2017 - Bufale, post-verità, fatti e responsabilità individuale /

Bufale, post-verità, fatti e responsabilità individuale

Bufale, post-verità, fatti e responsabilità individuale

01 Giugno 2017 Redazione SoloTablet
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BUFALE

 

Il libro di Carlo Mazzucchelli Bufale, post-verità, fatti e responsabilità individuale è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Bufale per scimmioni intelligenti

Le bufale o false verità esistono da prima dei social network ma, grazie a essi e ai loro automatismi algoritmici inadeguati per il fact checking e insufficienti nel produrre una valutazione editoriale dei contenuti da pubblicare, hanno trovato lo strumento virale perfetto per creare infezioni (le verità che si autoalimentano dalla proliferazione di post, condivisioni e MiPiace) dagli effetti per il momento molto sottovalutati e forse poco compresi. Infezioni che sono parte di una malattia più grande e che concorrono a evidenziare la crisi che si sta vivendo, non soltanto quella del giornalismo ma anche quella sociale, etica, valoriale e politica. Infezioni che stanno dentro la grande regressione alla quale stiamo assistendo, partecipando e contribuendo.

La regressione si manifesta nella pratica del politicamente corretto, si racconta nella postmodernità fatta di sole interpretazioni e di molteplici o nessuna verità ("Non ci sono fatti. Esistono solo le interpretazioni, e anche questa è un'interpretazione" - Nietzsche), nell'abbandono di valori, principi morali, modi di pensare e conquiste culturali ritenute acquisite e consolidate da tempo, pur nella fatica della loro pratica ed esperienza quotidiana, e oggi messe in discussione dalla crisi che sta interessando molti aspetti della società del terzo millennio. È  una regressione che determiniamo anche online attraverso la semplice partecipazione alle piattaforme tecnologiche che abitiamo, soprattutto per il modo, spesso irresponsabile, superficiale e inconsapevole, con cui lo facciamo. Una regressione che racconta molto dell'essere digitali di quasi quattro miliardi di persone (2,3 miliardi usano i social network e le APP di messaggistica come WhatsApp) che oggi utilizzano Internet e, pur nel surplus informativo nel quale sono immerse, della loro diminuita attenzione ai dati e ai fatti concreti.

Racconta molto anche della difficoltà a separare le notizie vere da quelle false, quelle inventate, infondate e manipolate da quelle legate a fatti concreti e verificabili. Una difficoltà dipendente spesso dal linguaggio e dagli stili comunicativi, usati per diffondere false notizie o popolare Internet di bufale e di narrazioni ingannevoli. Linguaggi vibranti, fortemente emotivi con stili linguistici pensati ad arte per creare reazioni violente, indignazione, emozioni forti e per instillare il dubbio su ogni cosa. Reazioni simili a quelle che si sono manifestate nella piazza di Torino, probabilmente a causa della semplice parola "bomba" lanciata in mezzo alla folla.

Vaccini, scelte e alluvioni

La potenza del linguaggio parlato dalle false notizie sta nella sua capacità evocativa che dà forza alla narrazione e rende insufficiente la verifica dei fatti, sottoponendoli a una logica razionale, analitica e informata. Ciò che servirebbe è una qualche forma di vaccinazione che, attraverso l'esposizione a versioni indebolite di bufale, fosse in grado di sollecitare nella mente del lettore una risposta immunitaria contro la disinformazione e la misinformazione. Una vaccinazione di questo tipo potrebbe servire ad esempio per resistere a fenomeni come quelli che periodicamente invadono la Rete. Fenomeni come il più recente Blue Whale, da molti ritenuto pericoloso, solo però dopo un servizio televisivo delle Jene e una sua mediatizzazione virale, e responsabile del suicidio di molti adolescenti, ma da altri ritenuto costruito ad arte e basato esso stesso su una bufala dai contorni ancora poco chiari. Fenomeni come l'emergere del movimento contro i vaccini, la cui consistenza ha sorpreso molti ma forse non i ricercatori e gli scienziati che conoscono il lavoro scientifico che, parlando dei vaccini come possibili cause di autismo, è stato all'origine del nuovo pensare comune che accomuna le persone No-Vac.

La regressione che stiamo vivendo spiega infine come, nell'epoca in cui tutti sembrano essere in pieno controllo delle loro vite, molti hanno difficoltà crescenti a fare delle scelte e ad assumerne le responsabilità (si deve - non si deve) derivanti, verso di sé così come verso la società in generale. Sono difficoltà che interessano sia quanti sono all'origine di false notizie e bufale, sia coloro che ne sono le vittime. I primi dovrebbero sentire l'imperativo morale kantiano alla veridicità ("la verità come dovere morale"), i secondi quello allo svelamento della menzogna e delle sue conseguenze.

Le bufale che girano in Rete sono in genere ben costruite, camuffate e predisposte per la manipolazione del meno informato così come del più istruito, del Millennial nativo digitale così come del Baby Boomer immigrato digitale. Sono bufale che diventano virali per il modo con cui sono pubblicate e diffuse in Rete dalle persone che abitano i social network, ma la cui viralità è oltremodo alimentata dalle logiche applicative e dagli algoritmi stessi di quelle piattaforme, che sfruttano la forza magnetica delle false notizie per riorganizzare i contenuti e gli spazi commerciali delle pagine web degli utenti (segui la bufala e aumenterai l'esposizione, i click...e i guadagni). Da un lato ci sono comportamenti individuali e di massa, fortemente radicati nella natura umana e noti da tempo a psicologi e sociologi, dall'altra c'è la crescente abilità nel costruire intelligenze software, più o meno artificiali, capaci di prevedere le reazioni degli utenti, dirottare il loro interesse e le loro emozioni così come le varie aggregazioni e comunità virtuali che si formano, e produrre effetti desiderati. A costruire software di questo tipo non ci sono solo i grandi produttori di piattaforme tecnologiche, gli stati, i governi e i loro servizi di informazione/disinformazione ma anche gruppi e persone che usano le false notizie per catturare traffico online e così facendo realizzando piattaforme online capaci di attrarre grandi investimenti pubblicitari e promozionali.

Le bufale hanno la forza delle alluvioni, delle valanghe e delle cascate dell'Islanda e come queste si organizzano, si muovono e si propagano. Si muovono su percorsi prestabiliti ma sono anche in grado di occupare spazi liberi come se fossero stati loro da sempre e, una volta occupati, non li lasciano liberi né facilmente né in tempi brevi. Sanno sfruttare le debolezze e la natura umana, le dinamiche della sua psiche e il modo con cui interagisce con il contesto nel quale è immersa e la realtà, sia essa fisica, sociale o relazionale, con la quale interagisce. Sono abili nel persuadere sulla loro bontà e verità, di agire a livello cognitivo ed emotivo, di orientare attraverso artifici linguistici e retorici e di incidere sui comportamenti delle persone modificando credenze e opinioni. Le bufale nascono per catturare l'attenzione, farsi comprendere e accettare, per sedimentarsi nella mente delle persone e determinare azione e comportamenti.

Nei social network tutto ciò si trasforma in un processo che porta alla diffusione (ogni link postato nella pagina di Facebook o cinguettato ci rende complici) di contenuti non necessariamente verificati e a farlo a una velocità tale da impedire ogni riflessione o razionalizzazione ulteriore che possa servire a verifiche successive. Ne derivano processi decisionali assimilabili a quelli indotti nei punti vendita da messaggi, percorsi visuali (Digital Signage) e promozionali, disposizione delle merci sugli scaffali e degli spazi, programmati per influenzare il modo di pensare, per aprire la black box del consumatore e influenzarlo nelle sue scelte di acquisto. Dopo avere battuto un percorso di questo tipo, quasi senza accorgersene, il consumatore rischia di fare acquisti non previsti e di orientare le sue scelte in base ad informazioni provenienti dall'esterno e mai verificate a livello personale. Spesso per mancanza di tempo, per soddisfare bisogni primari prima ancora che consumistici, come quelli legati al senso di appartenenza a una Marca, un marchio o una comunità di suoi supporter. Ma anche per la qualità dei messaggi, del loro linguaggio e per l'abilità delle arti e delle tecniche persuasorie praticate da esperti marketing e commerciali. Come i prodotti, intesi nella loro forma simbolica, anche le bufale e le false notizie mirano a polarizzare l'attenzione, a velocizzare la condivisione, a condizionare comportamenti e processi decisionali e di scelta.

Contagiosità, dati spazzatura e conformismo

Grazie a queste capacità le bufale sono contagiose, possono diventare rapidamente attrattive e, in particolare se finalizzate a generare reazioni emotive forti, così virali da suggerire a tutti l'urgenza della verifica costante delle fonti, dei fatti da esse raccontati e dell'autorevolezza e credibilità di chi le ha create e distribuite in Rete. Un'attività non semplice, che richiede una lentezza alla quale non siamo più abituati (quanti sono coloro che si irritano per ogni ritardo manifestato in reazione a un click? ... eppure la reazione-risposta spesso arriva dopo aver viaggiato per mezzo mondo e attraverso satelliti orbitali!). Obbliga a una pausa di riflessione (le bufale digitali raggiungono in genere un picco di viralità in pochissimo tempo ma poi si stabilizzano permettendo una riflessione più ragionata), per una lettura critica dei fatti facendo ricorso a strumenti culturali ma non solo. Suggerisce una grande disponibilità a non cedere all'opinione pubblica corrente, spesso dettata e condivisa con gruppi omogenei e omofiliaci di persone, con cui si condividono interessi e abitudini, a non adeguarsi agli stili di vita conformisticamente adottati, a remare contro, svelando la quantità di spazzatura (dati escrementizi li aveva chiamati il filosofo Arthur Kroker agli inizi degli anni 2000) che sommerge la Rete e la fallacia del sentirsi soddisfatti per la ricchezza informativa da essa fornita.

Una scelta e comportamenti, quelli di andare contro corrente rispetto al conformismo diffuso attuale, difficili da adottare, perché vanno contro la dimensione piacevole dei Social Network. Si scontrano con una realtà caratterizzata dalla moltiplicazione crescente delle bufale e delle false notizie, finalizzate alla falsificazione della realtà anche attraverso la manipolazione semantica dei significati delle parole (è sufficiente analizzare l'uso della parola Tedesco associata alla nuova legge elettorale italiana, che di tedesco non ha proprio nulla), e dalla scarsità di reazioni (anche da parte di entità  istituzionali e culturalmente attrezzate come i media tradizionali) finalizzate a smascherarle e privarle di ogni validità, nella consapevolezza che le bufale non siano affatto innocue, né sul breve così come nel lungo periodo.

