda radiografarsi a vicenda le ossa […] solo dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ci si rese conto dei gravi danni provocati dalle radiazioni. […] Passarono altri venti anni prima che tutti gli apparecchi scomparissero dai negozi.” - Manfred Spitzer in Demenza Digitale

 

Manfred Spitzer è nato nel 1958 ed è laureato in Medicina e Psichiatria e dottore in Medicina, Psicologia e Filosofia. Da 16 anni è direttore medico e dirige la Clinica Psichiatrica e il Centro per le neuroscienze e l’Apprendimento della Università di Ulm. E’ autore di numerosi saggi e uno dei più rinomati studiosi di neuroscienze. Ha ricevuto diverse onorificenze, tra cui il premio per la ricerca della Società tedesca per la Psichiatria, la Psicoterapia e la Neurologia (DGPPN) così come il ‘Cogito-Preis’ dell'Università di Zurigo nel 2002.  È autore di numerosi libri di successo su temi relativi alle neuroscienze. Il più conosciuto, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, ha scatenato un acceso dibattito tra l'opinione pubblica tedesca, che ha avuto ripercussioni anche oltre confine. Spitzer si batte per la totale abolizione dei computer e degli altri mezzi di comunicazione moderni nelle aule delle scuole elementari e medie, in quanto dannosi, e non utili, per lo sviluppo cerebrale dei bambini. Il professor Spitzer è padre di sei figli.

 

‘Demenza Digitale’ è pubblicato in Italia da Corbaccio

Spitzer non si preoccupa di essere etichettato come antiquato, romantico e nemico della tecnica, anzi insiste nel chiedere a tutti di contribuire a impedire che le nuove generazioni finiscano per rimbambire. Da un lato contesta di essere un tecnofobo e di odiare la tecnologia perché convinto solo della necessità di adottare un atteggiamento fatto di prudenza e di riflessione critica. Ma poi sostiene che i dispositivi tecnologici siano paragonabili alle sigarette per la dipendenza che sono capaci di creare e per la loro pericolosità nel ridurre le nostre facoltà mentali e di mandare il nostro cervello all’ammasso. Andrebbero per questo aboliti!

Il libro di Spitzer è un vero e proprio pamphlet politico ideologico, ricco di provocazioni e pensieri tecnofobici radicali ma anche di numerosi racconti ed esempi usati per provare come la pervasività della tecnologia e la nostra arrendevolezza nei suoi confronti sia ormai causa di grandi tragedie ed evoluzioni future poco rassicuranti. E’ stata l’eccessiva fiducia dei piloti nei confronti del computer di bordo ad aver causato, ad esempio, l’inabissamento del volo Air France tra Rio de Janeiro e Parigi nel 2009. Una fiducia riposta sulla segnalazione di uno stallo dell’aereo inesistente e che ha impedito le azioni adeguate per gestire una situazione di emergenza. Una fiducia sempre più diffusa che interessa l’aviazione ma anche molti altri ambiti di vita quotidiana nella quale facciamo ampio uso di tecnologie. Un uso così persistente da renderci impossibile vivere o muoverci senza i nostri gadget tecnologici come smartphone, sistemi GPS e altre tecnologie indossabili. Un uso che tende a esautorare il nostro cervello da molte attività che ci vedono protagonisti e così facendo gli impedisce di allenarsi, di apprendere e di crescere. Il nostro cervello si modifica in base all’utilizzo che ne viene fatto e se l’hardware neuronale che lo caratterizza non è usato, esso è smantellato, lasciandoci in balia di strumenti e risorse esterne su cui abbiamo perso ormai ogni controllo.

Il titolo del libro Demenza digitale indica subito il tono e la visione di uno studioso che sta conducendo da anni una battaglia sull’effetto delle tecnologie informatiche sul cervello umano diventata anche una crociata mediatica e politica che interessa in primo luogo il suo paese, la Germania, e che ora punta  a trovare alleati anche altrove.

La crociata è contro la diffusione indiscriminata delle tecnologie ma anche contro le lobby delle società di software che promuovono e pubblicizzano in continuazione gli esiti straordinari delle ultime ricerche in base alle quali, grazie all’uso della tecnologia, i nostri figli saranno destinati a un radioso futuro ricco di successi e contro gli interessi economici che occultano le ricerche che invece indicano dati diametralmente opposti. Dati usati da Spitzer per illustrare nel suo libro documentatissimo e appassionato che il nuovo mondo tecnologico non è il migliore dei mondi possibili e che altri mondi alternativi possono essere costruiti.

I dati raccolti e usati a testimonianza di un’urgenza che non è una semplice battaglia contro i mulini a vento tecnologici sono numerosi e allarmanti:

  • Ragazzi nativi digitali che passano in media 7,5 ore davanti ad uno schermo (in Italia il 12,5% dei giovani che usano i media digitali lo fanno per più di sei ore al giorno)
  • Cresce il numero di bambini sovrappeso a causa di un'eccessiva esposizione ai gadget tecnologici.
  • Più dell’80% dei bambini in età tra i due e tre anni accendono la televisione da soli, più della metà cambia canale e più del 40% sa far funzionare un video o DVD
  • Il consumo eccessivo di televisione è strettamente collegato all’abbandono scolastico prima del diploma.
  • Ogni ora di utilizzo di un media digitale da parte di un adolescente fa aumentare del 13% il rischio di un legame meno intenso con i genitori e del 21% quello con coetanei e amici.

