CAPITOLO INTRODUTTIVO

01 Novembre 2018 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli Tecnologie e sviluppo del benessere psicobiologico è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Capitolo introduttivo 

Cellulari, tablet, videogiochi e piattaforme digitali di comunicazione sono prodotti dall’essere umano che li ha inventati. Lui solo può gestirli in modo compatibile con le proprie caratteristiche di Homo Sapiens (prodotto dell’evoluzione da Homo Erectus[1], Homo Habilis[2] e Homo di Neanderthal[3]). 

Potremmo pensare che non dovrebbero esservi grandi difficoltà se non fosse che l’uomo, con una accelerazione progressiva nell’ultimo secolo, è stato in grado di produrre tecnologie che possono andare oltre le proprie capacità di gestione. Senza tirare in ballo la scoperta dell’energia atomica, pensiamo all’invenzione, oggi quasi banale, dell’automobile. 

Quando iniziò ad essere utilizzata, alla fine dell’ottocento, nessuno avrebbe potuto immaginare che l’automobile in poche generazioni avrebbe così drasticamente trasformato lo stile di vita di ognuno, la struttura e la vivibilità delle nostre città, la chimica dell’aria che avevamo respirato per millenni, ma anche il modo stesso di percepire e pensare noi stessi, gli altri e l’ambiente. La possibilità nuova nella storia dell’uomo, per esempio, di poter abitare in un luogo e lavorare in un altro ha cambiato completamente il vissuto dello spazio e del tempo, più o meno stabile nei millenni precedenti. Molti di questi effetti sono inattesi e gestibili in modo problematico. 

Su grande scala oggi il mercato dell’automobile, che sia o meno in crisi e in fase di grande trasformazione (basti pensare all’arrivo di auto senza autista dotate di intelligenza artificiale, ma anche dei servizi di car sharing e della sperimentazione di droni per la mobilità cittadina), è una componente significativa dell’economia mondiale con ricadute massicce sull’ecosistema globale in larga parte ingestibile dal singolo individuo. Ma anche la gestione, su scala individuale, della singola autovettura richiede una corrispondenza, problematica, tra caratteristiche tecniche e capacità dell’Homo Sapiens inesorabilmente legate al funzionamento dei suoi peculiari processi psicobiologici (poco cambiati negli ultimi 150.000 anni[4]). Questi ultimi costituiscono il limite d’uso invalicabile per la tecnologia automobilistica.

Una utilitaria media pesa circa 1.200 chili, come 16 uomini di 75 chili. Per spostarla di un chilometro occorrono 3000 Kilojoule (Il joule è una unità di misura dell’energia), mentre per lo stesso spostamento a piedi di un uomo di media taglia ne occorrono 200. Siamo sempre sul rapporto di circa 1 a 15. Questo significa che per spostare una persona in auto si utilizza l’energia che serve a 15 persone per spostarsi a piedi. Una bella differenza. Ricordiamoci inoltre che quando l’auto viaggia a 50 km orari (limite massimo urbano) anche il guidatore e i passeggeri che vi sono all’interno si muovono alla stessa velocità. In pochi centesimi di secondo, in caso di urto frontale con un muro, l’auto si ferma e scarica la propria energia deformandosi (accartocciandosi), stessa sorte che accade ai passeggeri che, all’interno dell’abitacolo, proseguono a muoversi alla stessa velocità con conseguenze facilmente prevedibili. 

Le stesse campagne contro gli incidenti stradali, che paragonano l’auto ad un’arma letale ci ricordano (con la stessa simpatia ed effetto delle immagini raccapriccianti sui pacchetti di sigarette) che essere travolti da una massa di 1200 kg a 50 all’ora non è piacevole, come non lo è per chi vi è dentro. 

Al netto di guasti tecnici (che comunque rientrano anch’essi nei limiti umani di gestibilità della tecnologia), di manovre avventate di pedoni distratti (idem) e di inopinate aperture di voragini nelle strade, tutti gli incidenti avvengono per superamenti dei limiti psicobiologici di chi è alla guida. Guidare un’auto in sicurezza richiede infatti il rispetto di necessità psicofisiche precise: tempi di riposo adeguati, lucidità e riflessi adeguati, tasso alcolico nel sangue entro una certa soglia, ma anche stato d’animo adeguato (non si può guidare sull’orlo di una crisi di panico o di stress emotivo), e adeguato senso di responsabilità. Oltre questi limiti è l’auto che domina l’umano e non viceversa. 

