E guardo il mondo da un display

01 Dicembre 2015 Redazione SoloTablet
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CAPITOLO 16

Il libro E GUARDO IL MONDO DA UN DISPLAY di Carlo Mazzucchelli è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Il display come lente di ingrandimento e di realtà aumentata 

Le metafore della lente come strumento di ingrandimento e del display come spazio di sperimentazione di realtà aumentate possono servire entrambe a comprendere meglio il ruolo del soggetto, dei suoi organi di senso e delle sue esperienze pregresse, nella costruzione di nuove realtà. Se il mondo percepito è diverso, a seconda delle lenti utilizzate (occhio, Google Glass, Oculus Rift, ecc.), le realtà sono destinate a moltiplicarsi perché non ci sono solo osservatori diversi ma anche infiniti sguardi che ognuno di loro può proiettare sulla stessa realtà. Se “Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista e per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista” (Marianella Sclavi, autrice di “Arte di ascoltare e mondi possibili”), le due metafore permetteranno di penetrare nell’esperienza dello sguardo dell’individuo tecnologico, sia nella sua soggettività sia come soggetto che guarda e che partecipa ad un contesto abitato da altri oggetti e realtà, alcune delle quali virtuali e dotate di una loro capacità di ‘vedere’ (rappresentazione simbolica del reale). 

Il display come lente trova le sue radici nella distinzione operata in ambito artistico tra la visione nordeuropea del settecento e quella rinascimentale italiana. La prima vedeva nel quadro un sostituto dell’occhio (una cornice che contiene un fotogramma di realtà e che può esistere anche in assenza dello sguardo dell’occhio umano), la seconda una finestra attraverso la quale far passare lo sguardo dei nostri occhi. È una distinzione concettuale ampiamente trattata negli studi psicologici della percezione nelle due forme dialettiche note come egocentriche e allocentriche. Le coordinate dell’approccio egocentrico sono quelle del soggetto che guarda, quelle dell’approccio allocentrico si basano sulle sue posizioni relative all’interno dell’ambiente in cui si trova, ad esempio una galleria d’arte con i suoi quadri esposti. Nel primo caso il soggetto sta di fronte agli oggetti e li analizza da un punto di vista soggettivo, nel secondo è immerso nell’ambiente e misura la prossimità e l’influenza degli oggetti che lo caratterizzano (due esperienze diverse ben note ai giocatori di videogiochi). 

Il display come lente è come il parabrezza dell’auto o uno specchietto retrovisore che permette una percezione del mondo al di fuori del veicolo in una rappresentazione delimitata dalle dimensioni della cornice del vetro, dalla sua trasparenza e capacità di ingrandimento. Tramite il parabrezza le cose sembrano più vicine e più facilmente percepibili ma in questa visione il vetro display rischia di essere solo luce e trasparenza. Gli oggetti appaiono sul display ma sono semplici riflessi e proiezioni di cose che esistono al di fuori. Oggi questi riflessi sono generati da lenti a contatto nella forma di tecnologie indossabili. Dotati di appositi proiettori microscopici, sono capaci di produrre realtà aumentata direttamente sulla retina degli occhi di chi li indossa. Non sono semplici vetri trasparenti ma strumenti di trasformazione della realtà e del suo arricchimento informativo e conoscitivo. Queste lenti funzionano come display ma in realtà si sostituiscono a esso, rendendo ancora più intrigante il ruolo che le nuove tecnologie visuali hanno nella costruzione della nostra relazione con il mondo. Fotografano con noi la realtà percepita ma al tempo stesso la trasformano ridisegnandone i contorni e i confini. 