La difficoltà nasce anche dalla complessità del mondo in cui viviamo e dalla tendenza ad affidarsi a profeti, guru, maghi della Rete, capitani d'impresa, tecnologi e potenti di turno evitando con cura di prendersi carico del proprio destino. Facendolo si potrebbe usare la propria creatività, intelligenza e conoscenza per elaborare pensiero, riflettere sui fatti ma anche sui meccanismi cognitivi ed emotivi che governano molte scelte e azioni. Si potrebbe andare alla ricerca di eventuali errori, falsificare e verificare verità, narrazioni, interpretazioni e spiegazioni del mondo altrui. Farsi carico di questo tipo di approccio significa ad esempio cercare di approfondire meglio le ragioni degli animalisti che stanno bloccando la ricerca scientifica in Italia in modo da poterle combattere adeguatamente, le motivazioni dei No-Tav di cui conosciamo quasi solamente la versione governativa e del potere, dei No-Vac (No-Vaccinazioni) che all'improvviso sembrano essere diventati coorti (possibile che esistano solo da quando i media hanno dato loro ampia visibilità? chi si fa carico di svelare le loro ragioni e quanto esse siano fondate e senza effetti nocivi?), dei numeri sull'immigrazione che lievitano ad ogni stormir di elezione e che come ha spiegato bene Paolo Pagliaro sono ben lontani da quelli solitamente citati nel talk show.

Farsi carico in prima persona del proprio destino non significa soltanto scovare le bufale e scoprire chi le ha generate. Permette anche di operare una sana contro-informazione che può aiutare nel contrastare le molteplici narrazioni del potere di turno indirizzate a mantenere lo status quo con il suo carico di differenze sociali, disuguaglianze e ingiustizie, oppure create ad arte per giustificare azioni politico-militari come quelle condotte in Iraq e che hanno condotto a una guerra costruita sulla menzogna e della quale oggi paghiamo le conseguenze nella vita reale. I fatti terroristici di questi tempi e le barbarie del movimento islamico Daesh non sono infatti che uno degli effetti della menzogna raccontata al mondo intero sul possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein. Ammettere questa verità sembra non essere ancora ammesso ma farlo aiuta alla comprensione dei fatti correnti e a mettere in campo le adeguati misure preventive. È una verità che coraggiosamente, a due giorni dalle elezioni, ha sostenuto Jeremy Corbin, candidato alla premiership inglese post Brexit. Una verità che sembra abbia trovato un riscontro in due sondaggi che hanno evidenziato una condivisione di questo punto di vista da parte del 70% dei campioni intervistati.

La menzogna sull'Iraq è stata usata per occultare la verità e distorcere il significato di scelte politiche ed eventi e diffusa con la complicità di molti media (negli anni seguenti il New York Times riconobbe la cosa con un articolo dal titolo significativo di Weapons of Mass Destruction? Or Mass Destraction?) che non hanno avuto il coraggio di svelare a tutti quello che conoscevano, l'inesistenza delle armi sopra menzionate.  Allo stesso modo si potrebbe cercare di svelare l'assurdità di un movimento Cinque Stelle che pratica la democrazia della Rete e poi si dichiara disponibile a votare una legge elettorale che nella pratica toglie ogni possibilità all'elettore cittadino di scegliersi il suo rappresentante (quanti sono gli elettori che hanno compreso il grande inganno delle legge elettorale prossima ventura e quanti sono disposti a svelarlo denunciandolo?).

Esercizio di responsabilità individuale

L'assenza di reazioni volte alla verifica dei fatti e alla loro comprensione rientra in quella che da tempo è una mutazione in corso nel mondo occidentale (e non solo). Pertiene all'etica della responsabilità individuale, non necessariamente dettata da qualche diritto istituzionale o divino ma neppure dall'ordinamento sociale nel quale ogni individuo è innestato. La secolarizzazione ha ridotto di molto il ruolo e il peso dell'etica religiosa (responsabilità della persona) e le numerose conoscenze psico-neuro-fisiologiche acquisite, che suggeriscono una qualche forma di determinismo, ci spiegano come esso impedirebbe la libera determinazione dell'individuo a causa del condizionamento ricevuto dalla società in cui vive. È un determinismo al quale si fa costantemente appello e che descrive un essere umano in balia di forze, più o meno potenti e sovrannaturali, a cui sarebbe impossibile o poco conveniente resistere. E poco importa se in realtà il principio di responsabilità individuale è una convenzione senza la quale non sarebbe possibile alcuna relazione ma neppure ogni umana convivenza. L'evidenza di ciò sta nella costante ricerca di un responsabile o di un capro espiatorio, esercizio che non è scomparso neppure nelle attività online e che trova, negli spazi abitati della Rete, nutrimento e incoraggiamento costanti.

Il responsabile si è cercato anche per il terribile rogo che a Roma nella prima settimana di maggio 2017 ha tolto la vita a tre ragazze, colpevoli non di essere di etnia Rom ma di trovarsi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Se poi fosse stato trovato un capro espiatorio, ancora meglio. In attesa delle indagini della polizia e alimentati dalle narrazioni giornalistiche, non sempre legate ai fatti e attente alle storie, sono proliferati in Rete commenti, prese di posizione e opinioni che sembrano pensate da abili creatori di bufale e di false e post-verità. Sono state prese di posizione non necessariamente formulate per sostenere una tesi ("prima o poi doveva succedere") o per suggerire una precisa responsabilità ("è una semplice lotta tra clan malavitosi") ma che hanno denotato in massima parte una limitata conoscenza dei fatti, un'impressionante mancanza di umanità ("continuiamo a rimanere umani" diceva l'attivista italiano Vittorio Arrigoni ucciso nei territori palestinesi nel 2011) e un'assoluta incapacità a proiettare il proprio pensiero nel futuro, in realtà che saranno sicuramente molto diverse da quelle attuali, perché determinate dai fenomeni sociali globali e profondi, come la migrazione delle genti in atto, che le avranno determinate.

Chi non resiste, usando i numerosi strumenti tecnologici di cui dispone, all'impulso di fare commenti, un impulso determinato dalla percezione che la tecnologia è libertà e dallo spasmo nevrotico che sempre è generato dalla frequentazione degli spazi sociali digitali e virtuali, non lo ha fatto per dare un contributo di riflessione ma principalmente per vivere l'attimo frenetico ed irresistibile della notizia emergente e per cercare visibilità, misurabile nel numero di MiPiace o di reazioni online. Una pia illusione considerando la vastità del pubblico che caratterizza ambienti come il muro delle facce (Facebook, per chi ama la contaminazione linguistica e l'iconografia della Grande Marca), la difficoltà ad attrarre attenzione e tempo dei naviganti e la limitatezza degli strumenti usati dalla maggioranza delle persone che li frequentano. Un'illusione che però descrive molto bene i sogni o gli incubi di cui sono popolate le menti di molti internauti e degli utilizzatori di dispositivi tecnologici, i loro pregiudizi, il loro scarso esercizio delle facoltà critiche, la loro psicologia e la percezione della realtà della realtà da essi elaborata. Una realtà illusoria fatta da una miriade infinita di giochi di specchi che finiscono per impedire la distinzione netta tra sorgenti dell'immagine e semplici riflessi.

Gabbie, caverne, acquari e bolle di sapone

L'illusione che prende vita online è in realtà una gabbia elettronica e tecnologica, invisibile come una bolla di sapone ma anche come lo è il profilo incorporeo con il quale si sta in Rete. Un profilo digitale, ma non per questo meno presente e meno vincolante, seppure virtuale, algoritmico (pura sequenza di logica applicativa, dati e metadati) e digitale. Un profilo il cui ruolo è di far percepire agli altri la libertà nelle scelte e nelle azioni ma in realtà è costretto dentro i perimetri e le limitazioni imposte dalla piattaforma su cui è attivo, un profilo al quale è assegnato il compito importante di esprimere un libero consenso (manifestato con i MiPiace e le condivisioni ma guidato dagli algoritmi che decidono collegamenti, contatti e interazioni) che in realtà è esattamente ciò che la gabbia si aspetta da lui, in ottemperanza alle leggi della trasparenza che la governano.

È una gabbia manipolatoria, dorata, riscaldata e confortevole, deodorata con profumi, spezie e incensi, per eliminare gli odori e le puzze del mondo esterno, dotata di pareti display piene di ologrammi e narrazioni e che riesce a fare dimenticare la realtà, il corpo, il tempo e lo spazio, trasformandoli in pure simulazioni e metamorfosi. Il corpo è come liquefatto nella fantasmagoria dei dati che lo rappresentano e che fluttuano liquidi nella forma di pura comunicazione trasformata in realtà. Il corpo, diventato algoritmo matematico, sequenza e semplice discarica di dati, spesso improduttivi e mendaci, assume una sua vita propria e soggettività. Si mette a suo agio nel flusso degli eventi che altri hanno programmato per lui con l'obiettivo di farlo stare bene, di impedirgli di risalire al programmatore e alle informazioni che hanno guidato le sue scelte e decisioni ma soprattutto di scoprire il grande miraggio in cui è stata trasformata la realtà dentro la ragnatela globale del Web.

È un miraggio che va tenuto in vita perché la sua sparizione, con il conseguente  probabile ritorno alla realtà, non scoprirebbe soltanto i segreti del Matrix e del suo ordine simbolico imposto alle masse ma, come ha scritto Slavoy Žižek, svelerebbe l'uso che di ogni corpo viene fatto per produrre l'energia (elettricità) necessaria ad alimentare la mega-macchina del Matrix stesso (metafora e parodia dell'uso elettorale delle masse nelle moderne e decrepite democrazie occidentali). In questo senso quando, casualmente o per scelta, una persona si sveglia dalla sua immersione (nel film le capsule uterine che fanno crescere e alimentano i corpi degli abitanti del Matrix) la realtà che si trova di fronte non è quella felice e spaziosa della realtà fattuale ma l'infinita sequenza di macchine che contengono e alimentano i milioni di feti immersi nel liquido prenatale. Una realtà così orribile e deprimente da suggerire il rientro immediato nella capsula amniotica predisposta dai novelli Matrix oggi esistenti, siano essi Facebook, Instagram o Google. Piattaforme mamma sempre disponibili, come tante scrofe di allevamento impossibilitate a lasciare il loro recinto claustrofobico, a erogare il loro liquido nutritivo a tutti coloro che fanno a gara per accaparrarselo e succhiarlo.

Il film Matrix è pieno di contraddittorietà e ambiguità, di inconsistenze narrative (causate anche dal fatto che Matrix non era stato pensato per essere una trilogia) e, a suo modo, di false e pseudo-verità (ci sono anche alcune madornalità tecnologiche) ma illustra bene quanto la tecnologia non sia la sola responsabile della condizione in cui ci si trova a vivere. Non è un caso che i due fratelli registi (ora sorelle dopo la rigenerazione transgender) abbiano preso a riferimento alcuni testi filosofici come Introducing Evolutionary Psychology di Dylan Evans, Out of Control di Kevin Kelly e Simulacri e impostura. Bestie, beaubourg, apparenze e altri oggetti di Jean Buadrillard. Oltre al software e alle macchine, responsabili del Matrix sono anche coloro che manipolano la macchina per prendere e mantenere il potere e il controllo, nel film attraverso il furto del corpo virtuale degli individui coinvolti togliendo loro ogni forma di controllo personale. Complici sono tutti coloro che non sanno dell'esistenza della pillola rossa redentrice, non ne conoscono gli effetti o si rifiutano di prenderla preferendo la cura sedativa della pillola blu che alimenta la felicità illusoria ma confortevole e ingannatrice del Matrix.