Accusato da molti, di essere superficiale e di esagerare Spitzer si difende in più punti del libro attaccando le lobby che impediscono alle idee come le sue di venire diffuse e favorire un’utile auto-consapevolezza. Per l’autore “Usare continuamente computer o smartphone ostacola lo sviluppo o il mantenimento di capacità come la memoria, l'autocontrollo, la concentrazione, la socialità, che possono rafforzarsi solo interagendo con il mondo reale. E non si dica che i media digitali aiutano l'apprendimento: molti studi dimostrano che l'introduzione a scuola di computer, tablet o lavagne elettroniche non porta a un miglioramento nelle competenze degli studenti. L'idea poi di utilizzare i media digitali anche per l'educazione e l'intrattenimento di bambini in età prescolare può sfociare in un disastro: a quell'età lo sviluppo cerebrale passa attraverso la manualità, i giochi collettivi, l'attività fisica, il canto e il disegno”.

Oggetto dello studio di Spitzer sono tutti i media sociali e le nuove tecnologie, Google e social network, chat e telefono mobili. Limitarsi a chattare, cinguettare, postare e navigare su Google, significa parcheggiare il cervello impedendosi di riflettere e concentrarsi. L’uso intensivo del dispositivo tecnologico finisce per scoraggiare lo studio e l’apprendimento e incoraggiare l’uso ancora maggiore del computer. I social network poi sono un fenomeno da demistificare per i numerosi surrogati tossici che dispensano indebolendo le capacità di socializzare nella realtà e facendo sorgere nuove forme di solitudine e di forme di malessere e depressione. Infine il multitasking consentito dai media si rivela nella sua illusorietà quando i ragazzi che lo praticano sono sottoposti a test cognitivi e mostrano un deficit maggiore nella capacità di mantenere elevata la concentrazione rispetto a chi è abituato a svolgere un’ attività alla volta.

Il terzo capitolo è una perorazione per una scuola diversa. Parla della scuola e di come la diffusione della pratica del ‘copia e incolla’ stia sostituendosi alla lettura e alla scrittura. Di fronte al nostro dispositivo di personal computing non riusciamo più ad immaginare una pratica diversa dal copia/taglia e incolla digitale. Una pratica richiesta dall'urgenza con la quale dobbiamo completare un lavoro e resa perfetta per la rapidità con cui è possibile portare a termine diverse tipologie di attività.

La pratica del copia e incolla è largamente diffusa a scuola, dove trova numerosi sostenitori (gli studenti) e pochi detrattori (gli insegnanti....non tutti). Peccato che la pratica abbia conseguenze importanti sullo sviluppo del cervello della persona, della sua memoria e dell'apprendimento. La psicologia e la ricerca scientifica hanno da tempo descritto e raccontato i meccanismi mentali legati alla memorizzazione e all'apprendimento e quanto essi siano tra loro collegati. La memoria non è soltanto uno spazio organizzato nel quale archiviamo dati e informazioni in base alla loro utilità nel breve, medio o lungo periodo ma è parte integrante del processo di elaborazione del pensiero e dell'apprendimento. E' l'elaborazione del pensiero con le sue sinapsi e i neuroni coinvolti, che ci permette di apprendere e di memorizzare quanto appreso. Senza elaborazione, cioè senza lavoro, concentrazione, esercizio mentale con le parole e fatica, non c'è apprendimento mnemonico. Lettura e scrittura sono attività che fanno lavorare diverse componenti cerebrali, mettendole in contatto tra di loro e favorendone l'interazione. L'attenzione e la concentrazione richieste dalla lettura assicurano una memorizzazione e un apprendimento migliore e aiutano la nostra percezione contribuendo a educare il nostro cervello nell’interazione con il mondo esterno e a farlo sfruttando al meglio le numerose informazioni immagazzinate.

Se i risultati di queste ricerche sono vere, e non c'è alcuna indicazione che non lo siano sostiene Spitzer, significa che tutto ciò che non alimenta forme di pensiero e di  elaborazione intensiva, rischia di peccare di superficialità e di attivare meno sinapsi e componenti del cervello. La cosa sembra essere abbastanza ovvia e condivisibile ma, se è così, Internet, media digitali e nuove tecnologie possono essere viste come elementi capaci di produrre effetti negativi sull'apprendimento. Non sono effetti intrinseci alla tecnologia ma il prodotto dell'uso che ne facciamo, prevalentemente finalizzato alla rapidità di esecuzione, alla facilità di reperimento di nuova informazione e conoscenza e all'utilizzo di funzionalità capaci di semplificare le nostre azioni e attività. Non è un caso che si sia sottolineato da tempo come su Internet non si legga ma si navighi, non si approfondisca ma si scorra da una pagina all'altra senza mai arrivare in fondo alla prima, non si pratichi la lentezza e l'attenzione ma la velocità e lo sguardo superficiale e sfuggente.