Gli strumenti tecnologici dei quali parliamo in questo libro sono molto più leggeri di una automobile, ma non per questo hanno un impatto minore e richiedono una convergenza rispettosa con le caratteristiche dell’Homo Sapiens evoluto che li utilizza. Altrimenti, vedremo, rischiano anch’esse di “accartocciarlo”. È un impatto più elusivo di quello con un guardrail, ma reso non meno pericoloso dal fatto che le statistiche degli incidenti tecnologici non siano (ancora) a nostra disposizione (come non lo erano per le auto prima del loro boom). 

Siamo all’interno di un cambiamento antropologico rilevante del quale ci è difficile cogliere le dimensioni e gli sviluppi futuri, come lo è stato per l’avvento dell’auto. Non sappiamo bene dove andremo ma sappiamo molto da dove partiamo. Di questa relazione tra tecnologie ed essere umano, ovvero dei limiti entro cui poterle utilizzare (e farle utilizzare ai propri figli) in modo corretto, andiamo a parlare.


Non siamo rettili ... 

“Il cervello di tipo rettiliano che si trova nei mammiferi è fondamentale per le forme di comportamento stabilite geneticamente, quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in vari tipi di parata [comportamenti dimostrativi], cacciare, ritornare alla propria dimora, accoppiarsi, [procreare], subire l’imprinting, formare gerarchie sociali e scegliere i capi”.

Paul Donald MacLean 

 

Se, come in alcuni film di fantascienza (Alien, La guerra dei mondi, Mimic e molti altri), fossero stati i rettili e non gli umani ad evolversi sino ad essere la specie dominante alcune cose sarebbero state più semplici. I patemi della genitorialità sarebbero ridotti a poca cosa, concludendosi con il parto. Nessuna relazione di accudimento successiva sarebbe stata necessaria. Il rettilino, appena partorito (per la precisione, appena uscito dall’uovo che lo conteneva) se ne sarebbe andato via, vispo sulle proprie gambe, preoccupandosi da solo a come procacciarsi il cibo, scansare i predatori e affrontare i rischi della vita. Pienamente autonomo[5]

Un notevole risparmio di stress per i genitori animali: sonni tranquilli, ansie evitate e soldi risparmiati per vestiti, cibo, cellulari e feste di compleanno. La cosa sarebbe stata molto semplice, forse troppo, tanto che i rettili non si sono evoluti granché: dimensioni a parte sono più o meno gli stessi dal Mesozoico (più o meno 230 milioni di anni fa). L’essere umano, animale filogeneticamente più giovane e complesso, invece lo ha fatto, anche se nel suo sviluppo di affrancamento dall’origine animale ha continuato a portare in sé tracce dell’epoca rettiliana. Tanto che una parte del suo cervello è per l'appunto chiamata “cervello rettiliano”. È la parte più bassa, denominata tronco dell’encefalo, attaccata alla parte superiore del midollo spinale, costituita da parti del mesencefalo, dal diencefalo e dai gangli della base, definita nel suo insieme R-complex. 

Al rettile era sufficiente, e lo è ancora oggi, per prendere possesso del territorio, difendersi dagli attacchi e accoppiarsi. Quanto bastava e basta ad attivare gli schemi motori e i comportamenti adeguati alla sopravvivenza e all’auto-conservazione. Il tutto in modo molto veloce, istintuale, senza necessità di perdere tempo nelle riflessioni in cui noi umani amiamo indugiare prima di prendere una decisione. 

A rigor del vero, dal punto di vista anatomico, il tempo ha infierito sul cervello rettiliano umano, tanto da non farlo più rassomigliare granché all’originale. Ne mantiene solo vaghe assonanze, come la lingua italiana non assomiglia molto all’antico protoindoeuropeo[6] dal quale pare abbiano avuto origine i vari ceppi linguistici indoeuropei, ma ne mantiene tracce, in qualche modo le incorpora creando legami di parentela con le altre lingue, ancora oggi parlate come quelle greche, germaniche e anatoliche. Esattamente come ognuno di noi non assomiglia molto all’avo di qualche secolo fa, dal quale indubbiamente discende e col quale il proprio genoma umano è imparentato. 