La fuga da questa prigione, sia essa Matrix (labirinto simulato della nostra mente tecnologicamente modificata), Facebook (vera e propria gabbia per scimmie digitali ma anch'esse nude), Centro Commerciale (magistrale la sua descrizione in forma di romanzo fatta da José Saramago nel suo libro Caverna) o Realtà Virtuale, è impossibile perché nessuno in realtà vuole da essa fuggire o perché pochi hanno la capacità o la possibilità di riflettere sulla propria condizione per elaborare strategie di fuga (e se la vera realtà fosse diventata proprio quella virtuale?). Esattamente come non possono liberarsi e uscire gli uomini della caverna di Platone che, costruita come se fosse un teatro delle ombre, ha dato origine a uno dei miti e delle metafore filosofiche più discusse dai filosofi di tutti i tempi.

Fuori dalla caverna-prigione digitale il mondo esterno è fatto di tante cose normali, piante, sole e pianeti, fiori e animali, persone e comunità, fiumi e laghi (in un prossimo futuro loro stessi semplici oggetti, interconnessi e interagenti attraverso sensori e microprocessori tra loro comunicanti). Tutte cose che, nella caverna di Platone, sono celate ai suoi abitanti da un muro (parafragma - schermo) che permette di vedere, peraltro soltanto riflesse sulla parete illuminata in fondo alla caverna, solo porzioni di realtà (gli oggetti trasportati sulla testa da persone invisibili), percepite però dai cavernicoli platoniani come verità. Nella prigione tecnologica il muro è virtuale e invisibile agli occhi, ma non meno capace di alimentare illusioni generando ombre riflesse proiettate sulla parete opposta, che funziona come uno schermo ma anche come ripetitore delle voci che popolano la cavità della caverna, e che vengono associate erroneamente alle stesse ombre proiettate in parete. Un duplice inganno, visuale e sonoro che ben si applica anche alla realtà degli schermi attuale così come è stata descritta da Sherry Turkle nei suoi libri. L'abbandono della caverna così come quello della prigione digitale è reso complicato dal disorientamento e smarrimento generato da ogni tentativo di fuga o, nel caso del mondo virtuale ingabbiato, da un ritorno riuscito nella realtà analogica e fisica delle cose, degli oggetti e delle persone.

Pochi riusciranno a fuggire realmente ma per sentirsi finalmente liberi dovranno attraversare varie fasi esperienziali e di conoscenza, prima di arrivare a sentirsi nuovamente sereni e immersi nella nuova realtà. La libertà acquisita potrebbe spingerli al gesto generoso di portare la libertà ai loro compagni di prigionia con risultati imprevedibili e negativi. Chi è rimasto a lungo nella caverna-prigione difficilmente crederà a qualcuno che, come succede al fuggiasco della caverna di Platone (ma forse anche nelle caverne virtuali di Facebook), non è neppure più in grado di vedere le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna. Ogni forma di insistenza non porterà che alla derisione e poi all'arrabbiatura e alla reazione violenta (un po' quello che succede quando si cerca di impedire ai ragazzi di usare lo smartphone a tavola con argomentazioni ritenute sagge ma percepite come ridicole e fuori tempo e che provocano reazioni tipiche delle persone più giovani, riassumibili nella frase "tu non capisci" o in inconsulti gesti violenti, anche auto-inflitti).

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False notizie, complotti, logiche della caverna e pratiche digitali

Chi costruisce, per gioco o con finalità precise, le bufale della Rete, spesso in forma di complotti o teorie complottistiche, leggende metropolitane o storie inventate, conosce molto bene la logica della Caverna, i comportamenti diffusi delle pratiche digitali e online, i meccanismi cognitivi che forniscono le risorse che le rendono possibili e le governano, l'intensità emotiva che le accompagna, le dinamiche di rinforzo che le rafforzano, il bisogno di storie autentiche che le giustificano, le polarizzazioni che producono e i contesti nei quali si esprimono.

Sa di potere trarre vantaggio, da modi di interagire con le realtà online che hanno trasformato la maggioranza dei naviganti in macchine tecnologiche, istintive, spasmodiche e spasmatiche, più propense a rispondere agli input ricevuti che a fare esperienza reale delle cose. Come spiegare diversamente comportamenti come quelli che spingono semplici passanti a scattare un selfie di fronte alle vittime di un incidente o ad anteporre allo sguardo sorridente di un bambino o di una bellissima fanciulla (o maschietto) la lente della propria macchina fotografica? Come spiegare un selfie scattato lasciandosi alle spalle panorami mozzafiato che dovrebbero suggerire a tutti di sospendere ogni interazione tecnologica per immergersi nel flusso delle immagini e delle emozioni? Come spiegare la viralità che molte bufale assumono online trasformando falsità e menzogne virtuali in realtà dolorose e violente? E come infine spiegare l'uso della televisione che viene fatto da parte di produttori televisivi più propensi a scansionare le emozioni umane, alla ricerca di una possibile e lucrativa (perché collegata a qualche forma di promozione o pubblicità) interazione, che a fornire documenti di verità e fattuali (ogni riferimento ai programmi di Bruno Vespa è possibile...). Più della verità conta la velocità dell'interazione e la ripetizione infinita (la mente va alla pubblicità recente della TIM e al suo jingle, sonoro e visuale) che genera empatia, distrazione, disattenzione, liquidità e spesso anche isteria. Nel rumore di fondo che si genera spariscono le distinzioni tra vero e falso, fattuale o artefatto, storie e narrazioni, verità e post-verità o false verità.

L'assenza di una pausa riflessiva o di una riflessione critica sulle notizie lette online è spiegabile con le trasformazioni in atto nella psico-fisiologia dell'utente della Rete. Quando si è connessi, il mondo digitale al quale si appartiene è più vasto e profondo di quello reale, anche perché per molti esso lo ha definitivamente sostituito. I suoni, le immagini, i messaggi e le percezioni da esso generate producono onde galattiche, assimilabili a quelle amate dai surfisti di tutto il mondo, onde d'urto rumorose, violente e capaci di proiettare chiunque nelle profondità immense dello spazio virtuale, accecando la vista sulla realtà solida della spiaggia all'orizzonte. Il rumore di queste onde è tale da far scomparire la voce umana di chi le sta cavalcando. La loro velocità e accelerazione impediscono ogni forma di reazione diversa da quella che suggerisce al surfista di adattarsi alla forma dell'onda per evitare di essere travolti e sopraffatti. Presi come si è dall'interazione con l'onda, si vive una specie di delirio (uscita dal solco), si dimentica ogni cosa, compresi se stessi. Più della psiche del surfista-navigante conta la sua capacità di seguire la componente sonora e visuale dell'onda che sta cavalcando, anche se l'effetto finale potrebbe essere una psicosi digitale che impedisce il facile ritorno sulla terra e di misurarsi nuovamente con la sua sabbiosa ma pur solida realtà.

Le onde rumorose della realtà digitale non sono molto diverse da quelle create artificialmente da molti programmi televisivi. Programmi di informazione che in realtà producono pura fiction o infotainment (informazione e divertimento ma sempre più il secondo della prima) e che puntano sulla TV-verità ma che in realtà sostituiscono, sempre più spesso e con intenti manipolatori, il vero con il verosimile, la documentazione giornalistica con la docu-fiction, il fatto con la sua interpretazione e la verità con la falsità. Succede così che folle (spesso fatte apparire tali da abili trucchi di ripresa e di regia) urlanti di individui vengano usate per lanciare artatamente messaggi falsi e manipolatori come quelli che raccontano la violenza brutale e la cattiveria degli immigrati o descrivono città invase dai rifiuti e dai topi anche quando non lo sono. Al termine di queste trasmissioni, chi vi ha partecipato passivamente, rischia di sperimentare reazioni emotive, di simpatia o di ripulsa, anch'esse artefatte perché indotte e coltivate da chi ha abilmente scritto la sceneggiatura del programma e da chi l'ha condotto in studio.

Sovraccarico di informazione, inflazione di dati e comunicazione

Televisione e media tecnologici, Internet e i suoi abitanti sono tutti responsabili della produzione di una quantità di informazioni mai sperimentata precedentemente nella storia del genere umano. È una quantità tale da generare un surplus informativo e soprattutto cognitivo dal quale è diventato difficile liberarsi o trarne vantaggio. È un'inflazione di dati che testimonia il prevalere attuale della comunicazione sull'informazione, non si trasforma automaticamente in nuova conoscenza, non porta necessariamente a scelte migliori, rischia di atrofizzare le capacità di giudizio e inibire l'intuizione, può generare opacità e grande e diffusa ignoranza.

Una maggiore quantità di informazione non produce automaticamente l'accesso alla verità e neppure più verità. Un surplus informativo non è sufficiente per dare un senso alle cose, per scoprirne la direzione e per fare chiarezza in modo da migliorare comprensione e capacità di analisi. L'ignoranza e l'opacità derivanti sono legate anche al mezzo tecnologico utilizzato, uno strumento di cui non si coglie il suo essere uno spazio privato e circoscritto come lo è il perimetro applicativo di piattaforme come Facebook o Instagram. Piattaforme applicative di cui peraltro si preferisce non conoscere la destinazione d'uso reale e le motivazioni economiche che le giustificano del suo produttore, la scarsa (riferita all'uso che ne viene fatto all'insaputa dell'utente) o eccessiva (riferita al richiamo costante a essere trasparenti e a raccontare tutto tipica di piattaforme come Facebook) trasparenza e i suoi effetti collaterali.

Ai tempi della cultura alfabetica l'informazione era principalmente trasmessa attraverso supporti cartacei, ma i libri e i documenti scritti erano limitati e quindi letti solo da coloro che ne disponevano, senza timore alcuno di un sovraccarico dagli effetti imprevedibili o nocivi. Nel mondo ipersaturo dell'informazione e della cultura digitale di oggi, difendersi dalle alte maree informative generate e politicamente controllate da strumenti micidiali come Facebook, Instagram o Twitter è diventato impossibile, anche da parte di chi non usa le loro piattaforme. Cinguettii e messaggi sono diventati protagonisti di alluvioni informazionali che occupano il tempo di coloro che una volta erano giornalisti e che oggi sono sempre più spesso semplici trascrittori di contenuti da un media a un altro e ripetitori umani che non selezionano più alcun segnale, perché il loro compito è solo quello di trasmetterlo e di farlo circolare.

