E guardo il mondo da un display

01 Dicembre 2015 Redazione SoloTablet
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CAPITOLO 4

Il libro E GUARDO IL MONDO DA UN DISPLAY di Carlo Mazzucchelli è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

 Tecnologie per nuove forme di realtà

 

Normalmente noi viviamo in mondi intermedi. Quando ci immergiamo in un universo di significato non abbandoniamo gli altri universi: è come se li percepissimo con la coda dell’occhio, poco al di là della cornice” – (A.M. Iacono, A. G. Gargani,  Mondi intermedi e complessità)

 

 

I display come tutte le nuove tecnologie sono strumenti che obbligano all’acquisizione di nuove capacità pratiche, individuali e sociali, per non cadere vittime delle trappole cognitive legate alla distinzione di ciò che è reale (fattuale) da ciò che è apparente (virtuale). Sono strumenti tecnologici che producono e cambiano la realtà imponendo nuovi linguaggi, nuove simbologie e mitologie, nuovi modelli e dando forma a nuove realtà, spesso illusorie, con le quali è necessario confrontarsi culturalmente, praticamente e cognitivamente.

 

Si vive sempre più dentro lo schermo e a esso allacciati nella miriade di forme che esso ha assunto, trasformando la realtà in un caleidoscopio (dal greco καλειδοσκοπεω, "vedere bello") di immagini, di illusioni e di nuovi mondi. Gli schermi odierni, per la loro pervasività, sono diventati fabbriche di realtà e strumenti potenti di interpretazione e sistematizzazione del mondo. Operano come nuove lanterne magiche che inducono cambiamenti culturali e sociali (le nuove fantasmagorie dell’era postmoderna) con la loro capacità di catturare l’attenzione e lo sguardo dello spettatore utente e di incatenarlo alle molteplici realtà da esse proiettate. Realtà che non esisterebbero senza il ruolo di media interpretato da schermi che mettono in comunicazione il soggetto della conoscenza (l’utente) e l’oggetto conosciuto (icona, immagine, realtà aumentata o virtuale).

 

La proliferazione degli schermi e la loro costante presenza hanno reso labile la distinzione tra le varie realtà vissute e trasferito la realtà fattuale all’interno di una superficie riflettente e bidimensionale ma pensata originariamente per rappresentare la molteplicità del reale in tutte le sue poliedriche dimensioni. Ne deriva una diffusa confusione tra la realtà del reale e ciò che è puramente immaginario e virtuale. Ci si collega a Facebook per ridurre la distanza con amici lontani dimenticandosi che quanto scorre sullo schermo è pura interfaccia e che gli amici rappresentati sullo schermo continueranno a essere distanti e in qualche modo sconosciuti. Immersi nel display non ci si rende conto che una superficie piatta (la flatlandia digitale) non può regalare nessuna profondità e tanto meno soddisfare il bisogno di uscire dalle numerose forme di isolamento e di solitudine che caratterizzano la vita reale di molte persone. In un’epoca diventata molto mediatica e nella quale anche gli eventi più reali, magari perché drammatici, si trasformano in semplici immagini che scorrono sul display di un computer, di uno smartphone o nei video di YouTube.

 

Le nuove realtà tecnologiche sono assimilabili a quelle dei reality show nei quali la sceneggiatura predisposta per catturare l’audience è percepita come più reale della realtà (così reale da apparire vera). A nulla sono servite le numerose critiche rivolte allo snaturamento della realtà implicito nelle trame narrative dei reality. Immersi e imprigionati nello schermo del loro televisore o incollati al display tattile del loro tablet, gli spettatori hanno abbandonato ogni resistenza al flusso comunicativo delle immagini in movimento sullo schermo, rinunciando a ogni forma di riflessione critica e consapevolezza sulla diversità della loro esistenza con quella rappresentata sullo schermo. La realtà del reality è diventata per molti uno strumento di interpretazione della loro esistenza e della realtà sociale nella quale sperimentano ogni giorno la complessità e drammaticità del vivere quotidiano. Poco importa se l’approccio dovrebbe essere completamente rovesciato! Invece di agire da protagonisti nel definire il significato finale dei messaggi comunicati dal reality ci si limita a godere della opportunità di partecipare ad un evento virtuale senza rendersi conto che, così facendo, si dimentica di essere animali sociali, si falsificano le emozioni (dentro lo schermo non esiste nulla al di là della pura simulazione e della superficie) e si diventa compartecipi e complici della trasformazione in senso virtuale del mondo.