Per alcuni neuroscienziati è nella sua funzione, ovvero nel modo in cui gioca la sua parte nel cervello umano, che la parentela col cervello rettiliano sembrerebbe apparire un po’ più stretta. Anche noi, evoluti cittadini metropolitani, a volte attuiamo dei comportamenti istintuali che precedono ogni ragionamento. Non quando il ragionamento[7] è poco chiaro e consapevole (vi sono vari tipi di ragionamenti, non solo quello razionale, in questo senso anche il neonato ragiona), ma quando il nostro corpo viene mosso per via diretta dalla consolle rettiliana. In casi estremi: c’è un terremoto e prima di rendercene conto stiamo scappando. In situazioni più quotidiane: i nostri piedi premono sul freno dell’auto prima di capire se l’ostacolo che abbiamo intravisto sia un gatto o uno scatolone portato dal vento. 

Per neuroscienziati e autori come MacLean[8] (1913-2007) c’è di più. Il cervello di tipo rettiliano che si trova nei mammiferi (e l’uomo lo è) avrebbe un ruolo importante per alcune forme di comportamento stabilite geneticamente: quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in comportamenti che dimostrano il ruolo nella gerarchia sociale, cacciare, accoppiarsi. In questi casi il cervello rettiliano provvederebbe direttamente a contrarre i muscoli da muovere in modo adeguato: le gambe che corrono al manifestarsi del terremoto, il piede che preme il pedale del freno, e forse anche la mano che preme compulsivamente l’icona giusta del tablet nei giochi di rapidità. 

Ma qui, al massimo, si conclude la nostra parentela con l’avo rettiliano.


… Siamo scimpanzé Pan troglodytes (al 96-98%) 

“La teoria dell’evoluzione ci spiega che noi, come gli altri animali, sviluppiamo le doti più adatte a vivere nel nostro mondo. Riusciamo a conoscere i sassi, le pozzanghere, gli alberi, ma non l’infinitamente piccolo o l’infinitamente grande. Il nostro cervello è fatto per comprendere cose lunghe dei metri e che durano dei secondi. Per tutto il resto facciamo grandi sforzi, è vero, ma dobbiamo renderci conto che in quel momento stiamo dimenticando la nostra biologia. E che dunque non facciamo altro che arrampicarci sugli specchi.”

Edoardo Boncinelli

 Vi diamo adesso, assieme a verità sacrosante, anche due informazioni errate che verranno spiegate alla fine del paragrafo. Chi le individua è bravo. 

Per decidere come comportarsi al rettile bastava e basta un cervello che sovraintende alle funzioni della sopravvivenza: circolazione sanguigna, respirazione, sonno, contrazione dei muscoli in risposta agli stimoli esterni, riproduzione. I comportamenti fondamentali di attacco e di fuga venivano attivati direttamente nelle connessioni motorie, senza necessarie mediazioni. La conquista del mondo digitale e l’uso dei suoi strumenti, anche immaginando fantascientifiche evoluzioni e viaggi nel tempo, sarebbe stata preclusa. 

Il mondo dei mammiferi è invece più complesso, ha maggiori necessità e potenzialità. Già nella sua maturazione intrauterina (i mammiferi non fanno uova come i rettili) si generano legami con la madre più diretti e complessi e, tramite essi, con l’ambiente esterno. Il tempo di gestazione generalmente più lungo (dai 20 giorni del topo, ai 210 dello scimpanzé, ai 280 dell’uomo, ai 600 dell’elefante) testimonia il download (in futuro secondo i teorici del transumanesimo forse tramite chiavetta USB?) di un programma pesante, che richiede tempo, risorse e numerose avvertenze d’uso. 

Ma ancor più di una semplice installazione, la fase della gestazione è un tempo nel quale il programma viene in gran parte scritto. Se preferite un paragone culinario, la gestazione umana non è la cottura di una torta con gli ingredienti già pronti nelle dosi stabilite (come le bustine standard che troviamo nei supermercati), ma la preparazione, per certi versi l’invenzione, di una ricetta unica: avendo a disposizione una dispensa molto più ricca di quella rettiliana, lo chef interno sceglierà e doserà, arrivando a produrre ciambelloni, profiteroles o millefoglie personalizzati (tutti dolci degnissimi ...). 

In più, creazione e installazione del programma non si concludono con la nascita. La nuova ricetta deve garantire al nuovo nato la capacità di vedersela con un mondo mammifero più complesso di quello dei rettili e ha bisogno di un secondo tempo successivo alla nascita. È la lunga fase della relazione di accudimento, la cui durata varia da specie a specie: circa 21 giorni per il topo, 5 anni per lo scimpanzé[9], 15 giorni o clamorosamente di più per il “bamboccione” umano, anche quello tecnologico e digitale. 