Per averne un esempio è sufficiente partecipare in diretta all'uso che il direttore del TG7 Mentana fa delle notizie Ansa che scorrono sul gobbo della sua scrivania per tenere alta l'attenzione ed evitare il cambio di canale. Ogni notizia di agenzia, che rompe la tregua della normalità della trasmissione, viene rilanciata nello spazio del telegiornale prima ancora che sia stata verificata e convalidata nella sua importanza e/o gravità. Succede così di assistere a inedite simil-dirette su fatti di terrorismo nelle quali il numero dei morti continua a cambiare fino allo svelamento finale che il fatto in realtà non esiste o va delimitato nella sua gravità. La mancata selezione di una notizia può dipendere anch'essa dal surplus cognitivo generato dal sovraccarico dell'informazione in circolazione o dal rumore di fondo che sempre l'accompagna. Forse anche dalla crescente incapacità di chi dovrebbe operare la scelta nel comprendere i messaggi in arrivo, di interpretarli e di verificarli per poi filtrarli, catalogarli e selezionarli, anche se sempre in base a ideologie, background culturali, valori, visioni del mondo ed etiche comportamentali, deontologiche o di responsabilità individuale ad esse associate.

Nella scelta ma anche in assenza di essa, a prevalere è sempre più frequentemente la notizia eccezionale, eccitante, sensazionale, curiosa o capace di suscitare rabbia, indignazione e reazioni forti. Non è un caso ad esempio che i populisti del momento facciano a gara a chi la spara più grossa, anche se la notizia o l'informazione data non ha alcun fondamento di realtà e tantomeno di verità. Questo tipo di notizie si muove in uno sciame di notizie simili, sempre più spesso digitali, televisive e online (a leggere i quotidiani cartacei sono rimasti pochi irriducibili Baby Boomers...) e capaci di raggiungere masse o moltitudini di potenziali lettori-telespettatori con la forza di un uragano, sodisfacendo la loro continua ricerca di novità ma al tempo stesso lasciandoli da soli a valutare se la novità ricevuta sia una vera novità o una novità costruita e inventata. Famosi sono ormai i siti web costruiti ad hoc per richiamare milioni di click con false notizie e conclamate fasulle novità, al solo scopo di arricchirsi con introiti pubblicitari e sponsorizzazioni a pagamento. Sono siti Web che non potrebbero sopravvivere se non fosse diffusa un'elevata creduloneria, o peggio una diffusa ignoranza, che porta milioni di persone ad affidarsi ciecamente a fonti di informazione Alt-Right (abbreviazione inglese di alternative right, "destra alternativa", un movimento politico nato negli Stati Uniti che promuove ideologie di destra alternative a quelle tradizionali del conservatorismo e che si alimenta prevalentemente usando le tecnologie della Rete) e a diventare complici (anche se false, queste sono le storie che molti vogliono sentirsi raccontare) delle loro disinformazioni e misinformazioni (citazione dal titolo del libro Misinformation scritto a quattro mani da Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini). Sono fonti d'informazione che scommettono sulla pigrizia del lettore e sulla sua inadeguatezza a interagire con le sorgenti di informazione digitale, causate anche dal suo analfabetismo e dalla scarsa cultura, nel saper identificare con accuratezza la validità delle notizie trasmesse e nel praticare un sano esercizio archeologico alla ricerca delle fonti (citando Sant'Agostino la menzogna non dipende dalla falsità o verità di ciò che viene detto ma dall'intenzione di chi la mette in circolazione) a cui si alimentano giornalmente e magari più volte al giorno. La pigrizia di molti trova alimento anche nella sfiducia diffusa verso le istituzioni che li porta a ricercare nuovi riferimenti capaci di confermare i loro pregiudizi cognitivi e le loro visioni del mondo. Ciò anche quando sarebbe facilmente possibile dimostrare l'inconsistenza di quelle visioni e la loro falsità. Una dimostrazione possibile ma non esercitata, anzi usata al contrario, per confermare la validità della falsa notizia o della falsa visione e motivare la scelta della sua condivisione e socializzazione in Rete.

La diffusione planetaria di Internet e il fatto che una piattaforma come Facebook abbia raggiunto i due miliardi di abitanti, rende la battaglia contro le false notizie, le teorie complottistiche e le bufale online, praticamente impossibile da vincere. Il fenomeno era già difficilmente arginabile in passato quando a praticare la disinformazione erano gruppi numerosi ma pur sempre limitati di giornalisti, poliziotti e figure istituzionali. Basti pensare a come sono state deviate e manipolate tutte le informazioni sulle varie stragi che hanno insanguinato la storia italiana dalla strage di Piazza Fontana in poi.

Disinformazione e potere delle masse

La pratica della disinformazione ha raggiunto la moltitudine dei Social Network. Le piattaforme social sono diventate strumento facile per la disseminazione di notizie false e la distorsione della verità ma anche per elaborare e diffondere versioni della realtà convenienti, conformiste e superficiali. L'utente è posto al centro del teatro della recita sociale e si sente protagonista per avere il controllo del pulsante dei MiPiace, anche se in realtà è vittima di una perfetta illusione, legata a una versione aumentata di realtà presentata in modo selettivo, fatta di tanti frammenti che si oscurano uno con l'altro e quasi mai capace di proporre una realtà alternativa.

La disinformazione è sempre stata operata da governi e media, oggi grazie alle piattaforme di social networking è praticata attivamente anche dai cittadini utenti. La prima può essere contestata o giudicata scetticamente per i suoi percepiti contenuti di falsità, la seconda acquista un'autenticità generata dalla sua diffusione, popolarità e visibilità oltre che dalla sua capacità di attirare costante attenzione. La disinformazione social evidenzia le spaccature ideologiche della società, l'impossibilità pratica per i proprietari delle piattaforme tecnologiche di istituire meccanismi e algoritmi capaci di identificare ed eliminare la false notizie, e il fatto che la gente abbia bisogno di notizie false, bufale e post-verità per alimentare la propria curiosità e conversazioni. Il dibattito che si è scatenato dopo l'elezione di Trump e il suo ricorso costante alle false notizie per vincere le elezioni ha attirato l'attenzione sugli algoritmi tecnologici, ritenuti responsabili per rendere popolari e virali falsità e bufale. Nella realtà la maggiore responsabilità sarebbe da assegnare a chi usa questi algoritmi sulle piattaforme che li hanno implementati. È una responsabilità che suggerisce di focalizzarsi sulle notizie vere, di sostenere il giornalismo impegnato e d'inchiesta, di formarsi sui nuovi media tecnologici acquisendo conoscenze che servono a conoscere i meccanismi e il ruolo dei nuovi media nella trasformazione delle nostre democrazie in regimi autocratici e oligopoli e a riconoscere le false notizie ed evitare di fare la figura dei gonzi.

L'assunzione di una responsabilità personale risulta tanto più importante quanto maggiore è la forza acquisita dalla disinformazione nei tempi digitali odierni. È una forza che trae vantaggio dalle moltitudini che frequentano le piattaforme di social networking e che si organizzano e muovono come le masse descritte da Elias Canetti nel suo libro Masse e potere. La forza e il potere delle masse di Facebook o di Instagram sono la diretta conseguenza della loro crescente concentrazione che è favorita dalla sparizione dell'atavico timore che le persone hanno di essere toccate. Una sparizione facilitata dal fatto che le persone online sono in realtà corpi invisibili, assenti ed evanescenti rappresentati da semplici algoritmi e profili digitali.

Nella realtà descritta da Canetti ma anche nei Social Network, agendo come massa i corpi si avvicinano e si serrano gli uni agli altri formando masse così dense che possono percepirsi come un unico corpo. Quella digitale è una massa creata dalla tecnologia, solitaria e virtuale, che tende ad accrescersi, quasi per una legge della fisica, e a chiudersi per il timore costante di una sempre possibile disgregazione. In questo rinchiudersi finisce per acquisire forza e potere diventando impenetrabile così come impenetrabili sono le convinzioni di coloro che, inopinatamente e senza alcuna riflessione critica, contribuiscono ad alimentare bufale e false notizie online. Spesso con il solo scopo di richiamare l'attenzione di altri sulla propria pagina o sul profilo social online, chiedendo in questo modo anche la conferma dell'appartenenza a una massa che si presenta online nella forma di comunità, gruppi o semplici aggregazioni e moltitudini.

Agendo nella massa e come massa si è portati a mettere al bando ogni visione alternativa frutto di una riflessione critica, a non pensarci neppure. Lo stare bene all'interno di una massa porta alla eliminazione delle differenze e alla percezione di uno stato ugualitario (determinato dai MiPiace, dalle condivisioni di cambio di stato e dal numero di contatti) che non può essere messo a rischio dall'affermazione di una diversità. All'interno di un coro polifonico, capace di sincronizzare persino i battiti cardiaci e il movimento respiratorio dei polmoni dei coristi, non è pensabile alcuna stonatura o resistenza, nessun comportamento alternativo, pena l'immediata esclusione e ostracizzazione. Allo stesso modo il coro polifonico (spesso anche cacofonico) che si espande sulle note dei MiPiace di Facebook non prevede alcuna defezione o pensiero alternativo.

Le ultime vicende di Stamina e dei vaccini sono esemplari nel confermare il potere delle masse che si costituiscono in Rete e la quasi impossibilità di una demistificazione delle false notizie che è in grado di determinare e di alimentare, anche quando a tentarla sono la comunità scientifica o gruppi di giornalisti professionisti e preparati. Le vicende dei movimenti anti-vaccinazioni, d'altra parte, testimoniano come l'accesso diffuso all'informazione, reso possibile dalla Rete, non sia necessariamente sinonimo di buona conoscenza e neppure una garanzia di buona informazione. Scardinare le barriere che tengono insieme la massa di persone convinte che gli effetti collaterali di un vaccino suggeriscano di evitarne la somministrazione, è impresa impossibile. Lo è per i meccanismi di psicologia sociale (narcisismo, pregiudizi di conferma, rappresentazione del Sé, voglia di comunità e senso di appartenenza, ecc.) che caratterizzano questa massa e per il suo stesso modo di organizzarsi e di funzionare. La conseguenza è l'impossibilità di trasformare dati, fatti e informazioni in conoscenza e la difficoltà nell'affermare e far conoscere meccanismi utili allo svelamento e demistificazione delle bufale e delle false notizie online contribuendo alla produzione di informazioni credibili, verificabili e affidabili.

Bisogna programmare qualche via di fuga

Se si vuole evitare di diventare prigionieri delle camere dell'eco che caratterizzano tanti comportamenti umani ma soprattutto per liberarsi da quelle, ancora più condizionanti, dei nuovi media sociali, bisogna programmare possibili vie di fuga e prepararsi per realizzarle.  Ad esempio cercando di analizzare i meccanismi emotivi che tengono legati a una piattaforma tecnologica e l'irrazionalità di questo legame. Soprattutto cercando di sviluppare anticorpi adeguati a resistere alla forza contagiosa di bufale che si sottraggono in modo subdolo e intelligente alla trasparenza e alla visibilità (della verità della loro menzogna), delle fake news e delle manipolazioni online.

