E guardo il mondo da un display

01 Dicembre 2015 Redazione SoloTablet
SoloTablet
Redazione SoloTablet
share
CAPITOLO 7

Il libro E GUARDO IL MONDO DA UN DISPLAY di Carlo Mazzucchelli è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Il cervello tecnologicamente modificato

 

La pervasività e la potenza della tecnologia regalano all’uomo l’illusione di vedere il mondo nella sua globalità e di vivere esperienze senza tempo e senza spazio perché collocate all’interno di mondi virtuali e paralleli, esplorati attraverso la mediazione di strumenti tecnologici. Si tratta però sempre di un’illusione, non dissimile da quella che il nostro cervello e i suoi neuroni sono in grado di regalarci quando ci guidano alla scoperta di ciò che sta al di fuori di noi. 

Nella realtà, come ha scritto Enrico Bellone nel suo bel libro Qualcosa là fuori ([1]), gli esseri umani sono abbastanza prevedibili e costantemente alla ricerca di regolarità, unico modo per garantirsi la sopravvivenza in ambienti diversi e non sempre amichevoli. Per orientarsi nel mondo usano cervello,  organi motori e di senso, rispondendo ai mille stimoli esterni ricevuti, percepiti come provenienti da cose realmente esistenti. Cervello, neuroni e organi motori sono in costante evoluzione e adattamento, oggi in stretta convivenza con le tecnologie dell’informazione che li stanno modificando. La nostra ricerca di regolarità e la sperimentazione del reale devono oggi fare i conti con strumenti di esplorazione, di percezione e di conoscenza modificati dalle interazioni costanti con i dispositivi tecnologici e dalla frequentazione di mondi virtuali e digitali online. 

Le riflessioni di Bellone non sono condivise da tutti i neuroscienziati o gli psicologi nei suoi effetti negativi ma sono confermate da numerosi studi che indicano nella pervasività dei gadget tecnologici un potenziale elemento di trasformazione fisiologica (a livello microcellulare, biochimico e delle innumerevoli reti complesse di cellule nervose) capace di influire sulla vita delle persone e sulla loro mente. È un cambiamento che interessa tutti, giovani e vecchi, perché reso possibile dalla grande malleabilità e capacità di adattamento del nostro cervello. Il cambiamento è indotto dalla diffusione di tecnologie come dispositivi mobili e loro APP, videogiochi e televisori vari, sistemi audio, Internet, connettività Wi-Fi e Bluetooth e molto altro. I cambiamenti derivano anche dalla semplice capacità immaginativa umana che oggi ha trovato canali potenti nell’uso di dispositivi e strumenti tecnologici, come dimostrato da esperimenti concreti che hanno rilevato cambiamenti nelle strutture del cervello dopo alcune pratiche ripetute (suonare il piano o comunicare tramite cinguettii) o semplicemente immaginate. I mutamenti fisiologici si accompagnano sempre con cambiamenti comportamentali, nel carattere e nella personalità, nel linguaggio, di tipo cognitivo ed emotivo. 

I mondi virtuali bidimensionali, nei quali sono cresciuti molti nativi digitali, unitamente a un numero crescente di adulti delle Generazione X e Baby Boomers, hanno determinato cambiamenti nei loro comportamenti e nella loro percezione del mondo. Secondo alcuni studiosi, coloro che sottolineano in particolare gli effetti negativi della trasformazione in atto, ne è derivata una minore e più limitata capacità di concentrazione e di attenzione, una ridotta capacità di comunicare a livello personale così come una più ristretta capacità di pensare in modo astratto. Per queste generazioni cresciute con videogiochi e gadget tecnologici vari, il mondo è visto come un unico grande display bidirezionale che delimita il campo dell’esperienza. È come se, dopo la scoperta della prospettiva nel quattrocento, fossimo ritornati al periodo pre-giottesco. Ne derivano una perdita nella percezione della ricchezza del mondo reale e un’anestesia di se stessi, peraltro ricercata come fuga dalla complessità e dalla problematicità del presente reale. Due effetti compensati dal piacere generato, che non si traduce necessariamente in maggiore benessere personale, psichico e psicologico. 

Per altri studiosi più che gli effetti negativi della tecnologia andrebbero valutati quelli di potenziamento, visivo, comunicazionale, sociale, e relazionale. I cambiamenti da essa indotti, hanno colonizzato la nostra mente ma hanno anche determinato nuove sfere di esperienza multimodale dello spazio e degli oggetti legate alla tattilità e alla sensorialità (percepiamo il mondo anche attraverso il nostro corpo) degli schermi tecnologici, alla loro componente visuale e non più solamente al linguaggio. La costante riduzione dimensionale dei dispositivi mobili e la loro trasportabilità (mobilità), la convergenza e ibridazione continua dei nuovi strumenti tecnologici e dei media, sono tutti elementi che hanno contribuito a nuove forme di consumo e di utilizzo nelle quali la componente visuale e aptica hanno assunto un ruolo fondamentale. 

