Il libro E GUARDO IL MONDO DA UN DISPLAY di Carlo Mazzucchelli è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
Il display e il cervello che legge
“State per leggere questo capitolo. Senza che ne abbiate coscienza il vostro cervello compie una prodezza notevole. In questo stesso istante i vostri occhi percorrono la pagina con piccoli movimenti, rapidi e precisi. Quattro o cinque volte al secondo il vostro sguardo si ferma su una parola che riconoscete subito senza sforzo. Com’è possibile che un qualche segnetto nero su un display illuminato e trasparente si imprima nella vostra retina, riuscendo a evocare un universo intero di colori ed emozioni, come accede con l’incipit della Lolita di Nabokov?...Dietro ogni lettore si nasconde un meccanismo neuronale…” – I neuroni della lettura di Stanislas Dehaene
I mille display, con cui tutti interagiscono quotidianamente, hanno rilanciato la pratica della scrittura, e contribuito al surplus cognitivo e informativo che non favorisce la concentrazione e ancora meno la lettura. Ne deriva una preoccupazione grande, finalizzata a proteggere la lettura e la sua capacità generativa. Una preoccupazione manifestata in passato da personalità come Martin Lutero che, in un periodo di fioritura della stampa, suggeriva di limitare i libri o Allan Poe che vedeva nella proliferazione dei libri uno dei grandi mali della sua epoca, perché rappresentava uno dei più grandi ostacoli all’acquisizione di una corretta informazione ([1]). L’obiettivo in passato era il rafforzamento della lettura, per favorirne la profondità e l’acquisizione di sapere. Oggi il tentativo è di contrastare l’analfabetismo dell’informazione, prodotto da Google e dalle altre Marche tecnologiche che, in modo pervasivo, governano e guidano il nostro accesso all’informazione e alla conoscenza e il nostro cervello che legge, attraverso potenti display tecnologici.
I display sono diventati lo strumento principe del cervello che legge e metafora delle sue molteplici evoluzioni e cambiamenti. La prevalenza dell’immagine sul testo che caratterizza gli schermi digitali sta operando una profonda trasformazione. Un cambio di paradigma che sta ridefinendo e riorganizzando il cervello delle nuove generazioni e il suo funzionamento. L’aver sostituito il libro o il testo scolastico con il display di un tablet o smartphone sembra un’evoluzione naturale a quanti, nativi e immigrati digitali, si sono convertiti alla nuova civiltà tecnologica. Le molteplici domande che questo cambiamento solleva richiedono in realtà risposte più attente, analitiche e profonde. La maggiore circolazione di informazioni non si traduce automaticamente in sapere, in maggiore conoscenza e neppure in abilità di lettura. Almeno come attività finalizzata ad andare oltre il testo, per acquisire capacità di pensiero autonomo, di elaborare pensiero critico e di pensare se stessi.
E guardo il mondo da un display
Secondo Maryanne Wolf autrice del libro, Proust e il calamaro, “non siamo nati per leggere” il nostro codice genetico non prevede l’esistenza di alcun gene preposto a questo tipo di attività. Leggere è un’attività umana che si è evoluta nel tempo grazie alla straordinaria plasticità e duttilità del cervello umano che ha permesso l’adattamento ambientale e la soddisfazione dei bisogni primari. Durante questa lunga evoluzione, si sono formati neuroni specializzati nel riconoscimento e nell’interpretazione di segni simbolici. L’accesso ai segni e alla loro simbologia è avvenuto attraverso varie tipologie di tecnologie come le tavolette cuneiformi, i Quipo (quipu in lingua quechua) o cordicelle Maya (insieme di cordicelle annodate, distanziate in modo sistematico tra loro, legate a una corda più grossa e corta che le sorreggeva, utilizzate per i calcoli matematici e astronomici, per formule magiche ma anche per descrivere sommariamente avvenimenti storici ed economici), l’alfabeto semitico, quello greco e quello fonetico. Oggi il cervello che legge si deve confrontare con irresistibili schermi, con le nuove tecnologie dell’informazione e la loro velocità, le loro conseguenze ed effetti rilevanti sul nostro modo di pensare e a livello cognitivo.
Il display che ha cambiato la lettura, l’ha resa democratica e possibile a un numero maggiore di persone e al di fuori di caste come quelle degli antichi scribi o dei sacerdoti del sapere dell’antichità. Il cambiamento ha facilitato la decodifica dei messaggi del testo scritto, lasciato maggiore tempo all’elaborazione di nuovo pensiero e al flusso delle emozioni, ma ha prodotto effetti collaterali e nuovi rischi, legati ad un cervello sempre più digitale. La proteiforme capacità del cervello di dare forma a nuovi circuiti neuronali e processi cerebrali ha costruito vie neurali automatizzate per il riconoscimento di lettere, gruppi di lettere e parole. Oggi questo cervello deve misurarsi con l’universo Google, con gli ambienti sociali del muro delle facce e con il rischio di una lettura sempre più atrofizzata e prevalentemente visuale che impedisce di avere tempo e motivazioni sufficienti per un’elaborazione di pensiero di tipo analitico, critico e inferenziale.