Per evitare di finire disorientati dalla cascata informazionale, alimentata anche dalla bulimia che caratterizza la fame individuale di informazioni degli internauti, un'alternativa possibile comporta il rallentamento del ritmo di navigazione, la capacità di mappare i percorsi fatti in Rete per tracciare i labirinti informazionali e virtuali nei quali si muovono le informazioni, il miglioramento delle proprie capacità cognitive in modo da poter rafforzare il proprio senso critico e le capacità esperienziali che possono permettere di riconoscere informazioni infondate o estrapolate in modo sbagliato e manipolato dai dati fattuali disponibili. Difendersi dalle menzogne delle bufale non è sufficiente. Bisogna anche evitare di crearle e alimentarle acquisendo maggiore consapevolezza del fatto che il mentire è un fenomeno che interessa tutti. È sempre esistito storicamente e in ogni società e cultura ed esiste oggi anche se in forme diverse caratterizzate dalla globalità e dalla viralità dei mezzi e dei linguaggi utilizzati. Siamo tutti dei mentitori, mentiamo a noi stessi, alle persone che più amiamo, agli amici così come ai contatti di Facebook a noi estranei. Tutti dovremmo essere più consapevoli del fatto che, ogni qualvolta mentiamo, stiamo in realtà ingannando, imbrogliando, dissimulando o fingendo.

Migliorare le capacità cognitive serve a combattere la credulità collettiva che caratterizza da sempre molti comportamenti umani e che porta a credere a tutto ciò che viene detto e ad affidarsi a ciarlatani e imbroglioni o semplici giocherelloni, come quelli che oggi popolano allegri e indisturbati le praterie di Facebook cercando di attirare l'attenzione con notizie inventate, immagini taroccate o video costruiti in studio. Senza scomodare gli antichi e la storia, dallo sbarco degli alieni raccontato in un programma radio da Orson Wells ai cerchi nel grano, la storia recente è piena di fatti che descrivono quanto sia grande l'ingenuità e la credulità del pubblico di fronte a narrazioni e notizie che raggiungono milioni persone contribuendo a formare la loro conoscenza del mondo e a determinare le loro scelte. Se questa credulità era comprensibile nell'era-pretecnologica e pre-Web, nell'era dell'informazione risulta incredibile e, in modo paradossale, al tempo stesso assolutamente comprensibile. Il mezzo tecnologico che ha interconnesso e globalizzato il mondo, ha dato forma a menti globali, modificate tecnologicamente e modellate sul modo con cui accedono all'informazione e la usano per farsi un'opinione delle realtà che sperimentano.

L'opinione che si forma è facilitata da intelligenti algoritmi che, dopo avere attentamente analizzato e registrato i nostri comportamenti ci propongono contenuti, scelte e relazioni conformi ai nostri gusti e bisogni (camere dell'eco tecnologiche). È consolidata dai meccanismi che governano la logica e le dinamiche delle reti sociali online, che ci fanno incontrare, collegare e interagire con persone simili e partecipare a flussi informativi e flussi delle idee che non possono non avere influenza sui comportamenti e sui modi di pensare, sugli stili di vita delle persone e sulla loro visione del mondo.

La fisica sociale che illustra in che modo le idee viaggino da una persona all'altra può servire anche a comprendere in che modo a passare siano le bufale, le post-verità e le false notizie. I meccanismi di passaggio sono quelli tipici dell'apprendimento e degli scambi relazionali che avvengono sulla base di categorie valoriali dettate dall'influenza, dalla stima, dal livello di coinvolgimento e condivisione, dal prestigio, dall'informazione, dai gesti e dai comportamenti. Questi valori che rappresentano la forza delle reti sociali, comprese quelle online, e ne determinano organizzazione e comportamenti, nella diffusione di bufale e false notizie possono diventare elementi negativi che impediscono l'emergere di punti di vista diversi e alternativi in grado di portare o avvicinare alla verità.

Il livello di partecipazione crescente che può favorire l'emergere di nuove idee e di innovazione può al tempo stesso essere all'origine di flussi di idee e notizie che diffondono false informazioni, trasformando i fatti in semplici racconti e narrazioni, a volte così fantasiose da risultare incomprensibili ad un esame razionale. La forza di queste false notizie sta nell'essere generate da una comunicazione che non è più semplicemente gerarchica ma è diventata orizzontale, non è più da uno (identificabile come il manipolatore) a molti, ma da molti (tutti potenziali manipolatori) a molti (tutti potenzialmente ingannabili perché tutti bisognosi di punti di riferimento, di orientamento e di ancoraggio). A contare, in questi nuovi ambiti d'interazione sociale e tecnologica non è tanto il ruolo del singolo individuo, quanto i meccanismi che governano i modelli di interazione. Non è il soggetto con le sue capacità e i suoi talenti, ma sono i meccanismi di interazione e gli strumenti che facilitano l'esplorazione, l'approfondimento e la ricerca.

L'esplorazione potrebbe servire ad esempio per individuare, incontrare e interagire con individui portatori di pensiero indipendente, persone che sembrano sapere cose che altri non sanno e per questo esprimono pareri difformi da quelli che caratterizzano le camere eco della rete sociale. Sulla base delle nuove informazioni o opinioni, incontrate attraverso queste persone, potrebbe essere possibile produrre nuove riflessioni critiche per arrivare a nuove conoscenze utili a svelare la verità o a smascherare la bufala e la sua falsità. Il ruolo di queste persone è assimilabile a quelli che nella disciplina del marketing odierno sono chiamati Influencer. Grazie a loro le Marche cercano di influenzare le motivazioni di acquisto di un prodotto prima ancora di promuoverne le caratteristiche tecniche e funzionali. Mentre però l'influencer marketing può essere alimentato in continuazione dalla disponibilità di persone che hanno l'effettiva capacità di influenzare o se ne inventano una (contribuendo ad alimentare a loro volta nuove bufale e false informazioni), le reti sociali tecnologiche sembrano in grado di sfornare solo un numero limitato di persone pensanti fuori dal coro e che, come tali, possono essere usate per svelare bufale e false verità.

Il problema è tanto più grande quanto più le false notizie messe in circolazione sono inventate di sana pianta e diffuse con sapienza sfruttando al meglio gli strumenti e i canali tecnologici disponibili. In assenza di queste figure di influenzatori, capaci di pensare diversamente e di mettere in discussione ogni notizia e/o verità, anche il mondo delle bufale online finisce per essere vittima dell'autoreferenzialità e della chiusura che sempre caratterizza molte realtà chiuse (le masse chiuse descritte anche da Canetti) e che trasformano una comunità di Facebook o un gruppo di Google Plus in una cassa di risonanza di informazioni che possono circolare solo perché confermano il pregiudizio di conferma impedendo qualsiasi voce fuori dal coro e lo scambio proficuo di opinioni. 

Può succedere così che all'interno di queste reti sociali e comunità, informazioni mai verificate trovino forza, nuova linfa, argomentazioni e motivazioni per una loro diffusione e condivisione sociale, senza che ci si ponga il problema di azioni finalizzate alla loro verificabilità e/o falsificazione (nel senso di debunking) e anche senza alcuna analisi dei meccanismi e dei modelli che sovrintendono alla comunicazione e all'interazione. Ne deriva una realtà diffusa di disinformazione (misinformation se si vuole usare la tecnologia di Quattrociocchi), determinata e disintermediata dalle piattaforme tecnologiche. Una realtà che ha cambiato per sempre il mondo, le dinamiche e il ruolo dell'informazione, compresa quella giornalistica, costretta a inseguire costantemente il cinguettio di Trump così come la notizia pubblicata in Rete da semplici individui o aspiranti giornalisti che mai lo diventeranno.

In questo contesto a emergere sono flussi costanti di informazioni fasulle, usate come specchi per le allodole per sedurre e produrre nuovi Like o Click. Notizie come quelle che appaiono su molti quotidiani online che raccontano di avventure impossibili vissute da cani, gatti e altri animali domestici, di incidenti e disastri ambientali inverosimili e di storie che non trovano alcun fondamento di verità o di scientificità ma hanno il dono di calamitare la curiosità e l'attenzione del lettore. Chi ha preso coscienza del ruolo che le bufale e le false notizie rivestono nella società, suggerisce e insiste sull'importanza della verifica costante dei fatti. Questa verifica è in realtà spesso invalidata dalla stessa reazione dell'utente/consumatore di contenuti mediatici, un utente e consumatore propenso a sposare immediatamente il punto di vista che più lo soddisfa rinunciando a qualsiasi forma di verifica fattuale dell'attendibilità e sostenibilità della notizia.

Negli spazi online, insistere sulla falsità di una notizia e chiedere che sia costantemente verificata la sua fonte finisce per polarizzare ancor più le opinioni contrastanti e per aggiungere ulteriore confusione capace di impedire futuri accertamenti della verità contribuendo alla creazione di vere e proprie mitologie narrative, in futuro difficilmente smontabili e riducibili ai fatti che le hanno generate. La persona che, grazie alle sue conoscenze o ricerche ed esplorazioni, ha disvelato la falsità di una notizia, rischia di essere percepita come un antagonista che diffonde informazioni e narrazioni solo per difendere il suo punto di vista frutto della sua cultura e ideologia. Più del fact checking serve contribuire all'educazione delle persone in modo che possano dotarsi e sperimentare nuovi strumenti per acquisire nuove forme di consapevolezza del problema che sempre nasce dalla diffusione di falsa informazione, da eccessiva disinformazione e da continue manipolazioni della realtà. Il compito di educare un pubblico che percepisce se stesso come intelligente per il fatto di essere sempre interconnesso e in grado di usare strumenti potenti come il motore di ricerca di Google, è reso oltremodo complicato dalla scarsa attenzione della politica al problema. Una disattenzione voluta, ricercata e pianificata, considerando quanto la politica sia parte in causa e principale artefice della creazione e della diffusione di un grande numero di bugie e di falsità e quanto poco sia interessata a favorire l'elaborazione di pensiero critico e complesso a partire dalla scuola, dal mondo dei media e dell'informazione.

Se voglio posso staccare la spina, ma devo volerlo

Nell'impossibilità o scarsa fattibilità di staccare la spina e disconnettersi, si può apprendere a disimparare ciò che si è imparato dalle pratiche tecnologiche che hanno occupato tempo crescente della propria vita individuale. Si può provare a cambiare abitudini, comportamenti e stili di vita. Almeno fino a quando si è ancora capaci di farlo, perché uno degli effetti collaterali di un utilizzo eccessivo, robotizzato e superficiale della tecnologia è la crescente perdita di intelligenza (se non si pratica la si perde in ogni caso, anche senza la tecnologia) e di memoria.