 

Se lo schermo è diventato lo spazio dove vivere e non semplicemente un mezzo per andare da qualche parte (passare attraverso), allora attività umane, contraddittorie e ricche di conseguenze personali e sociali, come la comunicazione e la relazione diventano pratiche diverse con effetti concreti sul modo di pensare e di agire delle persone. Le immagini, nella forma di Avatar dei destinatari delle nostre relazioni, definiscono forme di dialogo e interazioni nelle quali viene a mancare il confronto faccia a faccia e aumenta la confusione che sempre caratterizza ogni forma di comunicazione. Questa confusione, sempre possibile a livello semantico, aumenta in mancanza di forme non verbali di comunicazione. Lo schermo fa da paravento al linguaggio del corpo e priva la persona di uno strumento arcaico e inconscio che continua a rimanere fondamentale anche in un’epoca di comunicazione prevalentemente verbale. Lo schermo agisce da traduttore (traditore) e interprete delle parole scambiate e da strumento di comunicazione preferenziale che favorisce la comunicazione verbale o scritta, condotta dall’interno chiuso di una stanza (hikikomori), riducendo le opportunità di incontri faccia a faccia nella vita reale e aumentando il rischio di confusione e conflitto ([1]). La confusione è grande anche per il tipo di contenuti che abitano la cornice dello schermo e la percezione che di essi hanno gli individui. Uno schermo finestra di Internet sulla Rete domina la comunicazione umana online con le immagini trasformandole automaticamente, anche quando sono false, artificiali, costruite ad arte o ingannevoli, in realtà. L’inganno è frequente ma raramente percepibile e favorisce la percezione della limitatezza della vita fuori dallo schermo e al contrario della potenza liberatoria e gratificante dello schermo.

 

Lo schermo è responsabile, unitamente al suo utilizzatore, anche di altre forme di inganni e di illusioni. Il suo ruolo, come punto di ingresso e di accesso alle reti digitali, è determinante così come lo è Internet stessa. Lo schermo con le sue icone e applicazioni è mezzo di negoziazione continua tra ciò che il soggetto percepisce, sogna, vuole e cerca, e l’oggetto delle sue attività, tra il navigante e i molti quadri di realtà e rappresentazioni del reale che trovano forma online. Lo schermo è lo strumento principe della comunicazione e della relazione online. Come tale è veicolo dei numerosi paradossi e inganni della Rete delle reti. Nell’era dell’informazione, lo schermo è il media portatore del messaggio e strumento di ricerca primario. Diventa così responsabile della percezione diffusa sulle realtà della rete e sulla loro caratteristica di spazi autonomi, liberi e democratici.

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L’inganno di Google (“noi non siamo i clienti di Google ma il suo prodotto”) non è innocente ma lascia percepire un motore di ricerca capace di vedere e investigare l’intera Rete quando in realtà non ne scandaglia che il 30/40%. L’inganno di Internet è di essere uno spazio ancora libero e democratico quando invece è sempre più privatistico (cosa sono le APP che accedono alla Rete se non un uso privato delle sue risorse?) e dominato dalle logiche industriali, commerciali e di consumo delle grandi Marche. L’inganno di Facebook è quello di far credere che le persone incontrate in Rete siano reali mentre invece sono semplici algoritmi software che, nella forma di profili inanimati online e relative immagini, possono essere facilmente cancellati e rimossi o falsificati. L’inganno della blogosfera è un sorta di auto-inganno, generato dall’essere percepita come uno spazio abitato, ricco socialmente ed esperienzialmente, quando invece è solo il luogo nel quale migliaia di persone esercitano la loro capacità di comunicare e narrare soddisfacendo così il bisogno di farlo, anche in assenza di lettori e interlocutori interessati. L’inganno è quello di un modello relazionale, comunicazionale e vitale, così forte e invadente che ha finito per modificare il modo di pensare delle persone e per continuare a essere valido e praticato anche quando esse sono sconnesse dalla Rete e da Internet, con effetti relazionali e personali facilmente prevedibili. Infine l’inganno più grande deriva dalla falsa percezione di una massima libertà di espressione mentre la realtà vede una crescente omologazione culturale e di comportamenti che nei fatti limitano l’espressione consapevole di gesti autonomamente liberi.

 

Il vuoto che molti individui percepiscono nella loro vita reale, viene oggi facilmente riempito con l’ordine iconografico delle immagini degli schermi che usano. Pur consapevoli che la realtà ordinata rappresentata sullo schermo non sia che una delle molte possibili o probabili, la adottano come l’unica possibile, riempendola di significati e di valori esclusivi, dimenticando la complessità, ricca di causalità e possibilità, del mondo al di là della cornice dello schermo. Le molte realtà possibili, accessibili attraverso un display, acquisiscono la loro rilevanza anche dal loro essere sorrette da un meccanismo di stimolo-risposta.

 

Il click o il touch sull’icona di uno smartphone attiva una sequenza che porta alla gratificazione e rafforza ogni volta la percezione di realtà. La difficoltà a ottenere gratificazioni immediate simili nella realtà del reale conferma ancor più la validità dell’esperienza dello schermo come produttore di nuove realtà e la percezione di essere attori del proprio destino, anche se attraverso un semplice click o gesto tattile e sensoriale. Esattamente ciò che pensa il topolino del famoso esperimento nel quale un ricercatore lo allena a premere una leva come solo modo per ottenere del cibo. Il topolino così come l’utente della rete, pensano di essere produttori di realtà e finiscono così per cadere vittime di strutture, meccanismi e processi di creazione della realtà di cui sono semplici comparse e a volte neppure consapevoli.

