Il libro E GUARDO IL MONDO DA UN DISPLAY di Carlo Mazzucchelli è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital
Il display metafora e strumento interpretativo dell’era tecnologica
Le metafore sono strumenti potenti di linguaggio, di conoscenza, di descrizione e di interpretazione della realtà. Ogni metafora agisce a livello cognitivo raccontando e aggiungendo qualcosa al significato letterale dell’oggetto metaforico e fornendo versioni veritiere, visuali e simboliche della realtà metaforicamente interpretata. Ogni metafora può essere usata per costruire nuovi mondi o per cambiare l’aspetto di un oggetto in modo da rispondere a esso in modo diverso, in base alla sensibilità individuale e al carico emotivo di ognuno.
Il display (schermo), nel suo ruolo di superficie su cui prendono forma nuove realtà, vengono affisse o richiamate, da dentro il computer sullo schermo, informazioni di vario tipo, vengono rappresentate immagini e icone che si prestano a una interazione di tipo tecnologico (mouse, tastiera, pennino, joystick, ecc.) e come punto di passaggio di informazioni e immagini che abitano i nostri spazi privati e sociali, è diventato segno paradigmatico dell’era tecnologica e digitale. Il suo significato si è evoluto nel tempo attraverso un percorso caratterizzato da rivoluzioni tecnologiche e digitali, dall’affermarsi di nuovi strumenti come gli schermi cinematografici e quelli televisivi, dalla crescita e diffusione globale di Internet e degli spazi digitali della Rete e dall’affermarsi di nuovi atteggiamenti e comportamenti legati al consumo (non solo di informazioni), alla socializzazione e alla scoperta del sé. Fin dal suo inizio lo schermo è stato oggetto di metafore e similitudini che hanno interessato sia la riflessione intellettuale e teorica, sia la vita quotidiana delle persone (la popolarità dei selfie-autoscatti e molto altro).
La prima e forse la più potente metafora è quella dello schermo come finestra (“l’illusione di un vetro trasparente” di Leon Battista Alberti), una cornice che racchiude una superficie fragile e trasparente che fornisce, attraverso le sue interfacce, un’apertura multidimensionale (la molteplicità delle finestre e delle possibili visioni), non solo visuale, sul mondo del cyberspazio e un collegamento con il mondo al di fuori di essa. Il grande schermo cinematografico funziona come via di fuga dalla conformazione delimitata fisicamente e chiusa del cinematografo. Assume il ruolo che le grandi vetrate delle cattedrali avevano nel trasmettere la luce e collegare l’esperienza del fedele al mondo spirituale, sconosciuto ed eterno (una finestra sull’universo, non solo spirituale). Quello del televisore è una finestra che porta il mondo esterno dentro casa dissolvendo la ristrettezza degli spazi e l’oppressione delle relazioni familiari. Quello piccolo dello smartphone fornisce squarci continui di realtà eliminando i numerosi impedimenti temporali e spaziali e permettendo di vedere le cose in modo nuovo e in tempo reale.
Mentre le finestre e le porte dello spazio fisico servono a definire l’intero processo architetturale, quelle dello schermo agiscono su mondi virtuali e immaginari che sfuggono alla volontà organizzatrice del soggetto. Entrambe assumono comunque forme e proporzioni tra loro assimilabili come quelle che si ottengono ruotando un tablet dalla posizione orizzontale a quella verticale. Un aspetto questo che rafforza la metafora della finestra e la arricchisce dei molti significati a essa associati, fino a partire dalle teorie rinascimentali di Leon Battista Alberti e poi riprese da studiosi come Lev Manovich ([1]) per descrivere l’imprigionamento del corpo del soggetto che guarda sia a livello cognitivo sia spirituale e la specificità interattiva delle finestre dinamiche dei computer e della televisione.
Lo sguardo pittorico e visionario di Jan Vermeer (la mistica della luce) e le sue numerose finestre e vetrate permettono di introdurre la seconda metafora (pittorica) dello schermo. Con la sua cornice lo schermo è da sempre stato assimilato al dipinto come superficie che può ospitare immagini e figure capaci di fornire rappresentazioni del mondo. Lo sguardo non va oltre l’immagine, non la attraversa, come nella finestra, ma si perde nelle percezioni sensoriali determinate dal prodotto della creatività e dalle messe in scena dell’artista. Il tablet con le sue numerose applicazioni per il disegno si presta bene alla similitudine con il dipinto. Il display su cui si dipinge con il pennello digitale è una tela che come tale ridà alla parola schermo il suo significato originale di protezione verso il mondo reale e al tempo stesso fornisce la cornice e la superficie perfetta per completare un’opera pittorica e artistica. La realtà dipinta non è altro che una rappresentazione e una proiezione psichica del soggetto (i Mandala di Jung), un’elaborazione mentale che può agire da protezione contro l’angoscia dell’evento sconosciuto o del vuoto che si trova al di là dello schermo come finestra. La rappresentazione non è interattiva ma comunica e dà senso al mondo in cui ci si muove, grazie alla composizione artistica riprodotta sulla tela.
E guardo il mondo da un display
La terza è forse più intrigante metafora dello schermo è lo specchio. Lo schermo in questo caso viene visto nella sua capacità riflettente, un dispositivo capace di restituire il riflesso delle cose che in esso si rispecchiano, compreso il riflesso degli stessi utilizzatori. La metafora dello specchio offre numerosi spunti di conoscenza, soprattutto a partire dai contributi della psicanalisi sulla identificazione del soggetto con i personaggi che scorrono sullo schermo e negli sguardi di chi li sta raccontando. Lo schermo come specchio permette all’utente di riconoscersi come individuo che guarda sé stesso e si vede vedere. La metafora dello specchio è intrigante perché permette di descrivere lo schermo come strumento per vedere le cose (riflesse) come stanno ma anche come manipolatore della realtà in quanto di esse ci fornisce soltanto le immagini.