Un rischio reale secondo lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer (autore di Demenza digitale) che ha sottolineato nelle sue opere l'importanza di mantenere allenato il cervello, usandolo per pensare e memorizzare senza delegare l'archiviazione di dati e informazioni soltanto alla chiavetta USB o alla nuvola del cloud computing. Un rischio provato in esperimenti scientifici che hanno dimostrato come la mente, di persone ormai esposte continuamente a Google e a Internet, si indirizzi cognitivamente a questi strumenti prima ancora di provare a elaborare pensieri e concetti privandosi della capacità di rispondere a domande complesse. Il fatto che la nostra mente si indirizzi velocemente verso l'uso di una risorsa tecnologica è per Manfred Spitzer la dimostrazione di quanto siamo sempre più programmati a livello cognitivo. Un concetto ben descritto anche da Douglas Rushkoff che, nel suo libro Programma o sarai programmato, ha fornito dieci istruzioni utili a sopravvivere all'era digitale.

Due di queste istruzioni sono riconducibili al tema di questo e-book. La prima suggerisce di non raccontare falsità perché la Rete è come il siero della verità: "Metti in giro voci false online e alla fine si scoprirà che sono bugie. L'unica opzione disponibile per chi usa gli spazi digitali per comunicare è quella di dire la verità." La visione ottimista di Rushkoff deriva dalla percezione delle conversazioni digitali come diverse da quelle analogiche precedenti, per le loro caratteristiche di interazione e condivisione e per essere generate da tutti, nel ruolo di consumatori mediatici o comunicatori culturali.

Pur ammettendo che le verità più negative sono quelle maggiormente virali ("giocatore coinvolto in uno scandalo sessuale", "il video porno di una persona famosa, meglio se un politico") e le notizie false, per Rushkoff "più i messaggi sono validi, veri e tangibili, più potranno propagarsi e più ci sentiremo meglio. Dobbiamo imparare a dire la verità."

Di questa istruzione, suggerita per evitare di essere programmati emerge il messaggio invito a imparare la condivisione dei fatti, a scartare le voci insensate, a non contribuire ad alimentare la viralità delle bufale e delle false email, a non foraggiare l'inclinazione dei media digitali alla produzione di fatti fasulli, abitualmente utilizzati per alimentare la comunicazione, l'interazione online e le relazioni sociali. L'invito è a dotarsi di strumenti cognitivi che possano servire per una rapida valutazione di fatti, informazioni e notizie, per una lettura selettiva che permetta di eliminare ciò che viene percepito come falso o irrilevante e passare oltre solo le cose importanti. Se un numero crescente di persone facesse questo e trasmettesse il meme che sostiene l'etica di questo tipo di comportamento, in Rete ci sarebbe meno spazzatura (Data Trash), meno rumore di fondo e più segnale. Per raccontare la verità è comunque necessario avere una qualche verità da raccontare. Cosa non semplice, se la verità da comunicare viene dalla Rete stessa, è il risultato di una valutazione sbagliata o nasce dalla difficoltà a riflettere su se stesso di chi la diffonde (come ha scritto Nietzsche nella Gaia Scienza, il fatto di sentire qualcosa come giusto o vero può dipendere semplicemente dal fatto di non aver meditato a sufficienza su se stessi e di avere accettato quello che altri hanno definito come giusto e vero).

La seconda istruzione di Rushkoff suggerisce di fare attenzione all'arbitrarietà delle scelte tipica del mezzo tecnologico e di apprendere nel tempo a operare delle scelte, compresa quella di non scegliere. L'ambito digitale è tutto basato sulla scelta perché tutto deve essere espresso in un linguaggio simbolico binario, fatto di sì o di no, e per questo motivo molto arbitrario. Gli esseri umani non sono però obbligati a fare scelte di questo tipo. Tra la scelta binaria di apporre un MiPiace e non farlo c'è anche la possibilità di fare qualcosa di diverso, ad esempio telefonare alla persona che ha pubblicato un messaggio o un'immagine alla ricerca di un gradimento iconico con le faccine o l'aggiunta di un MiPiace. Obbedire alle scelte imposte da applicazioni, programmi, algoritmi e altre persone non è obbligatorio, soprattutto se si vuole coltivare la propria autonomia, libertà di giudizio, autodeterminazione e vita democratica.

Scegliere non è sempre la soluzione migliore, si può anche decidere di non fare alcuna scelta. In ogni caso ogni scelta può portare all'abbandono di tutte le altre opzioni, fino a sentirsi forzati in quello che si è deciso. Il rischio maggiore deriva dal conformarsi alle scelte che i mezzi tecnologici mettono a disposizione e che rischiano di trasformare in prevedibili, perché diventate molto simili a quelle delle macchine, tutte le scelte individuali. Un rischio più grande deriva dall'arrivare a fare delle scelte dopo avere selezionato e scelto le fonti d'informazione, gli strumenti tecnologici e i siti web da utilizzare. Questa selezione e le scelte che l'hanno determinata rischiano di diventare un filtro che restringe non soltanto le possibilità di informazione e di conoscenza ma prepara anche il terreno per manipolazioni e disinformazioni future. Le dinamiche delle piattaforme e delle tecnologie che utilizziamo influiscono sulle informazioni che consumiamo e sulle scelte che facciamo. Quasi quanto i centri commerciali e le filiere della distribuzione attuale influiscono su quello che mangiamo, convincendoci della nostra capacità di scelta quando al contrario siamo vittime di abilissimi sistemi di propaganda invisibile che usano le nostre stesse idee e i nostri stili di vita per farci acquistare quello che essi vogliono.

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L'evoluzione tecnologica e il ruolo crescente che la tecnologia sta assumendo nella vita di ognuno suggeriscono un cambiamento di approccio nell'interazione con il mezzo tecnologico e i nuovi media e il recupero di un ruolo individuale dentro la mutazione psico-antropologica in corso. Non si tratta tanto di abbandonare le legioni di imbecilli che abitano i media sociali (riferimento alla famosa frase di Umberto Eco che parlava della invasione degli imbecilli: "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel.") quanto di resistere alla mutazione in corso recuperando la lentezza, anche del pensiero, la profondità, l'interiorità come capacità critica di introspezione e superamento dell'afasia (concetti  presi dal libro Psychonet di Eleonora de Conciliis) e soprattutto la consapevolezza fatta di livelli crescenti di coscienza personale sui fenomeni tecnologici nei quali si è coinvolti. Così facendo si potrebbe uscire fuori dalla condizione adolescenziale nella quale la tecnologia ha intrappolato tutti, una condizione caratterizzata da "limitate capacità di attenzione, instabilità psichica, elevata emotività, scarsa affettività e [...] da un linguaggio impoverito e destrutturato" (De Conciliis).

Cambiare atteggiamento non può nascere da una semplice decisone ma dall'emergere di nuovi livelli di coscienza e da una maggiore consapevolezza. È necessario diventare consapevoli del problema, della sua dimensione e del fatto di esserne in parte la causa. La consapevolezza ha però diversi gradi di intensità e ampiezze diverse. Ad esempio si può essere consapevoli delle logiche e delle trappole sociali di Facebook ma non per questo smettere di farne uso, oppure si può trasformare la stessa consapevolezza in azione e in strategie volte a difendersi dalle logiche e dall'invadenza della piattaforma tecnologica usata. Da sola la consapevolezza comunque non basta. Bisogna salire i gradini della coscienza in modo da dare un senso personale e privato a ciò che è scaturito dalla maggiore consapevolezza e sapersi dare delle risposte alle domande che la consapevolezza ha generato. Un processo non facile che obbliga a fare i conti con il conformismo dilagante che sembra mettere in discussione o impedire qualsiasi forma di libertà individuale.

Se così fan tutti, forse è meglio non cimentarsi in un esercizio di consapevolezza che porterebbe sicuramente a condividere pensieri diversi da quelli della maggioranza e ad adottare comportamenti percepibili come antisociali o fuori dal coro. Se dentro le comunità digitali che frequento in un social network, tutti o quasi condividono una notizia che io percepisco essere falsa o una bufala costruita ad arte, sostenere la sua falsità e inganno può essere molto complicato, in particolare se il mio obiettivo o bisogno primario è di continuare a essere parte di quella comunità. È un obiettivo complicato sia perché la bufala può avere ingenerato, anche nel linguaggio usato per la sua condivisione, una specie di conformismo militante, sia perché è più facile lasciarsi andare alla corrente, adattandosi ai comportamenti prevalenti della 'massa', lasciando agire i neuroni specchio e rispecchiandosi nel comportamento e nel linguaggio degli altri, autolimitandosi nella propria capacità di pensare e agire, consapevolmente e diversamente. Una situazione questa, facilmente riscontrabile nei numerosi spazi virtuali della Rete che hanno trasformato milioni di individui in semplici membri di greggi, felici di stare dentro recinti che altri hanno costruito e delimitato per loro.

Per adottare etiche comportamentali, dettate dalla maggiore consapevolezza critica nell'uso dello strumento tecnologico, è necessario superare l'ignoranza, spesso indotta dagli stessi strumenti usati che regalano un surplus di informazione e un accesso allargato al sapere ma generano anche povertà di attenzione, il suo affaticamento e la difficoltà nell'allocarla nel modo più efficiente e utile. "Quel che dobbiamo superare - ha scritto Gert Lovink nel suo libro L'abisso dei social media - non è la tecnologia in quanto tale, bensì concrete abitudini consolidate, relative soprattutto alle applicazioni più diffuse che ci portano via tanto tempo." È necessario conoscere a fondo e meglio gli ambienti, i contesti virtuali e tecnologici che si frequentano e saper svelare le molteplici manipolazioni che occupano gli spazi abitati della Rete. Ad esempio è utile comprendere i meccanismi utilizzati per catturare l'attenzione attraverso messaggi e linguaggi semplificati, spesso portatori di bugie e falsità fatte di sensazionalismo, immagini e testi allusivi, abilmente capaci di catturare l'attenzione, ipnotizzare e di far sognare. L'attenzione esercitata online è diventata parziale, costante, frammentata quanto lo sono i messaggini e i cinguettii, difficilmente catturabile da qualcosa di diverso dal flusso di informazioni che scivola sul display di uno smartphone o tablet, impedendo a chi li utilizza persino di sollevare lo sguardo per rivolgerlo al mondo circostante e alle persone che lo abitano.

In questa situazione, determinata tecnologicamente e in qualche modo auto-prodotta, difendersi dalle bufale e dalle falsificazioni è una missione impossibile. Non si dispone di strumenti adeguati per erigere una difesa opportunamente agguerrita, ma non sì è neppure in grado di dotarsi delle risorse che potrebbero fornire una qualche forma di prevenzione. Non esistono vaccini giusti per costruirsi una difesa immunitaria adeguata. Nel caso delle bufale spesso le vaccinazioni non sortiscono alcun effetto se non quello di rafforzare ulteriormente il loro messaggio e la loro viralità. Tutto il mondo digitale, in particolare quello dei media sociali e soprattutto per le generazioni di nativi digitali, sembra essere stato architettato come un immenso spazio No-Vac, resistente a qualsiasi antibiotico.  Senza difese si finisce per consolidare consuetudini e abitudini condivise diventando artefici del proprio analfabetismo crescente, della propria inadeguatezza a comprendere, valutare e usare le informazioni che potrebbero servire per agire, consapevolmente, pragmaticamente e utilmente nella realtà sociale, nelle relazioni e su se stessi.