Il capitolo quinto dedicato al social networking, è un grido di allarme pensando alle nuove generazioni di nativi digitali, e serve all’autore per mettere in guardia contro le false identità e gli effetti negativi che ne derivano in termini di cyberbullismo, stalking, furto di identità. Il rischio maggiore è però celato nelle pieghe stesse del social networking. Tanto più si sviluppa quello online  e tanto meno viene praticato l’unico valido e necessario, quello offline, con amici veri perchè riconoscibili dalla faccia e dalle sue espressioni non verbali, dal tono della voce e dall’olfatto. I rischi dei social network stanno nelle molte forme di solitudini e di malesseri che sono in grado di produrre ma soprattutto nella loro grande capacità di creare contagio. “Corriamo il rischio – dice Spitzer – che Facebook & Co, riducano il cervello sociale globale […] è davvero inquietante constatare che oggi Facebook venga utilizzato da più di un miliardo di persone.”

Nel tredicesimo capitolo Spitzer se la prende con tutti coloro che mettono la testa nella sabbia avendo deciso di non fare nulla per limitare e combattere la dipendenza dalle tecnologie e dai media digitali. La verve polemica e molto politica dell’autore è rivolta in primo luogo ai politici accusati di non fare nulla e in molti casi di agire al contrario legiferando in favore della colonizzazione tecnologica in atto. Molte scelte dipendono da ignoranza e incapacità a comprendere i cambiamenti in corso ma anche dal fatto che le generazioni più interessate ala tecnologia come i ragazzi che frequentano le scuole non sono ancora in età per votare.

L’attacco è però trasversale e si rivolge anche a scuola, parrocchia, istituzioni. “La situazione è sempre più seria – sostiene Spitzer - e diventa difficile vedere chiaramente l’effetto che i media digitali hanno su di noi. I politici non vogliono o non possono farlo, le chiese si preoccupano di non allontanare i giovani, alcuni professori (pedagoghi digitali) sono pagati per fornire spiegazioni contrarie alle scoperte scientifiche, le istituzioni di studio e ricerca sovvenzionate con soldi pubblici non studiano nulla, bensì occultano e nascondono i dati: infine i ministeri competenti appaltano ogni cosa […] cedendo al potere dei mercati e delle lobby”. Una visione ben lontana dalle utopie tecnofile in circolazione e molto pessimista sulla possibilità di fermare il declino cognitivo, mentale e umano.

Spitzer non si limita a condividere la sua analisi e visione catastrofista ma elabora e propone anche una proposta su cosa fare con l’obiettivo evidente di trovare alleati nella sua crociata anti-tecnologica o di convincere singoli individui e lettori del suo libro a sperimentare nuove pratiche quotidiane cambiando abitudini e comportamenti.

Per agire per il cambiamento bisogna partire dalla consapevolezza che i media digitali fanno ormai parte integrante della nostra cultura, aumentano la nostra produttività, facilitano la vita e rappresentano un importante strumento di divertimento. Non si tratta quindi di combatterli o eliminarli (eppure in altre parti del libro la proposta di farlo è urlata per renderla ben leggibile) ma di contrastarne il predominio e la tendenza a creare dipendenze nocive capaci di produrre la demenza digitale e l’avvizzimento del cervello.

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L’unica misura praticabile in grado di ridurre dipendenza ed effetti negativi è la riduzione drastica nell’uso. Esattamente quello che si fa con sigarette, alcol, aperitivi vari e droghe sia leggere che pesanti. Inutili e non sufficienti sono le campagne pubblicitarie finalizzate a sconsigliare il consumo. Non sufficienti gli interventi nelle scuole o le imposizioni familiari. Meglio focalizzarsi su un approccio olistico, capace di agire sul benessere mentale e fisico della persona. Un approccio che Spitzer traduce in una specie di nuove tavole della legge da osservare in modo quasi religioso:

  • Mangiare sano con molti mirtilli e broccoli
  • Dedicare mezz’ora al giorno al movimento (se devi far la spesa, vai a piedi)
  • Cercare di pensare di meno e concentrarsi sul momento presente
  • Puntare a obiettivi realizzabili
  • Aiutare gli altri
  • Non dare troppo peso al denaro, non fa la felicità né la salute di nessuno
  • Ascoltare musica
  • Cantare perché è un'attività molto salutare
  • Sorridere molto
  • Semplificarsi la vita
  • Trascorrere molto tempo a contatto con la natura
  • Esercitare i media digitali

 

Bibliografia

  •  Demenza digitale (Corbaccio, pp. 342, euro 19,90)
  • Lernen: Gehirnforschung und die Schule des Lebens (German Edition)
  • The Mind within the Net: Models of Learning, Thinking, and Acting
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