Senza questo tempo il cucciolo morirebbe inevitabilmente, il programma andrebbe in crash e la torta non lieviterebbe mai, non essendo egli in grado, se non alla fine del periodo, di provvedere da solo a se stesso. Gli obiettivi sono però ancor più ambiziosi della semplice sopravvivenza. 

Il piccolo scimpanzé non deve solamente giungere vivo al quinto anno, ma avere nel frattempo imparato a barcamenarsi in modo adeguato nel mondo dei suoi simili, per viverci bene negli anni a venire, riuscendo a soddisfare da solo i propri bisogni molteplici, prima garantiti dalla figura di accudimento. Quasi tutti i mammiferi (compreso l’Homo sapiens) sono esseri sociali, devono imparare presto a interagire con gli altri, confrontarvisi, contrapporvisi, allearvisi, goderne la prossimità. Per far questo il cervello ha dovuto attivare (nel processo avviatosi durante la gravidanza e proseguito dopo) molteplici e più raffinati collegamenti con gli altri sistemi biologici (come quelli sensomotori e neuroendocrini), per far fronte alle esperienze di una vita più variegata, facendo tesoro delle esperienze via via vissute e per poter reagire, in modo adeguato, agli stimoli che giungono costantemente dai più raffinati organi di senso: “questo rumore è una cosa buona, quest’altro preoccupante, questo gesto mi minaccia, quest’altro mi attrae ...”. Nei primi anni il mammifero ha dovuto sviluppare una memoria, una banca dati, rudimentale se paragonata a quella umana (oggi quella umana viene spesso confrontata con quella dei Big Data), ma prodigiosa rispetto al rettile e dotata di catalogazione e sistemi per accedervi. 

Inoltre il mondo mammifero è colorato da emozioni non presenti in quello in bianco e nero dei rettili. La paura per esempio non è un semplice riflesso che freddamente muove i muscoli alla fuga in situazioni di pericolo, è una emozione “calda” che accende il Sistema Nervoso ed Endocrino, non ragionata come per gli umani (a volte) ma comunque in gran parte appresa.

L'apprendimento è così determinante che anche nel mondo selvaggio abbiamo testimonianze di cuccioli allevati da altre specie e anche umani cresciuti con scimmie o lupi, che quindi non provavano paura verso la madre a differenza dei simili. Tra le emozioni dei mammiferi più evoluti troviamo anche la gioia, la tenerezza, la rabbia. 

Ciò non era possibile nel cervello rettiliano, ma l’evoluzione ha concesso in dotazione ai mammiferi una nuova struttura cerebrale, detta per l'appunto “cervello mammifero” o mammaliano

Una novità assoluta nella storia dell’evoluzione, molto più recente (appena 200 o 300 milioni di anni fa con la comparsa dei primi mammiferi). Dal punto di vista anatomico il cervello mammaliano è posto sopra il cervello rettiliano, in un piano aggiuntivo della casa in costruzione su scala filogenetica. Comprende strutture che hanno il nome di lobo limbico, ippocampo, amigdala, nuclei talamici anteriori e corteccia limbica. Il nuovo sistema ha supportato e supporta svariate funzioni mammifere che permettono comportamenti più complessi e vari quali le emozioni, la memoria, lo sviluppo dell’olfatto come una sorta di navigatore. Il sistema limbico comunica in modo stretto con gli altri sistemi, in particolare il sistema nervoso vegetativo e neuroendocrino. 

A questo punto dell’evoluzione il mammifero non si è trovato ad avere due cervelli a disposizione e poter viaggiare scegliendo l’uno o l’altro come un auto bifuel, ad alimentazione mista. La matematica in biologia è strana. 1+1 è sempre =1. L’evoluzione non procede per sovrapposizioni di strati, come la geologia, ma per riorganizzazioni nuove del sistema, aggiornamenti del programma. Il cervello mammifero è quindi un nuovo cervello, una nuova unità integrata. Il piano sottostante e quello nuovo sovrastante costituiscono un’unica abitazione, con medesimi allacciamenti energetici e bollette da pagare.

 

FINESTRA 3: Il cervello rettiliano e gli altri cervelli 

È del neuroscienziato Paul MacLean (1913-2007) la teoria evoluzionista secondo la quale il cervello umano consisterebbe nella sovrapposizione di tre strutture filogenetiche: Il cervello rettiliano, il cervello mammifero e il neomammaliano. Per MacLean i tre cervelli hanno collocazione in specifiche aree cerebrali e posseggono funzioni specifiche e autonome.