 

Il ruolo dello schermo nella produzione di realtà è difficilmente contestabile ma non può essere valutato semplicemente nelle sue conseguenze negative. Lo schermo tecnologico nel suo ruolo di specchio e produttore di nuove realtà non è nulla di diverso dal suo utilizzatore. Lui stesso nella vita reale, è il produttore, con le sue proprie specificità cognitive, sensibilità, culture e concezioni, di molteplici realtà soggettive, ingannatrici e contradditorie e tutte pensate e vissute come le uniche realtà realmente esistenti. Anche sullo schermo c’è la separatezza tra le proprietà delle cose (non più fisiche ma virtuali e digitali) che favoriscono la percezione sensoriale e quelle associate ai loro significati e alle loro valenze che contraddistinguono la comunicazione. La coesistenza di realtà fisiche e di realtà digitali non è semplicemente il prodotto dell’evoluzione tecnologica e della pervasività degli schermi con le loro illusioni ottiche e ingannatrici. Nella realtà attuale, modificata tecnologicamente, è utile riflettere criticamente sulle nostre capacità e sulle diverse modalità di percepire e costruire la realtà, ma è ancora più utile essere consapevoli che determinare cosa sia effettivamente reale è sempre stato, e oggi a maggior ragione, complicato.

 

Così come è inutile cercare di convincere un abitante delle reti sociali di Facebook o Google Plus della caducità e irrealtà delle loro esperienze online, lo è a maggior ragione cercare di imporre la separazione netta tra le molte realtà che viviamo. Pensare che la realtà sia una sola è illusorio. Lo è sia quando il pensiero è applicato alla realtà del reale sia a quella virtuale e digitale prodotta dal display di uno smartphone o tablet. Meglio confrontarsi con esse attraverso l’acquisizione di informazioni e conoscenze utili alla maggiore consapevolezza e alla scelta pragmatica di atteggiamenti e comportamenti capaci di generare benefici reali nell’eterno presente nel quale siamo tutti imprigionati. Un presente a sua volta denso di contraddizioni e contaminazioni, determinate dalle aspettative e dalle proiezioni soggettive sui tanti futuri possibili ai quali aspiriamo o sogniamo. In assenza di una macchina del tempo che permetta di viaggiare nel passato ma soprattutto nel futuro, non rimane che usare lo schermo come veicolo di trasporto e passaggio per trasmigrare da una realtà all’altra con l’obiettivo di vivere, o illudersi di sperimentare, ogni realtà come reale lasciando ad altri il compito di riflettere sulla sua validità e veridicità.

 

Un utile aiuto alla validazione delle realtà esperite può venire dal prestare attenzione alle innumerevoli trappole nelle quali siamo costantemente attirati dal nostro cervello e dal linguaggio che usiamo. Il primo genera spesso pensieri e analogie che ci fanno da paraocchi impedendoci di comprendere la realtà dei fatti o i significati delle cose, il secondo è strumento di confusione, disinformazione e di conflittualità. La ricerca della parola ‘imperatore’ attraverso il motore di ricerca nel browser di uno schermo evidenzia la difficoltà implicita nel determinare la realtà. Così come la stessa parola utilizzata nella frase “Ieri ho visto un film incredibile: La marcia dell’Imperatore” suggerisce all’interlocutore l’analogia e la categoria imperatore, il motore di ricerca presenta per numerose pagine analogie (link) simili. Sia il primo (interlocutore umano) che il secondo (motore di ricerca) non possono sapere che l’imperatore di cui si sta parlando è in realtà un pinguino, il più grande degli uccelli appartenenti alla famiglia dei pinguini ([2]). Un semplice ma significativo esempio di quanto sia complicato fare esperienza del reale e di quanto siano determinanti nella nostra percezione le nostre conoscenze, anche linguistiche, acquisite e i nostri comportamenti abitudinari. “…Una percezione vergine, incontaminata da ogni precedente concetto, è una chimera” (Superfici e essenze di Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander). Guardiamo al mondo in cui siamo immersi sempre attraverso dei filtri. Il display tecnologico dello schermo non è che uno di essi. Un lusso che rappresenta un’estensione (protesi simbiotica) intrinseca dei nostri sensi fisiologici e parte integrante della nostra percezione ([3]).

 

 

 



[1] Spunti tratti dal libro La realtà della realtà, comunicazione, disinformazione, confusione di Paul Watzlawick (Casa Editrice Astrolabio)

 

[2] Esempio tratto dall’ultimo libro di Douglas Hostadter scritto insieme a Emmanuel Sander: Superfici e essenze

 

[3] Spunti tratti da Superfici e essenze di Douglas Hofstadter

 

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