Il display tecnologico che funziona come lente a contatto, microscopio o lente di ingrandimento, è capace di affascinarci mostrandoci cose, infinitamente piccole o lontane e che i nostri occhi da soli non possono vedere. È come se, attraverso i mondi là fuori, esperibili tramite un display-lente, andassimo ad aggiungere alla nostra esperienza nuove dimensioni addizionali nelle quali esaudire il nostro desiderio perenne di conoscenza. Una di queste dimensioni è il tempo capace di catturare la nostra coscienza e di riempire di significati le dimensioni geometriche del display (lunghezza, larghezza e spessore). Un’altra dimensione è quella virtuale che sembra dare dimensioni diverse a ciò che appare sullo schermo, fornendo contorni ricchi di informazione aggiuntiva sulle cose riflesse dalla lente schermo come quella della fotocamera di un dispositivo o dei prisma di un HMD (Head Mounted Display). Il display del dispositivo, opportunamente orientato e puntato, con le opportune applicazioni, aggiunge alla realtà incorniciata dallo schermo numerose informazioni non visibili a occhio nudo. 

Il display si fa lente anche nelle numerose tele- e video-camere (oggi anche montabili su droni capaci di produrre video-selfie grazie alla capacità di riconoscere i tratti facciali di una persona) che ci seguono ovunque controllando non soltanto i nostri spostamenti ma anche quello che facciamo, chi incontriamo e i nostri comportamenti quotidiani. Ne deriva una vulnerabilità percepita come violazione della privacy, controllo e impossibilità di aspirare a rimanere soli. La diffusione della tecnologia, le Internet degli oggetti e la mediatizzazione dello spazio pubblico hanno trasformato l’individuo in un vetrino da laboratorio su cui, puntando la lente del microscopio, è possibile rilevare anche ciò che è stato abilmente nascosto (la cellula attiva di uno smartphone unitamente e Big Data in Cloud Computing svelano azioni e luoghi in cui si sono svolte anche a distanza di anni).  

Imposto come strumento per rendere la vita delle persone più sicura e tranquilla, il display lente che tutti intercetta, spia ascolta, si trasforma in strumento di controllo sociale, un vero e proprio paradosso della sorveglianza. La pervasività dei sistemi di controllo visivo è tale che l’unica speranza per sfuggirvi è quella di trasferire la propria vita sociale e pubblica direttamente sullo schermo riducendo progressivamente la visibilità del corpo fisico e materiale. Una speranza vana considerando il modo con cui la sorveglianza e il controllo possono essere esercitati online attraverso altre lenti metaforiche, digitali e molto potenti come cookies, sistemi di profilazione e personalizzazione, motori di ricerca e social network (è di questi giorni la notizia che la National Security Agency americana ha interrotto lo spionaggio a a tappeto dei cittadini americani ma ha confermato quelli sul Web).

Anche se le informazioni trapelate e comunicate dai media evidenziano l’insufficienza della videosorveglianza nella prevenzione del crimine e nel garantire la sicurezza, il controllo visivo dei display lente continuerà a crescere e a proliferare trovando nuove forme di espressione nei droni vedenti e onniscienti che con i loro occhi schermi evidenziano il passaggio a un’era tecnologica di controllo globalizzato, atmosferico e istantaneo. Già oggi sono attivi droni Argo (progetto del Dipartimento della Difesa Americano) capaci di fondere insieme i dati di 368 fotocamere smartphone sempre attive capaci di creare immagini composte da 1,8 milioni di pixel e di captare in tempo reale i movimenti più insignificanti in ogni luogo, trasformando il cielo in un unico grande occhio liquido (un unico grande terzo occhio di un dio Shiva tecnologico) capace di visualizzare tutto ma anche, per le sue capacità tecnologiche, di memorizzare e archiviare dati, di elaborare informazioni e fornire conoscenze utili ad azioni di spionaggio e militari.