Il cervello rettiliano ha sede nel tronco cerebrale e nei gangli di base (la parte più bassa del cervello umano), ed è depositario della parte “animale” più arcaica (retaggio della fase evolutiva dei rettili nella vita sulla terra), deputata alla sopravvivenza e all’autoconservazione, luogo di istinti ed emozioni primarie (come l’attacco e la fuga) e di funzioni corporee autonome.

Il cervello mammifero, o mammaliano, ha sede nel sistema limbico, posto più in alto. Rappresenta lo stadio evolutivo successivo ed è sede di funzioni ed emozioni più evolute come l’attaccamento materno e sociale, che hanno aumentato notevolmente nei mammiferi le capacità di affrontare-interagire con l’ambiente.

Il cervello neo mammaliano, detto anche neo-cortex, è la parte filogeneticamente più recente specifica dell’homo sapiens. Si sviluppa nella zona più alta del cervello, quella delle cortecce cerebrali, presenti anche nei mammiferi ma estremamente più sviluppate nell’uomo. È depositario delle funzioni cognitive ed esecutive, luogo della coscienza, ed ha permesso lo sviluppo del linguaggio rendendo l'homo sapiens la specie più complessa ed evoluta.

Per quanto i tre cervelli non siano entità tra loro separate, nella visione di MacLean, mantengono una relativa indipendenza e una netta gerarchia, con a capo il cervello “alto”, sorta di cabina di regia che raccoglie gli input dagli altri cervelli e li elabora indirizzando le azioni nel modo tipicamente umano. Il modello, ripreso e sviluppato anche da altri autori (come da Stephen Porges nella sua Teoria Polivagale, 2011) offrirebbe una possibile comprensione di squilibri nel funzionamento cerebrale, teorizzano la possibilità che i cervelli rettiliano e mammifero possano prendere il sopravvento sul neomammaliano, limitando o impedendo le funzioni cognitive superiori sino a provocare disturbi dissociativi anche gravi.

Che il cervello umano mantenga in sé le strutture filogenetiche delle specie meno evolute è un dato scientificamente assodato. Nell'evoluzione nulla si butta, ma il modello di MacLean, pur molto citato, appare oggi alla luce delle conoscenze attuali non in grado di comprendere il funzionamento sistemico del cervello umano messo in luce dalla PNEI e dall'epigenetica. Inoltre, probabilmente aldilà delle intenzioni dell'autore, offre il fianco a operazioni riduzionistiche. In particolare è superata la corrispondenza di processi specifici a zone cerebrali rigidamente definite: i circuiti delle emozioni, ad esempio, non sono collocate nel limbico (nel cervello mammifero e ancor più giù in quello rettiliano) ma, come assodato oramai dalla ricerca, coinvolgono un network di circuiti, al contempo “alti” e “bassi”. Il cervello ha un funzionamento sistemico (Bottaccioli, 2011, 2012, 2014, 2016).

Anche dal punto di vista evoluzionistico è stato sottolineato, già a fine ‘900, dal biologo e premio Nobel François Jacob (1920-2013), che l’evoluzione non proceda per aggiunta di stadi più evoluti sovrapposti a quelli più antichi, ma per sintesi nuove di strutture precedenti. La stessa visione è stata confermata successivamente dal paleontologo Stephen J Gould (1941-2002), per il quale le caratteristiche evolutive nuove e quelle vecchie si ricombinano tra loro. Un esempio sono le piume, utilizzate a scopo termico dai dinosauri, e riciclate negli uccelli per volare.

Oltre a un secondo piano, a completamento della nuova abitazione, il mammifero dispone anche di un solaio. È la corteccia cerebrale, detta neo-cortex (che nell’uomo sarà origine di ulteriori ristrutturazioni), posta nella regione più dorsale del telencefalo[10], che è luogo di raccolta ed elaborazione delle informazioni che arrivano dagli organi di senso (vista, tatto, olfatto …). Il tutto aumenta in modo esponenziale la capacità di affrontare l’ambiente e permette performance molto più varie ed elaborate.