Se non ci si sente in grado di operare questo tipo di cambiamento da soli, grazie alla Rete e all'essere interconnessi, ci si può rivolgere a individui, gruppi, comunità che possono fornire conoscenze, riferimenti, pratiche e informazioni utili a esperienze tecnologiche diverse. Nel farlo il rischio è di cadere nella trappola del motore di ricerca, sia esso quello globale di Google o quello delimitato dai confini del social network di Facebook. Una trappola che si manifesta immediatamente nella miriade di fonti informative proposte, negli innumerevoli rimandi possibili e nella loro organizzazione per priorità predeterminate da chi possiede la piattaforma del motore di ricerca e dalle sue finalità commerciali.

Sul tema si sono espressi numerosi studiosi come Nicholas Carr, Douglas Ruhskoff, Sherry Turkle, Eugeny Morozov, Howard Rheingold o Clay Shirky, Andrew Keen, spesso troppo frettolosamente etichettati come tecnofobi. Autori che hanno messo in guardia dagli effetti della tecnologia sulla vita delle persone, sia essa mentale, individuale, sociale, relazionale e lavorativa. Nessuno di loro ha mai negato il ruolo innovativo e il carattere rivoluzionario delle nuove tecnologie. Tutti hanno elaborato riflessioni e pensieri, disponibili attraverso saggi, libri, interviste e narrazioni online, a tutti coloro che volessero trovare il tempo di riflettere sulle proprie azioni e pratiche tecnologiche. Il lavoro di questi autori e studiosi è ricco di analisi ma spesso privo di soluzioni finali, forse perché oggi è quasi impossibile trovarne alcuna. Nel loro lavoro intellettuale e autorale non si trovano risposte neppure su come fare a districarsi tra le mille verità disponibili (il mondo online pullula di interpretazioni e poche verità), a trovare gli strumenti per farlo e ad acquisire competenze e abilità necessarie allo slalom imposto dalle false verità ed evitare di soccombere alle post-verità o alle verità rese tali dal conformismo acritico dei media e di chi li frequenta.

La lettura degli autori sopra citati può permettere di accedere a memi positivi da usare per contrastare quelli più numerosi, virali e cattivi che determinano, anche con la nostra complicità, la disinformazione, l'analfabetismo tecnologico e culturale. Le bufale si diffondono online grazie al ruolo di passatori di una miriade di persone che abitano la Rete ma anche al fatto che la maggioranza di esse si trovi oggi al livello minimo di comprensione e di consapevolezza dello strumento utilizzato e della piattaforma mediale che ha deciso di abitare.

Sono utenti in genere super esperti nell'interazione con i loro dispositivi tecnologici e nel sapere trarre da essi tutti i vantaggi funzionali e tecnici, ma spesso carenti nell'esercizio della lettura, della comprensione del testo e dei suoi contenuti  informativi e narrativi, nell'analisi critica di una notizia, nell'identificazione della falsità o dell'inganno veicolato da testo e/o immagini, (il numero crescente dei crimini digitali ne è una testimonianza dolorosa), nell'esercizio della buona memoria che potrebbe evitare errori già commessi, nella pratica relazionale, nella capacità di concentrazione e di esercizio dell'attenzione, nel contrastare o vaccinarsi contro la credulità che tanto caratterizza i comportamenti online di molte persone.

Lo ha detto la televisione, lo mormora l'oracolo Internet

Prima dell'affermarsi di Internet era facile sentire giustificata o difesa un'opinione o una notizia dalla frase "Lo ha detto la televisione", oggi l'oracolo di turno è diventato il motore di ricerca. Le risposte di Google e le informazioni trovate dal suo motore di ricerca sono prese per valide, quasi automaticamente e spesso in modo acritico, compresa la priorità a esse assegnate nella presentazione a video dei risultati trovati. Poco importa se Google Search compie le sue ricerche solo su una porzione limitata della Rete delle Reti e interessa ancora meno che i risultati siano personalizzati Di questa personalizzazione molti non comprendono neppure i rischi e gli effetti. Esattamente come non comprendono il ruolo che la trasparenza voluta da Facebook gioca sulla sua piattaforma di social network.

La personalizzazione, ma anche la trasparenza e le raccomandazioni di Amazon, nascono dall'avere acquisito miliardi di dati sugli utenti. Dati che permettono a Google, Facebook, Amazon di fornire risposte sulla base dell'idea che si sono fatti del profilo digitale di chi ha eseguito una ricerca, un posto o una raccomandazione. Una personalizzazione che agisce in pratica come un filtro, non neutrale, poco democratico, molto motivato dagli obiettivi commerciali che stanno alla base della piattaforma di Google, di Amazon o di Facebook e anche portatore di effetti collaterali quali la diffusione, rapida e virale di false informazioni o di bufale online. Una diffusione garantita dal fatto che la semplice lettura di una notizia, di una storia, di un romanzo, di un quotidiano, implica già una sorta di complicità con gli autori che porta a perpetrare l'inganno, a far credere che sia vero o falso anche ciò che tale non si ritiene e indipendentemente dal fatto che lo sia davvero.

Quello di Google è un filtro mai ammesso dall'azienda e quasi mai riconosciuto dagli utenti. Come altro spiegarsi altrimenti il comportamento ripetitivo e diffuso che porta a cliccare sui primi link che appaiono nella SERP (Search Engine Results Page) di Google e ad affidarsi quasi ciecamente ai criteri di valutazione del motore di ricerca nel determinarne la priorità e qualità? Come spiegarsi la colpevole accettazione delle proposte di viaggio dei vari Tripadvisor, eDreams ecc. e la mancata ricerca di altre opportunità o risposte più adeguate, forse trovabili a poche pagine o link di distanza? Come spiegarsi la ripetitività di molte domande, rivolte a membri di un gruppo e di una comunità Facebook quando l'uno e l'altra, se fossero usati come contenitori di informazione ed esplorati opportunamente, potrebbero fornire non solo risposte e informazioni ma anche conoscenze? Perché affidarsi per la ricerca di un libro alle raccomandazioni di Amazon o agli elenchi dei libri più ricercati e venduti? Come infine spiegarsi la superficialità con la quale ci si affida a piattaforme tecnologiche che sono diventate principalmente delle grandi, efficienti e voracissime macchine di raccolta dati da catalogare, organizzare ed analizzare per estrarre informazioni e conoscenze da usare a scopi commerciali e di profitto?

La maggiore attenzione rivolta al fenomeno delle post-verità e delle bufale online è all'origine dell'impegno assuntosi recentemente da Google e Facebook di intervenire con la creazione di software e algoritmi (bot) appositi per bloccare sul nascere la falsa notizia. In pratica un'ammissione della possibilità di introdurre dei filtri in modo da evitare la propagazione di messaggi di propaganda e di false notizie online. Al tempo stesso un'ammissione di come i filtri esistenti siano stati responsabili di molte delle viralità e accelerazioni che hanno portato alla diffusione online di non-sense, notizie inventate e false notizie.

Il dibattito in corso ha confermato l'esistenza dei filtri e il loro ruolo ma ha rimarcato anche la credenza diffusa delle persone che questi filtri siano al servizio dell'utente e in grado di risolvere il problema della diffusione delle false notizie. È come se anni di lotta all'intolleranza e al cyberbullismo non avessero insegnato nulla sul fatto che i filtri e le soluzioni tecnologiche non sono la soluzione finale. Si possono introdurre strumenti utili a nascondere, a cancellare, a impedire la circolazione di contenuti indesiderati ma se non si agisce sulle cause all'origine dei comportamenti di cyberbullismo online non si risolve il problema. Allo stesso modo filtrare e impedire la pubblicazione di una notizia marcata come falsa, dubbia o inopportuna, sulla base di una verifica condotta da un algoritmo o da personale dedicato, non impedisce a una notizia, a un'opinione o, come nel caso delle elezioni americane, a una narrazione della realtà da parte di gruppi di estrema destra e organizzati come Breitbart, di conquistare nuove audience e masse di persone.

Ciò che il filtro tecnologico non può eliminare sono i problemi reali che hanno generato l'emergere di nuovi bisogni e di visioni del mondo alternative, polarizzate e contrastanti, e di bisogni che spingono alla ricerca di informazioni, notizie, messaggi politici e narrazioni in grado di confermare idee, pregiudizi e punti di vista già in fase di elaborazione o esistenti.

Bisognerebbe agire a livello cognitivo, con adeguate iniziative di formazione e informazione in modo da favorire una migliore capacità analitica, di comprensione semantica delle parole e dei linguaggi usati per raccontare la realtà. Si dovrebbe operare sulle comunità di appartenenza, sui gruppi di affiliazione, sulle tribù nomadi e sulle numerose forme di aggregazione che caratterizzano la nostra società ben sapendo che è in queste entità sociali che si formano credenze, opinioni e punti di vista e gli individui cercano le conferme che servono loro per sostenerli, difenderli e diffonderli praticando l'esposizione selettiva che permette loro di decidere cosa vogliono sentirsi dire e cosa leggere o con chi interagire di preferenza. Atteggiamenti questi che spiegano molto bene i fenomeni di omofilia e polarizzazione dei meccanismi della viralità e della condivisione, anche di false notizie e bufale online.

La realtà offuscata e lo sguardo velato

Lo scenario dell'informazione attuale non è solo caratterizzato dalle false notizie, dalle bufale o da contenuti che, per la loro particolarità e capacità si sorprendere e incuriosire, stanno occupando spazi crescenti della maggior parte dei siti online, dei principali quotidiani del mondo e nostrani, pur essendo palesemente falsi o magistralmente manipolati. Una lettura delle prime pagine del quotidiano la Repubblica, o del Corriere della Sera, ad esempio, permette di trovare notizie, spesso inverosimili o presentate in modo accattivante nel titolo e nell'immagine della testata, alle quali è difficile resistere come: "Trovati i resti di una misteriosa creatura marina: è lunga 16 metri", "Fiona impara a nuotare: cucciola di ippopotamo star di Facebook", "La tanica compie 80 anni. Storia (serissima) di un oggetto geniale e umile", " Tivoli, l'amore della cagnetta: trova e allatta i gattini abbandonati in strada", "L'orso entra in casa in cerca di cibo e suona il pianoforte", "Manhattan sommersa dall'acqua, il futuro inquietante di New York", "Ha imparato il tedesco in tre ore, partendo da zero".

La Rete è ricca anche di strumenti e di opportunità, per migliorare il lavoro giornalistico e di produzione dell'informazione, per fare inchieste, produrre analisi e raccontare storie di qualità che, proprio per questo, trovano il gradimento crescente dei lettori. Un'offerta diversa, fondata sull'analisi e sull'approfondimento, non è alla portata di tutti ma chiunque potrebbe trarne vantaggio, in modo da potersi meglio orientare in un mondo complesso che richiede maggiore capacità critica, maggiore conoscenza e nuove responsabilità individuali.