Nel corso dell’acquisizione della capacità di lettura i nostri circuiti neuronali, come ha descritto lo scienziato cognitivo Stanislas Dehaene nel suo libro I neuroni della lettura, erano originariamente destinati al riconoscimento degli oggetti, si sono poi storicamente riciclati per decifrare caratteri dalle più diverse dimensioni e fogge e oggi si sono specializzati per comprendere quelli iconici e visuali che animano i display dei dispositivi elettronici. Sono gli stessi display che, in forme e in dispositivi diversi, hanno permesso allo scienziato di visualizzare i risultati delle sue attività di imaging e risonanze magnetiche usate per cogliere l’intimo funzionamento del cervello che legge e elaborare le sue teorie sulla lettura. Seguendo vie casuali il nostro cervello ha generato complessi ingranaggi che ci permettono di leggere. Lo ha fatto a partire dall’apparizione della scrittura circa 5400 anni fa e del primo alfabeto fonetico che risale a 3800 anni fa e producendo istruzioni genetiche utili alle operazioni della lettura. Ne è derivato un cervello adattato alla lettura e predisposto per altre evoluzioni future, come quelle che si stanno producendo dalla persistente interazione con i numerosi schermi quotidiani.
Se il cervello si è adattato alla lettura e la lettura è il frutto di un processo di adattamento fisiologico e culturale e di passi avanti cognitivi, l’affermarsi degli schermi e di nuove modalità di lettura suggeriscono una riflessione più attenta sul ruolo che le tecnologie digitali hanno nel determinare l’evoluzione futura. Un processo di acquisizione lenta delle risorse, avvenuta attraverso l’integrazione di diversi sistemi di apprendimento di tipo “fonologico, semantico, sintattico, morfologico, pragmatico, concettuale, sociale, affettivo, articolatori e motori” (Maryanne Wolf), è servito ad andare oltre il testo e leggere criticamente. Oggi il display e le tecnologie alle quali dà accesso facilita un tipo di lettura veloce, visuale, frutto di navigazione nell’ipertesto più che di lettura lineare, una lettura che può penalizzare la capacità di leggere delle nuove generazioni. La decodifica delle informazioni è resa più semplice dalla maggiore facilità di accesso e dagli strumenti tecnologici disponibili. Il rischio è che venga meno la capacità di valutare criticamente il testo, di analizzare, di soppesare e comprendere e di mettere in ordine secondo priorità e scelte individuali.
Il rischio non è legato a scelte individuali ma allo stesso processo di lettura che vede nell’occhio il suo strumento interpretativo principale, oggi potenziato dalla diffusione di oggetti, prevalentemente visuali. La lettura di uno schermo, così come di qualsiasi altro strumento di lettura, non ha nulla di magico ma è la semplice espressione di un processo di frammentazione del testo, della sua riunificazione e decodifica fonologica e lessicale.
L’acquisizione del testo a opera dello sguardo è soggetta a limiti invalicabili di lettura dovuti al tempo necessario al riconoscimento delle parole (sistema visivo di riconoscimento), alla loro lettura mentale e trasformazione fonologica, alla associazione di significati e alla loro disambiguazione anche attraverso i numerosi dizionari (riconoscimento delle forme e del linguaggio) di cui tutti siamo dotati (uno per ogni lingua conosciuta e parlata). Questi limiti, oggi conosciuti dalle neuroscienze, vanno intrepretati alla luce dei grandi cambiamenti legati alla diffusa visualizzazione della lettura, alla crescente ricettività dei nativi digitali verso forme visuali di lettura e agli effetti che la lettura produce nel cervello delle persone che leggono. La componente visiva, fotografica e pittorica della lettura è tipica dell’infanzia, poi subentra quella della comprensione fonologica e ortografica. La prima non è sufficiente così come la seconda non esisterebbe senza la prima. La prevalenza della lettura visiva, tipica dell’era degli schermi, rischia di rendere più complicata l’integrazione delle due componenti e di impedire il passaggio ad una lettura matura, fatta di capacità selettiva, di categorizzazioni e classificazioni e di capacità apprese per passare da una immagine al suo significato. Ne deriva la necessità di apprendere come leggere e non limitarsi alla lettura suggerita o imposta dai nuovi schermi tecnologici.