Ma anche con queste risorse in più, i primi mammiferi hanno potuto affrancarsi, dal destino che li vedeva potenziale cibo per dinosauri, solo dopo il grande reset avvenuto 65 milioni di anni fa, quando un’estinzione di massa colpì il 75% delle specie viventi, dinosauri inclusi (a seguito di un inopinato impatto con un corpo celeste, presumibilmente un asteroide). Dopo quella data e il tempo necessario per riordinare il mondo sconquassato, i mammiferi hanno avuto maggior piede libero sul pianeta e si sono diffusi e differenziati. Molto più recentemente, solo circa sette milioni anni fa, la linee evolutiva che avrebbe dato origine all’uomo passando per il Neanderthal, si è divisa in due: da un lato quella delle scimmie, dall’altro quella dei proto-umani[11]

Da quel momento è passato uno spicciolo di tempo nella scala di evoluzione del nostro pianeta e i legami di parentela tra le specie non hanno fatto in tempo a rarefarsi più di tanto. La linea Homo ha prodotto l’Homo Sapiens, la linea scimmia il Pan Troglodythes, simpatico scimpanzé che scorrazza per le foreste tropicali dell’Africa centro-occidentale e che è a tutti gli effetti nostro cugino. Il nome pare altisonante ma è detto anche scimpanzé comune, niente quindi di particolarmente esotico. 

Se valutiamo la differenza in base al patrimonio genetico scopriamo che è sorprendentemente poca cosa. 

Confrontando il genoma umano (cioè la catalogazione dei suoi geni) con quello dello scimpanzé si constata che le due specie hanno almeno il 96% del DNA in comune. Per Katerine Pollard, autrice di una interessante e molto citata ricerca, addirittura il 99% (Katherine S. Pollard, Che cosa ci rende umani?. Rivista Le Scienze dell'agosto 2009). Una comunanza quasi totale ma non sufficiente a permettere al Pan Troglodytes di inventare il suo computer (il copyright rimane saldamente umano e non necessariamente associabile solo a Bill Gates). Per quanto esso sia in grado, come testimoniato da molti esperimenti con animali in cattività, di interagire con il display di un personal computer, tablet o smartphone, utilizzandoli in modo semplice, la sua maestria non uguaglierà mai quella umana (le informazioni al riguardo sono reperibili in numerosi documenti scientifici – paper - che raccontano esperimenti da laboratorio con scimpanzé impegnati a interagire con computer e i loro schermi e display, joystick e icone). 

Può essere quell’inezia di un percento responsabile della conquista umana del Web? Ricerche sinora effettuate non lo giustificano. È invece l’importanza del genoma, considerato fino a pochi anni il nuovo eldorado della genetica (la cui decodificazione avrebbe aperto nuovi fronti di manipolazione tali da giustificare le enormi risorse spese nel progetto Genoma[12]) a essersi sgonfiata. Rispetto alle aspettative e nonostante l’eco mediatica che ha caratterizzato il progetto, i risultati non hanno confermato le certezze della biologia molecolare e alcuni obiettivi originari della ricerca, i geni trovati sono stati solo 25000 (circa) rispetto ai 200.000 ipotizzati e nel genoma mappato è stata rilevata la presenza di una quantità di materiale di cui non si conoscono ancora funzionamento e scopo. Si è fatta invece strada la consapevolezza che dobbiamo guardare anche da un’altra parte e in un altro modo. Vi sono altri luoghi, biologici e concettuali dove cercare una risposta. Torneremo sull’argomento più avanti. 

Oltre alle somiglianze e differenze genetiche ve ne sono altre significative. Gli scimpanzé mostrano di possedere molti bisogni fondamentali assai simili se non identici a quelli umani. Ambedue sono accumunati per esempio dal bisogno di una cuccia relazionalmente “riscaldata” per lungo tempo (altro modo di definire la relazione di accudimento). Riscaldata dal contatto col corpo materno in senso non solo termico, ma come fonte di protezione, rassicurazione, luogo di esplorazione e attivazione di processi neuroendocrini basilari alla salute e al benessere. 

Nel 1958, i coniugi Frederick e Clara Mears Harlow notavano, in esperimenti con scimmie (in questo caso del genere macaco[13]), che cuccioli privati della madre, potendo scegliere tra due succedanei materni, uno metallico ma dotato di erogatore di latte ed uno di stoffa morbida ma senza erogatore, preferivano invariabilmente il secondo pur restando per la loro scelta a digiuno. A dimostrazione del fatto che il bisogno di contatto e la sua qualità hanno una forza che supera il bisogno alimentare. Anche molti studi etologici, osservazionali, confermano come contatto e prossimità siano centrali per i mammiferi (appunto esseri sociali), e debbano essere presenti in grandi dosi in tutta la fase dell’accudimento per non creare disturbi. 