La diffusione dei droni, per terra e per mare è destinata ad ampliare il controllo visuale dell’occhio elettronico dotato di laser della macchina. Un controllo compiuto da un occhio sempre più invisibile, remoto e intelligente e utilizzabile anche per fini politici, militari e di polizia. Un controllo che avviene al di fuori delle norme nazionali di paesi geograficamente delimitati ma impossibilitati a erigere muri celesti o sottomarini per tenere i droni fuori dai loro perimetri nazionali. Un controllo destinato alla costruzione dei nuovi imperi tecnocratici prossimi venturi e dei quali si ha già un assaggio attuale con le numerose missioni che arrivano alla ribalta dei media per la precisione micidiale dei loro attacchi contro terroristi ma anche quella criminale che coinvolge tribù pacifiche di pastori, famiglie con bambini numerosi o semplici individui sfortunati perché si trovano nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Il drone occhio di Dio è l’incarnazione dello sguardo senza volto della videosorveglianza di Paul Virilio (il filosofo francese ha anticipato l'arrivo dei droni con le sue visioni su macchine vedenti, desiderose e capaci di vedere tutto, conoscere tutto, in ogni momento, in ogni luogo e di illuminare il mondo intero per meglio sorvegliarlo e controllarlo) uno sguardo capace di orientarsi ininterrottamente e circolarmente dal centro alla periferia e senza bisogno di video camere o piloni di sostegno nelle strade cittadine.  Mentre la videocamera può sorvegliare ma anche escludere dal suo sguardo ciò che non vuole vedere, l’occhio del drone opera come uno scannar capace di video-sorvegliare qualsiasi cosa, il potenziale terrorista così come persone normali impegnate nelle loro attività quotidiane e diventate implicitamente, proprio perché osservate, individui sospetti e potenziali candidati ad una azione violenta da parte della macchina drone.

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E guardo il mondo da un display

Dall’essere soggetti che osservano e guardano, attraverso il display di un dispositivo tecnologico, gli esseri umani hanno finito per abitare la periferia degli spazi sotto il controllo di macchine tecnologiche vedenti. Nella loro presunzione di essere sempre connessi, perché dotati di dispositivi tecnologici mobili che garantiscono loro la connessione, gli esseri umani non si rendono conto di essere disconnessi dalla vera conoscenza, sempre più terreno di potere della tecnologia grazie a tecnologie come droni, big data e cloud computing.

Il display non è solo di ingrandimento ma anche potente strumento per la costruzione di realtà aumentate. I display tecnologici costruiscono per noi e insieme a noi numerosi labirinti virtuali condizionando la nostra percezione della realtà e i nostri comportamenti riducendo la distanza tra i mondi paralleli che frequentiamo. La loro capacità di fornire realtà aumentate li trasforma in potenti strumenti percettivi, di comunicazione, di sperimentazione creativa della realtà e di interfaccia nella interazione tra l’uomo e la macchina.

Grazie alle nuove applicazioni di realtà aumentata il display di un tablet permette di reinventare lo spazio e di soddisfare la curiosità dell’utente rivelando ciò che sta oltre i confini della cornice del dispositivo e che diventa visibile grazie a semplici rotazioni o movimenti dello stesso. Le informazioni contestuali, che scorrono sugli oggetti inquadrati dal display, infrangono le coordinate dello sguardo, lo rianimano in continuazione risucchiandolo in esplorazioni emozionalmente ricche dei molti mondi paralleli e contigui al nostro che ci accompagnano. Lo sguardo viaggia dentro lo schermo ma spazia in mondi che vanno oltre le dimensioni del display e le sue realtà simulate. Le realtà virtuali e simulate dello schermo diventano, in presenza di realtà aumentate, una porta verso mondi diversi, una zona di passaggio per percorsi creativi e itinerari attivi condizionati dagli oggetti e dall’interazione con essi. I tre mondi, reale, virtuale e aumentato non sono tra loro in contrapposizione ma dialogano tra di loro dando origine a un occhio e a uno sguardo diversi finalizzati a ricomporli in un’unica esperienza soggettiva.  