CONSIGLIATO PER TE:

E guardo il mondo da un display

Lo schermo piccolo dello smartphone e quello poco più grande del tablet favoriscono esperienze emotivamente coinvolgenti e sensorialmente più immersive, capaci di generare forte intimità con l’oggetto tecnologico e con le immagini su di esso visualizzate. Il maggiore coinvolgimento cognitivo ed emotivo non sembra essere legato alla dimensione dello schermo ma alle sue caratteristiche estetiche (opacità, trasparenza, ecc.), alla sua vicinanza e prossimità, all’esperienza tattile e sensoriale, all’esperienza visiva in termini di inquadratura e angolo di visione e all’esperienza di parti del nostro corpo nell’esperienza digitale ([2]). 

L’influenza dei nuovi media sociali, dei nuovi dispositivi tecnologici, di televisori e schermi vari, di video e giochi digitali e di Internet hanno cambiato le realtà e sorpreso studiosi e psicologi.  Grazie alle nuove tecnologie di Brain Imaging e Magnetic Resonance Imaging (MRI) è oggi possibile rilevare e rivelare in che modo le nuove tecnologie stiano producendo effetti sullo sviluppo del nostro cervello e sui nostri comportamenti. Studi recenti hanno evidenziato la validità di disordini e patologie legate all’uso di Internet (Addiction Internet Disorder) che si manifestano nella forma di tremori, nausee, paure e ansie ma soprattutto in comportamenti compulsivi e patologici da cui è difficoltoso allontanarsi.  

Le tecniche di brain imaging che molti neuroscienziati stanno usando per dimostrare quanto le nuove tecnologie e i loro schermi stiano incidendo nella modificazione, anche fisiologica, del nostro cervello, sembrano essere condizionate da una visione ancora troppo ideologica e riduzionistica del nostro essere umani e dettate da conoscenze settoriali e specifiche. Ne deriva l’impossibilità di certificare in modo certo quanto e con quale profondità le tecnologie digitali e l’esperienza del mondo attraverso schermi e display stiano modificando la percezione e l’interazione con il mondo. 

Il nostro sguardo sul mondo è un atto complesso che non può essere limitato alla semplice percezione o cognizione. È uno sguardo che dovrebbe suggerire di studiare ogni azione sul mondo come determinata dalle diverse modalità con cui ne facciamo esperienza e dalle relazioni sociali che lo caratterizzano. Lo sguardo che oggi è centrato sempre più sul display di uno schermo va oltre il semplice vedere, coinvolge altri sensi ed è strumento fondamentale per la comprensione del mondo in cui siamo collocati e di coloro che, nostri simili, lo abitano insieme a noi. La presenza dell’esperienza tattile e il ruolo che nello sguardo assume il corpo indicano quanto sia oggi complicato individuare le trasformazioni in corso ma anche quanto esse siano potenzialmente profonde e ‘disruptive’. 

Le tecnologie digitali non hanno solo modificato il nostro modo di comunicare e i nostri stili di vita. Sembrano essere capaci di produrre mutamenti nel cervello, la componente hardware della nostra mente, con i suoi meccanismi e elementi neuronali e fisiologici. Un’indagine dell’Università di Zurigo e del Politecnico federale di Zurigo (pubblicata su Current Biology) ha evidenziato come l’uso continuativo del display di uno smartphone alteri l’attività cerebrale e quanto le nuove tecnologie digitali stiano modificando continuamente il sistema senso-motorio del nostro cervello. L’alterazione sembra essere collegata all’uso delle dita sulla superficie di uno schermo e alla sua frequenza e velocità di utilizzo. Lo studio ha permesso di esaminare la plasticità e l’adattabilità del cervello umano attraverso l’uso di strumenti di encefalografia, con lo scopo di tracciare le risposte del cervello al tocco meccanico delle dita sullo schermo. L’indagine ha coinvolto utilizzatori di normali telefoni cellulari e di smartphone con display di tipo tattile e ha evidenziato un’attività maggiore nella corteccia cerebrale direttamente proporzionale all’intensità e alla frequenza d’uso. L’indagine elettroencefalografica ha evidenziato un’attività cerebrale più attiva nelle persone che interagiscono in modalità tattili con il loro dispositivo, e sembra dimostrare un adattamento continuo della corteccia somato-sensoriale all’uso che viene fatto da parte del corpo nella conoscenza e interazione con la realtà. 