Ciò sembrerebbe essere uno svantaggio per il genitore mammifero rispetto a quello rettile, in termini del lungo impegno richiesto e alla moltiplicazione dei rischi, se non fosse che si tratta di un tempo generalmente piacevole, fonte di gratificazione per il genitore stesso (qualcuno forse avrà notato che le gatte fanno le fusa mentre allattano). Decisivi sono invece i vantaggi aggiuntivi del lungo download che caratterizza la fase di accudimento umana, tali da far si che la sua esperienza costituisca un investimento redditizio: il nuovo programma che ne esce gira che è un piacere!. Se tutto è andato per il verso giusto. 

Nell’accudimento tutti i sistemi psicobiologici del cucciolo hanno ricevuto una taratura fondamentale in tutti i loro funzionamenti: da quelli che supportano la sua resistenza alle malattie, le capacità di apprendimento, la relazioni con gli altri nelle varie evenienze come attaccare, fuggire, sedurre, giocare, posizionarsi in gerarchie. L’eccitante vita del mammifero è garantita. Sempre che la relazione di accudimento sia stata efficace e non abbia prodotto alterazioni dei funzionamenti. 

Altre ricerche, questa volta con topi (McGowan, Meaney, Szyf, 2008), mostrano la differenza in termini di benessere (nello specifico l’efficacia del sistema regolatore dello stress) tra cuccioli allevati da madri ad alto livello di cura, capaci di alti dosi di contatto, e cuccioli allevati da madri con bassa attitudine. I primi mostrano di stare sicuramente meglio nel breve e lungo periodo, sono maggiormente adattati, sono meno predisposti a malattie, e le femmine saranno da grandi a loro volta capaci di accudire al meglio i loro piccoli, leccandoli in abbondanza. I secondi staranno decisamente peggio, si ammaleranno di più e accudiranno poco i loro futuri cuccioli e potenziali eredi. 

Le esperienze nella relazione di accudimento costituiscono un rodaggio fondamentale per il resto della vita. In essa si gioca gran parte del futuro. Per il topo come per il nostro cugino scimpanzé.


Sveliamo gli errori 

Avevamo iniziato questo capitolo anticipando che avremmo fornito verità sacrosante e scientifiche ma anche due informazioni errate che sfidavamo il lettore a individuare. 

Sono errori che abbiamo malignamente apposti e che qui falsifichiamo: 

Errore 1: Non è vero che siamo Pan Troglodythes al 96-98%. La similitudine del genoma significa ben poco, questo è stato detto. Il gene di per sé non ha un gran potere, è una unità dinamica, che può potenzialmente produrre effetti (grandi o piccoli) oppure no, ma solo se viene attivato. Può quindi passare dormiente tutta la propria esistenza. Pare anzi che la maggior parte dei geni passino così il proprio tempo. Come ministri nominati di un governo non ancora in carica. Il potere di nomina viene dalle esperienze della vita che accendono o spengono gli interruttori. Questo studia l’Epigenetica[14], rivoluzionario cambiamento scientifico nel modo di intendere la biologia (un approfondimento in Bottaccioli F., 2014, Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia). 

Errore 2, ovvero una operazione di umiltà: L’Homo Sapiens non deriva dal Neanderthal. C’è stato un periodo, di svariate decine di migliaia di anni, in cui le due specie esistevano parallelamente. Anche il Neanderthal aveva buone possibilità evolutive, forse era lui predestinato a divenire la specie dominante e a conquistare nel futuro lontano il Web. Forse avrebbero oggi potuto esservi due specie umane, ma così non è stato. Il motivo per cui il Neanderthal si è incamminato nel vicolo cieco dell’estinzione non è chiaro. Di bivi simili è piena la storia del pianeta e sarà lastricata anche quella futura. Ciò dovrebbe portarci a ritenere di non essere la specie eletta. Siamo solo quelli che, nel labirinto dell’evoluzione, sono arrivati a questo punto, ma ciò non giustifica che ci si possa ritenere vincitori di una gara. Il Sapiens deve ancora dimostrare di essere superiore ai dinosauri, che hanno dominato il pianeta per almeno 60 milioni di anni. Per adesso il conteggio degli anni si ferma a 300.000 anni, al pareggio mancano solo 59.7 milioni.


Ma c'è anche quel 2%

 

“La ricchezza biologica dell’Homo Sapiens è dovuta, forse, al fatto che l’universo, nel suo complesso, sia andato raffreddandosi, e che da queste parti [sulla Terra] c’è ancora un bel tepore!”