La rivoluzione delle interfacce preposte alla realtà aumentata sta cambiando il modo di interagire con la tecnologia e la nostra percezione degli oggetti e dello spazio fisico nel quale essi sono collocati. Per vivere l’esperienza della realtà aumentata non servono mouse o tastiere, sono gli oggetti stessi che si rivelano a noi dandoci la possibilità di usarli in modalità nuove. Un medico ad esempio può esaminare un paziente traendo informazioni utili da immagini mediche, visibili attraverso appositi dispositivi e che arricchiscono la sua vista, la sua conoscenza e la sua capacità diagnostica. 

I mondi della realtà aumentata non sono artificiali come quelli virtuali ma composti di oggetti reali dotati di informazioni digitali e di capacità a comunicare con chi li guarda, li usa o interagisce con loro. Nelle realtà virtuali il dialogo è con lo spazio artificialmente costruito, in quelle aumentate con gli oggetti reali, che stanno al di fuori della cornice del display, e con esso sono in grado di comunicare. Ne deriva una nuova prossemica dello sguardo all’interno di spazi virtuali, quelli del dispositivo e del display. Uno sguardo diretto a collegare lo spazio mentale con quello reale degli oggetti con i quali si coabita, in ogni contesto o ambiente frequentato.

 

Grazie alla realtà aumentata l’informazione elettronica e digitale disponibile,  non sempre raggiungibile attraverso interfacce tecnologiche tradizionali, si integra con il mondo reale offrendo l’opportunità all’utente di trarre vantaggio dalle sue competenze e capacità di interagire con la realtà esterna e i suoi oggetti o eventi. La modalità con cui l’esperienza della realtà aumentata viene vissuta è semplice e può usare uno o più approcci diversi. Per funzionare è necessario che l’utente sia dotato di dispositivi appositi, un tablet, un guanto, un occhiale intelligente o un HMD (Head Mounted Display) per ottenere informazioni dagli oggetti, che gli oggetti contengano informazioni in formato digitale e siano in grado di comunicarle e che l’ambiente circostante sia in grado, anche in modo autonomo, di raccogliere informazioni ambientali, di visualizzarle sugli oggetti e di catturare le interazioni delle persone con essi. 

La chiave di tutto sta nella relazione che si instaura tra l’utente e l’oggetto, nelle loro interazioni e nella capacità della tecnologia usata di integrare la realtà fattuale e virtuale con quella aumentata. Ad esempio un ostetrico, dotato di un casco di realtà aumentata, potrebbe guardare e interagire con la paziente e al tempo stesso avere delle immagini del bambino nella placenta, un chirurgo plastico potrebbe esplorare e sentire fisicamente la superficie della pelle di un paziente e al tempo stesso visualizzare le immagini tridimensionali scannerizzate della forma delle ossa o di una parte anatomica da ricostruire con un intervento di chirurgia plastica. Per partecipare a una realtà aumentata l’oggetto deve subire una mutazione tecnologica e digitale. Può essere integrato con informazioni e dotato delle abilità utili a comunicarle e condividerle, oppure può essere arricchito con sensori (luce, suono, movimento, tatto, prossimità, ecc.) e di logiche applicative appropriate per l’interazione con una persona, con un dispositivo o con l’ambiente.  A trasformarsi in realtà aumentata può essere la realtà stessa, l’ambiente fisico nel quale si muove l’individuo e che può essere attrezzato per agire sulla base dei suoi movimenti nello spazio, per interagire con esso o per eseguire istruzioni e comandi ricevuti. 