La ricerca dell’Università di Zurigo è rilevante non tanto per la scoperta della connessione tra l’uso delle dita e l’attività cerebrale, quanto per avere confermato il ruolo del corpo nelle attività di percezione, cognizione e azione umana. Lo schermo tattile osservato dai ricercatori agisce come una semplice protesi del corpo umano nella sperimentazione della realtà attraverso le varie funzionalità manipolatorie che esso permette (gestures). Lo schermo, dentro il quale ci sentiamo immersi e che fa da barriera a ciò che sta intorno, è in realtà uno strumento che contribuisce alla nostra esperienza visiva e multimodale (tattile, percettiva, cognitiva e emotiva) del mondo e come tale contribuisce alla percezione del sé e alla nostra continua ricerca di conoscenza. 

Così come il nostro cervello è modificato quotidianamente dalla contiguità e dall’uso di strumenti tecnologici sempre più sofisticati, la tecnologia sta fornendo agli scienziati nuovi strumenti per decodificare il modo con cui esso funziona, aprendo la strada a possibilità, finora narrate come reali solo nei libri di fantascienza, legate al controllo e alla manipolazione, non più solo indiretta, mediatica, tecnologica e politica ma anche diretta e legata alla sua ri-programmazione e ricodifica. 

Le nuove conoscenze sul cervello sono il risultato di investimenti continui in progetti di ricerca come quello statunitense denominato Brain Project e l’europeo Human Brain project. Molti esperimenti sono finalizzati a capire esattamente come funziona il cervello umano e poi a usare i metodi scoperti per comprendere meglio la mente umana, pe riparare il cervello o per costruire macchine ancora più intelligenti. Tra gli esprimenti in corso ci sono il tentativo di controllare il cervello remotamente attraverso ultrasuoni e connettività wireless (un progetto DARPA dell’Arizona State University), l’impianto, la cancellazione e l’alterazione della memoria (per ora solo su animali da laboratorio), l’uso di laser per interventi chirurgici finalizzati a curare patologie gravi di epilessia o ad apportare modifiche alla struttura stessa del cervello. 

Al termine della rivoluzione tecnologica in atto forse vedremo realizzata la singolarità di Ray Kurzweil o più semplicemente, come ha l’autore ha scritto nel suo libro del 2013 Come creare una mente,  saremo dotati di nuovi strumenti intelligenti per comprendere il mondo, interagire con esso e trasformarlo. Più o meno quello che l’intelligenza umana ha sempre fatto fin dai primi passi dell’evoluzione, codificando informazione e dando forma a universi molteplici fino a quello che oggi sperimentiamo perché le cose sono andate così come sono andate (principio antropico). I miliardi di neuroni che danno forma al sistema nervoso si sono aggregati in milioni di miliardi di modi diversi (sinapsi) dando forma a cervelli sempre più intelligenti. Questi neuroni si sono evoluti anche grazie a strumenti per la manipolazione dell’ambiente come il pollice. Oggi al pollice e ad altri utensili o strumenti tecnologici si sono sostituiti protesi tecnologiche più intelligenti e potenti come smartphone e tablet ma anche arti artificiali e dotati di intelligenza. Ne è derivata un’accelerazione nell’evoluzione in termini di complessità, prestazioni e capacità, sia in termini tecnologici che biologici. 

Le nuove tecnologie sono il risultato di una lunga evoluzione che ci ha consegnato la capacità e gli strumenti per capire meglio noi stessi, come siamo fatti biologicamente e neurologicamente. Tra queste tecnologie vanno inclusi anche i display degli schermi tecnologici che usiamo. Come il pollice, anche lo schermo è diventato un fattore abilitante per nuove esperienze e percezioni nell’esplorazione del mondo in cui siamo immersi. Ne deriva un ciclo continuo di influenze reciproche tra neuroni e strumenti tecnologici che incide sulla biologia del nostro cervello, sulla organizzazione e funzionamento della nostra mente, sui nostri comportamenti e soprattutto sul nostro linguaggio. Lo stesso linguaggio che in forma di racconti e narrazioni è usato per descrivere e rappresentare simbolicamente le nuove realtà tecnologiche che stiamo sperimentando.

 

 

 



[1] Per orientarci nel mondo noi cerchiamo sempre di individuare delle regolarità nel groviglio di stimoli che dall’esterno ci piovono addosso. Regolarità che pensiamo di cogliere qua e là; il giorno e la notte, le stagioni dell’anno, il colorirsi dei frutti che stanno maturando, il biancore della neve, le forme geometriche, il numero delle parti che l’osservazione diretta ci rivela nella struttura di qualche oggetto, la caduta verso il basso delle cose pesanti, il moto circolare delle stelle.” - Qualcosa là fuori di Enrico Bellone

[2] La riflessione fa riferimento al libro Lo schermo empatico, scritto da Vittorio Gallese e Michele Guerra e pubblicato da Cortina Editore

 

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database