A fare una differenza sostanziale saranno le scelte che produttori di contenuti e utilizzatori dei nuovi media tecnologici faranno. I primi per impedire il prevalere della fiction sull'informazione, e la diffusione delle false verità al posto della corretta informazione sui fatti ma anche per riaffermare il ruolo etico della buona e affidabile informazione. I secondi per difendere il loro diritto a un'informazione libera e attendibile, la loro incolumità mentale, cognitiva e psichica e l'uso di strumenti tecnologici in grado di garantire loro libertà di scelta, di critica, di fuga e di abbandono.

Può fare la differenza anche la comprensione dei meccanismi che guidano molte scelte online, come quelle determinate dalle camere dell'eco e dal pregiudizio di conferma. Capire questi meccanismi significa intervenire cognitivamente su se stessi mettendo in discussione visioni del mondo, idee e coerenze personali, eliminare punti fermi, dominare emozioni e operare processi razionali di selezione con l'obiettivo di ricercare la fondatezza, la qualità e in qualche modo anche l'utilità di un'informazione. Vuol dire spostare la propria attenzione dall'ovvio, dalla facile immedesimazione e dalle proprie convinzioni per aprirsi al confronto, al dialogo e alle dinamiche della persuasione, in modo da valutare le diverse interpretazioni alternative esistenti, il loro collegamento tra di esse e con i fatti.

Ciò che sembra una soluzione semplice è reso complicato dalla difficoltà crescente di poter scegliere, misurandosi con la gioia e l'angoscia che sempre accompagna ogni processo decisionale che conduce a una scelta. Una difficoltà non determinata necessariamente dall'incapacità a fare una scelta ma da quanto la libertà possa essere limitata e condizionata. La limitazione può derivare dall'assenza di libertà come sta succedendo nella Turchia attuale (ogni nuova protesta porta al blocco di spazi sociali online come Facebook), in paesi come l'Egitto, la Cina (dopo avere realizzato la Grande Muraglia, oggi il paese è impegnato nella sua trasposizione in formato digitale), la Russia o il Messico (a parlare per questi paesi sono le decine di giornalisti uccisi per avere semplicemente fatto il loro lavoro di informazione e di inchiesta), ma anche dall'assenza di scelte ragionevoli e dall'incapacità a risolvere i dilemmi e i dualismi (stacco la spina da Facebook o lo faccio domani?) che sempre accompagnano ogni tipo di scelta.

Scegliere di abbandonare Facebook è decidere (de-cidere, scindere, rompere, separarsi) di dare un taglio netto. Ogni taglio netto, reale o metaforico che possa essere, genera spavento e terrore anche se poi il risultato potrebbe presentarsi ricco di gioia e di nuove opportunità. Praticarlo è complicato perché nella fase decisionale si prendono in considerazione le opportunità che si rischiano di perdere. Nella decisione possono incidere le paure per i rimpianti che potrebbero emergere nel futuro, trasformando la vita dopo la scelta in un percorso verso il vuoto dell'ignoto, in un inferno fatto di timori e tremori, di nostalgia, recriminazioni e bisogni repressi. Una situazione ben conosciuta e descritta dal filosofo esistenzialista Søren Kierkegard. Per non cadere vittima delle vertigini Kierkegard  evitò accuratamente di fare scelte ("L'istante della decisione è follia"), non si sposò neppure dopo anni di fidanzamento, non accettò incarichi sacerdotali e ridusse al minimo ogni possibilità di prendere delle decisioni affidandosi alla fede, rinunciando a conoscere ciò che è vero e a sperimentare le gioie del vivere.

Una scelta diventa più facile se si è maturata la consapevolezza delle cause e degli effetti, dei rischi, ma anche della possibilità di godere di realtà tra loro opponentesi, come ad esempio una vita reale e fattuale e una virtuale e digitale. Scegliere non significa necessariamente rinunciare a qualcosa ma trovare modi diversi di riconciliazione con esperienze e realtà diverse e contraddittorie. Queste riflessioni che sembrano essere riferite a scelte di vita ben più importanti, hanno una loro valenza anche per le scelte legate alla tecnologia di cui stiamo parlando. È una valenza determinata dal peso assegnato agli strumenti tecnologici nella vita quotidiana, nella relazione malata che si è instaurata con essi, dalla loro influenza psicologica ed emotiva, dall'uso che ne è fatto a livello sociale e dalle persone della propria cerchia relazionale.

La pratica della scelta andrebbe esercitata anche nell'interazione con l'informazione e la sua verità o realtà fattuale. Star dietro ai fatti non è semplice, anzi è diventato particolarmente complicato, soprattutto se ci si è abituati a un'informazione frammentata e continua, alla quale si accede principalmente attraverso mezzi digitali. Le nuove tecnologie permettono la raccolta di una miriade di dati che forniscono informazioni e conoscenze su ognuno di noi a produttori, call center, grandi Marche e persino gestori di pizzerie con consegna a domicilio. Allo stesso tempo queste tecnologie possono essere usate per offuscare la realtà e/o produrre un'iper-realtà che mescola insieme realtà fattuali, virtuali e immaginarie all'insaputa dei diretti interessati o con effetti importanti sulla vita quotidiana delle persone. Una vita sempre più condizionata dall'iper-realtà e che è diventata parte permanente del vissuto esperienziale di un numero crescente di persone.

Se le persone fanno sempre più fatica a distinguere la realtà dalla finzione, il vissuto personale da quello raccontato in una fiction televisiva, il mondo dello spettacolo e dello storytelling dalla vita reale di ogni giorno e dalle sue storie reali, a maggior ragione faranno fatica a discernere le notizie vere da quelle false e le bufale dai fatti. A maggior ragione faranno fatica a decidere di staccare la spina, di abbandonare le piattaforme digitali che frequentano per stabilire delle TAZ (Zone temporaneamente autonome) in cui provare nuovamente ad ascoltare se stessi, a esercitarsi in azioni tipicamente umane come pensare in profondità e concentrarsi su qualcosa di diverso dall'informazione che scorre sulla superficie lucida e magnetica di un display tattile, elaborare pensiero critico, alimentare l'elasticità mentale, riflettere criticamente ("riflettere su se stessi non è mai un'operazione agevole, esplorare la propria natura non sempre porta a incontrare delle certezze, e analizzare i propri valori non conduce sistematicamente a scelte coerenti e razionali" ha scritto Michela Marzano nel suo libro Estensione del dominio della manipolazione), saper distinguere, uscire dall'isolamento, riprendere il controllo della propria storia, porsi delle domande e interrogarsi su comportamenti e modi di pensare, condividere faccia a faccia e con altri quello che si pensa, dare forma a nuove conoscenze, buone pratiche e nuovi stili di vita. Riflettere criticamente può aiutare anche a trovare la via di uscita dalle caverne digitali che in forma di labirinti ci hanno imprigionato, permettendoci una loro esplorazione e di escogitare metodi intelligenti per entrarvi, muoversi al loro interno, trovarvi i tesori nascosti ma anche per riuscire a uscirne attraverso fili di Arianna digitali ma non meno efficaci.

La difficoltà a staccare la spina e quella ancora maggiore di saper identificare le bufale percependo per tempo il loro grado di verità o falsità, suggerisce un intervento esterno. L'individuo non dovrebbe essere lasciato solo ma sostenuto, nel suo districarsi nel sovraccarico d'informazione a cui è esposto, da autorità e legislazioni capaci di porre dei paletti alla diffusione in Rete delle false verità ed intervenendo con norme restrittive finalizzate a arginare il problema. Un intervento normativo rischia di porre delle limitazioni alle libertà individuali ma potrebbe essere accolto positivamente da utilizzatori della rete sempre più deboli e vulnerabili perché sempre più esposti ai numerosi inganni digitali, siano essi di origine cybercriminale o determinati dalla disinformazione che viaggia sui social network. Anche un intervento esterno difficilmente riuscirà comunque a bloccare un fenomeno che accompagna l'essere umano da sempre come quello delle false narrazioni, delle bugie e delle notizie false. Impossibile eliminare la disponibilità e la voglia umana di essere coinvolta in storie misteriose, di complotti ma anche di miracoli e interventi percepiti come magici.

L'uomo ha bisogno di storie e poco importa se sono vere o false, rincorre le spiegazioni semplici, facilmente comprensibili e in grado di arrivare alla testa immediatamente, anche grazie alle emozioni che sono in grado di suscitare. A questo bisogno, nella storia umana si è presentata da sempre un'offerta ricchissima di risposte, oggi ulteriormente arricchita dalla facilità con cui le risposte possono essere veicolate. Se non riuscirà a bloccare il fenomeno, l'introduzione di limitazioni, vincoli e norme, servirà in ogni caso a tenere viva l'attenzione sul problema e ad animare un dibattito culturale utile a quella maggiore consapevolezza di cui ogni individuo dovrebbe dotarsi per navigare il mare magnum dell'informazione odierna. Le balle in circolazione continueranno a essere numerose. Una maggiore attenzione e una crescente consapevolezza potrebbero però trasformare queste balle in tante bolle, pronte a esplodere e a dissolversi nell'aria così come fanno le bolle di sapone la cui superficie è diventata troppo trasparente e troppo sottile.

Le bolle di sapone non sempre esplodono per raggiunta sottigliezza massima della loro superficie. Può capitare che vengano fatte esplodere prima dalla decisione di chi le ha create o da chi le sta usando. La stessa cosa potrebbe succedere alle balle digitali e alle post-verità che animano il dibattito pubblico. A farsi carico di far esplodere le bufale come se fossero bolle di sapone ci stanno pensando già numerosi siti che si sono presi l'onere di investigare la Rete alla scoperta e disvelamento delle false notizie in circolazione e di chi le ha artificialmente costruite e messe in circolazione. Questi siti, spesso creati senza scopo di lucro e attivi grazie all'impegno volontaristico di giornalisti, blogger, freelance, e produttori di contenuti online.

La loro azione non basta, anche perché pochi ne conoscono l'esistenza, e ancora meno si premurano di visitarli con regolarità. Meglio insistere sulla ricerca di una consapevolezza maggiore dalla quale potrebbe derivare un'autodisciplina capace di cambiare comportamenti; meglio fare più attenzione alle informazioni recapitate nelle mailbox o postate su una pagina Facebook; meglio verificarne sempre con cura e attenzione la fonte e la sua autenticità; meglio esplorare la rete per capire quanto una notizia sia diffusa e come sia stata commentata e/o recensita. Oltre all'autodisciplina serve anche una buona dose d'ironia e di autoironia, un modo sano per sdrammatizzare e limitare i danni, per leggere le bufale con occhio diverso e per coltivare quella leggerezza che può aiutare al distacco, dall'informazione così come dal mezzo tecnologico.

 

 

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