La diffusione delle tecnologie mobili ha facilitato lo sviluppo di numerose applicazioni di realtà aumentata, oggi a disposizione di ogni utilizzatore di un dispositivo Mobile attraverso un semplice download. Molte sono anche le applicazioni di tipo aziendale e industriale. Paradigmatica è quella applicata alle linee di montaggio dell’industria che prevedono processi e sequenze di assemblaggio complicate di prodotti complessi. La complessità deriva spesso dalla pressione legata ai tempi lavorativi e alla ricerca della qualità. Processi e sequenze delle varie fasi di assemblaggio possono essere semplificate in modo efficiente grazie alla presentazione di informazioni visuali aggiuntive che vanno a sovrapporsi ai componenti da assemblare. La realtà percepita dal lavoratore, dotato di dispositivi come Oculus Rift, cambia grazie alla possibilità di combinare oggetti reali con oggetti virtuali in un ambiente reale, di farli comunicare tra di loro e di interagirvi in tempo reale. 

La diffusione delle numerose tecnologie di realtà virtuale e aumentata e la loro evoluzione stanno determinando una rivoluzione anche dal punto di vista cognitivo. I nuovi strumenti di visualizzazione sempre più integrati e capaci di riprodurre la realtà in modo realistico, con i loro effetti sull’apparato percettivo umano, incidono e cambiano le modalità con cui l’apparato cognitivo acquisisce nuove informazioni, elabora nuove conoscenze e le comunica. La tecnologia virtuale ha evidenziato il ruolo primario dell’esperienza cognitiva di tipo percettivo-motorio nella costruzione virtuale e modellazione simulata e imitativa di mondi reali ([1]). Quella aumentata ridà importanza all’ esperienza cognitiva di tipo simbolico-ricostruttivo basata sulla decodifica di simboli astratti e la ricostruzione mentale dell’oggetto  dell’esperienza conscia in cui è impegnato il soggetto. 

La rivoluzione tecnologica e cognitiva indotta dalle realtà aumentate di strumenti tecnologici come Oculus di Facebook, Epic, Mirama, Recon Jet e le soluzioni di Sony, Valve e Samsung è destinata a fornire all’utente esperienze sempre più integrate di realtà virtuali e realtà aumentate. L’integrazione è finalizzata a produrre un’unica realtà aumentata nella quale persino i display pieni di contenuti digitali e realtà simulate degli schermi attuali potrebbero sparire o assumere nuovi ruoli. 

Dotati di display avveniristici di realtà aumentata, gli utilizzatori di dispositivi tecnologici potranno fare a meno del display del loro smartphone così come di quello del tablet o della Web TV. L’unica esperienza della realtà potrebbe allora passare attraverso un unico schermo, quello di un occhiale intelligente, domani anche capace di proiettare realtà e oggetti in forma olografica, sempre con noi e sempre attivo. Sarà uno schermo che ci offrirà nuove opportunità di usare lo sguardo, di vedere dentro e fuori, superficialmente e in profondità e di permettere agli oggetti di interagire con noi. Sarà un display con il quale abitare gli spazi sociali dei social network, chattare e cinguettare, guardare film e video, giocare e video-giocare, organizzare e modellare dati, dipingere e sviluppare le capacità creative, e molto altro ancora. 

Lo scenario, oggi solo prefigurabile non è lontano dal diventare realtà. 

Rimane il dubbio sul bisogno reale di vivere realtà aumentate in un periodo caratterizzato da surplus informativi, cognitivi e visuali che sembrano impedirci di vivere pienamente la semplice realtà di molta parte delle nostre vite. 

Il dubbio è attuale ma la mente modificata tecnologicamente e immersa nella realtà aumentata potrebbe non avere alcun bisogno di dubitare.

 

 



[1] I concetti usati fanno riferimento alla distinzione operata dal Prof. Francesco Antonucci tra apparato cognitivo di tipo simbolico-ricostruttivo e percettivo-motorio. Secondo Antonucci “ accade che lo sviluppo tecnologico in corso tenda sempre più a spostare l’operare cognitivo umano a tutti i libelli dal modo simbolico-ricostruttivo a quello percettivo-motorio e accade inoltre che si stiano rendendo accessibili all’operare percettivo-motorio campi di conoscenza prima tipici dell’operare simbolico-ricostruttivo”.

 

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