Finestra, dipinto e specchio sono metafore utili per raccontare il mondo dello schermo cinematografico, televisivo e dei numerosi dispositivi tecnologici oggi in circolazione. Lo schermo come display si presta però anche a nuove metafore legate all’uso che viene fatto di strumenti tecnologici in ambiti come quelli della videosorveglianza del controllo. In questi ambiti lo schermo è sia quello riflettente e ‘vedente’ della videocamera sia quello del monitor su cui scorrono le immagini della realtà da essa catturate. Lo schermo come monitor è sempre un display riflettente integrato in un dispositivo tecnologico ma assume la funzione di illustrare quanto è stato ispezionato e registrato dallo schermo della telecamera. “La finestra che ci rimetteva in contatto con il mondo diventa uno spioncino attraverso cui scandagliare la realtà, nell’eventualità più che probabile che essa nasconda dei pericoli nei nostri confronti.” (Francesco Casetti, Che cosa è uno schermo, oggi?). Lo schermo come monitor è anche quello che ci viene incontro e ci segue dappertutto nelle nostre esperienze di acquisto all’interno di un centro commerciale o punto vendita. Ci segue per suggerire percorsi e fornire motivazioni all’acquisto capaci di condizionare i nostri processi decisionali. Nella forma di telecamera ci pedina (nessuno fa più caso ai numerosi occhi che ci scrutano dall’alto) e ci controlla registrando ogni nostro movimento, comportamento e azione realizzando quello che Bentham aveva descritto nella sua società disciplinare del Panopticon.
Come finestra lo schermo si apre sullo spazio virtuale ma diventa anche una specie di console o cruscotto virtuale (come quello delle nuove AUDI) dotato di strumenti di controllo con funzionalità e funzioni chiaramente delineate. Questi strumenti sono rappresentati attraverso bottoni, tab, menu ma anche titoli di testo, icone e contenuti o oggetti vari. Lo schermo cruscotto ha trovato varie applicazioni nella forma di Head-up Display (HUD), un dispositivo che permette all’autista di guidare a testa alta, mantenendo l’accesso alle informazioni utili per il viaggio. L’HUD du Garmin riceve le informazioni in arrivo attraverso uno smartphone e le proietta su una pellicola trasparente collocata sul parabrezza o sulla lente riflettente collegata.
Con l’introduzione del tablet il display dello schermo si è fatto lavagna e strumento di scrittura (la tabula romana con il suo stilo e la sua spatola per rendere riutilizzabile la superficie cerata per altre scritture), una superficie piana capace di ospitare appunti, annotazioni e registrazioni finalizzate non soltanto a essere lette ma anche a informare e comunicare. La superficie nera e opaca della lavagna è una metafora perfetta per descrivere una miriade di schermi su cui esercitiamo nuove forme di scrittura e che servono a condividere messaggi, foto, immagini, promemoria e altre forme di contenuti. Come lavagna lo schermo perde la sua funzione simbolica di finestra per assumere quella più pragmatica di superficie per scrivere. Sono superfici di questo tipo tutti gli schermi tattili dei dispositivi mobili in circolazione ma anche quelli pubblici usati come punti di informazione e di accesso a musei, aeroporti, stazioni o sale di aspetto, negozi e punti vendita. Sui primi lo schermo lavagna è usato dai singoli individui per comunicare e visualizzare i feedback delle loro azioni. I secondi funzionano come schermi televisivi su cui fare scorrere video o filmati, pubblicità o elenchi informativi di qualche utilità per chi vi rivolge lo sguardo. Nella loro pratica comunicativa molti monitor, come quelli che in negozio presentano prodotti esposti fisicamente sugli scaffali, finiscono per fare da schermo alla realtà e guidarci cognitivamente ed emotivamente nelle nostre scelte di acquisto.
Un’altra metafora possibile dello schermo è quella della playstation come strumento interattivo che contribuisce a ridefinire di volta in volta, a seconda dei giochi giocati, l’identità relazionale del soggetto. L’interazione che passa attraverso lo schermo è tra entità digitali e mondi virtuali prodotti da algoritmi e applicazioni software che scorrono sul display e la mente, l’anima e la personalità del giocatore. Le due realtà, quella interna al gioco e quella esterna del giocatore sono tra loro strettamente collegate, l’una dipende dall’altra perché senza il giocatore l’immagine sullo schermo sarebbe statica o fissa nella sua attesa di comandi o reazioni (feedback). La valenza della metafora vale però anche per il giocatore. Senza l’interazione ludica e tecnologica la sua identità rimarrebbe frammentata, incompleta e insoddisfatta. Il videogioco come lo schermo digitale prevede l’interazione, lo scambio e la disponibilità a confrontarsi con realtà diverse, digitali, virtuali e inanimate e a seguire le istruzioni (i percorsi) predisposte dallo sviluppatore del videogioco. Il paradosso sta nella realtà di molti giochi che prevedono la distruzione dei mondi virtuali e dei personaggi frequentati. Un destino molto simile a quello di molte rappresentazioni sullo schermo finestra o specchio che finiscono per decomporsi nella loro irrealtà o virtualità.
[1] Lev Manovich è un autore di libri riguardanti la teoria dei nuovi media, docente del Computer Science Program al City University di New York, Graduate Center, U.S. Manovich si occupa principalmente sul rapporto tra il digitale e la persona, teoria della new media art, e studi di software. Il suo libro più conosciuto è Il Linguaggio dei Nuovi Media (The language of New Media) che è stato tradotto in otto lingue. (Wikipedia)