Gli antichi greci vissero il grande cambiamento del passaggio dalla cultura orale a quella scritta, noi oggi stiamo sperimentando la trasformazione ancora più radicale dalla cultura scritta a quella digitale e visuale. Il ruolo diverso delle parole, che per Socrate dipendeva dall’uso orale o scritto che ne veniva fatto, oggi è strettamente legato alla loro visualizzazione sul display di un dispositivo. Lo stesso display che ha favorito il diffondersi della scrittura è diventato strumento di lettura, di comprensione, di memorizzazione e di interiorizzazione del sapere. La parola scritta sul display è frutto delle molteplici attività di scrittura di persone giovani e adulte che usano i loro dispositivi per comunicare e interagire. Questa parola scritta finisce per dare forma alla realtà ma si rivela spesso nella sua illusorietà. Le parole possono trarre in inganno e le parole digitali, come elementi di realtà virtuali esse stesse ingannatrici, rendono ancora più complicato l’accesso alla conoscenza e al sapere.
La domanda da porsi è cosa succederebbe se all’improvviso venisse meno il supporto energetico che illumina i nostri schermi e le nostre stanze, cosa accadrebbe se fossimo costretti a rallentare tutti i nostri ritmi (impossibile muoversi rapidamente al buio di una stanza o alla luce di una candela) e a recuperare la lentezza dei movimenti negli spazi e nel pensiero. A schermi spenti e impossibilitati a navigare e comunicare in tempo reale, potremmo forse recuperare l’attenzione alle cose, alle persone e a noi stessi, l’uso della nostra immaginazione, lo sguardo sulle immagini della realtà circostante e la voglia di lettura. Senza corrente i genitori potrebbero recuperare l’antica pratica della lettura ad alta voce di storie e fiabe, a tavola si potrebbe tornare a chiacchierare, dopo cena si potrebbe accedere nuovamente alla lettura dei libri e apprendere i loro variegati linguaggi. Tutti avrebbero modo di apprendere ascoltando e ascoltandosi, di trovare maggior tempo per riflettere, meditare e pensare e di sviluppare un’affettività fatta di emozioni forti, di sentimenti e di identificazioni.
Scartata l’ipotesi di un blackout globale e persistente, non rimane che misurarsi con le evidenze prodotte dalla ricerca neurologica e cognitiva sul ruolo della lettura nell’evoluzione del nostro cervello e sulla pervasità degli schermi tecnologici che stanno cambiando sia le nostre letture sia il nostro modo di leggere.
La lettura cambia nel tempo e trasforma la vita delle persone che leggono in base a cosa si legge e a come lo si legge. La lettura è sempre più un’attività visuale e digitale che passa attraverso display ingombranti cognitivamente e invasivi che producono effetti profondi sulle nuove generazioni che hanno sviluppato attraverso di essi la loro capacità di leggere, comprendere e analizzare la realtà. Con questi schermi e la loro capacità di trasformare parole, significati, linguaggi, livelli di attenzione, abilità riflessive e sentimenti, siamo obbligati a confrontarci quotidianamente. Per farlo non è necessario vietare l’uso dello schermo o spegnere il dispositivo tecnologico. Serve invece una costante attenzione ai cambiamenti in corso, una disponibilità all’introspezione e all’acquisizione di nuove abilità cognitive, una ricerca di conoscenza fondata sulla riflessione critica, su pensieri complessi e meditazioni prolungate e non semplicemente su informazioni da motore di ricerca. Serve soprattutto la consapevolezza che il nostro cervello è in continua trasformazione evolutiva, sempre insieme a elementi tecnologici ma oggi più di prima condizionato dalla velocità di figa e continua evoluzione delle nuove tecnologie dell’informazione.
I nuovi modi di lettura visuale sul display segneranno le prossime tappe della nostra evoluzione e forniranno nuovi sistemi e risorse per la lettura e per la comprensione del mondo. Il cervello modificato tecnologicamente dalla lettura attraverso un display determinerà a sua volta nuovi processi di lettura e di apprendimento fornendo quanto serve a nuove riflessioni e analisi sulla realtà. In questa fase, invece di affidarsi ciecamente alla tecnologia e ai suoi schermi, può essere utile mantenere un atteggiamento di cautela e di approccio critico, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni di nativi digitali sempre più vittime delle informazioni superficiali che scorrono sui loro schermi. A questi ragazzi non va negato l’accesso allo schermo ma suggerito il ricorso al libro, non va impedito l’uso di linguaggi sintatticamente e semanticamente limitati ma favorito l’apprendimento di lingue diverse, non va proibita l’informazione sintetica dei giornali online ma proposta la lettura del quotidiano cartaceo o di altri media alternativi.
Non intervenire e non suggerire cosa fare per affrontare al meglio il mondo che verrà può significare contribuire a nuove forme di dislessia future, non tanto come patologie ma come crescenti disabilità, causate dalla difficoltà del cervello che legge a fornire quanto serve per continuare a farlo in modo da andare oltre il testo, acquisire nuova conoscenza e maggiore consapevolezza.
- [1] Riferimento tratto dal libro di Clay Shirky, Surplus Cognitivo (Pag. 43 dell’edizione italiana Codice)