- Edoardo Boncinelli

 

Attenzione: il titolo di questo paragrafo è stato prodotto automaticamente dal vostro lettore e-book che non è aggiornato sugli sviluppi recenti della psiconeuroendocrinoimmunologia e dell’epigenetica. Il titolo esatto, corretto manualmente, è:

1.3. 1+1+1=1 ovvero la Regola dell'Uno

Per i rettili il benessere si gioca sul riuscire a trovare cibo, non essere preda, e accoppiarsi. Per il mammifero, oltre a questo, si gioca sul posizionarsi nelle gerarchie sociali, avere prestigio e mantenerlo, non essere consumati dallo stress e godere della prossimità con i propri simili. Quest'ultima caratteristica la vediamo molto sviluppata nei gatti, che abbiamo occasione di incontrare più frequentemente delle scimmie: indulgono frequentemente nel contatto, si leccano, strusciano e, quando sono domestici, saltano volentieri in braccio.

Così è anche per l’uomo, per il quale evidentemente tali attività rispondono a motivazioni profonde, a bisogni basilari da soddisfare. Diversa e specifica è però la modalità. Mentre per i mammiferi e ancor meno per i rettili tra la Motivazione (la soddisfazione dei Bisogni) e l'Azione conseguente c'è poco spazio per intermediazioni (un gatto vede un topo e lo rincorre senza grandi ragionamenti o valutazioni etiche), nell'uomo si è ampiamente sviluppato e raffinato un filtro di Valutazione. Un filtro molto raffinato che soppesa gli stimoli che la vita offre e ci fa decidere il da farsi: questo è buono, e quest'altro cattivo, questo invece necessita un cauto approfondimento; questo preannuncia un evento x mentre l'altro un evento y ai quali debbo preparami in questo o in quell'altro modo … Ciò vale per l'esotica bevanda propinataci alla festa, come per il nuovo potenziale fidanzato/a.

Generalmente compiamo queste valutazioni “prima” di attuare un'azione e elaborare strategie di comportamento. Il “prima” ha una lunghezza molto variabile, tra gli interminabili dilemmi sul fidanzato/a alla frazione di secondo quando un pizzico inatteso ci fa sobbalzare. Spesso ci azzecchiamo e a volte incorriamo in clamorosi errori[15]. La valutazione può essere consapevole a vari livelli (tipo molto, abbastanza o poco) o non consapevole, non riflettuta ma attuata per via automatica o, per meglio dire, “riflettuta automaticamente”, mediante processi non consapevoli ma pur sempre dignitosissimi: il pizzico in un breve istante è stato valutato come potenzialmente pericoloso consigliando un preventivo balzo prima di approfondire e capire se fosse stato un serpente o un “pizzico d'amore”. Il mio corpo ha riflettuto e compiuto un'azione in una frazione di secondo.

Anche la valutazione degli stimoli è così molto relativa. Un esempio personale.

Il sottoscritto[16] amava e amerebbe ancora molto le cozze. In qualunque modo fossero state cucinate, un bel piatto di cozze, alla semplice visione, mi evocavano ricordi gustativi che solleticavano il palato facendomi venire l'acquolina in bocca. La formula sembrava semplice: l'esperienza positiva pregressa aveva posto le cozze nello scaffale preferiti dei miei menù interni. Questo sino a 20 anni fa, quando una singola cozza in un bel vassoio di antipasti in un ristorante del centro di Firenze (privatamente posso darne l'indirizzo) mi provocò una intossicazione acuta causa della peggiore nottata della vita. Da quel momento le cozze sono crollate dallo scaffale preferiti a quello della quarantena virus. Lo stesso piatto non suscitava più attese piacevoli ma ricordi terribili. L'esperienza aveva modificato irreversibilmente la percezione del rischio, prima solo vaga possibilità teorica. La valutazione si era aggiornata con l'esperienza. Tutta la vita umana è guidata da questa bussola valutativa che subisce continui aggiornamenti conseguenti alle nuove esperienze.

L'esempio cozze è relativo alla vita adulta, ma si basa sull'utilizzo dello stesso sistema operativo la cui installazione è avvenuta negli anni della prima infanzia (è un programma pesante che ha richiesto il suo tempo...) ed è determinante che l'operazione sia stata ben fatta: i vizi o le falle generatisi in origine possono non riuscire a essere compensati dagli aggiornamenti successivi. Per questo siamo tutti simili ma diversi. In alcuni punti cardinali ci ritroviamo quasi tutti (meglio evitare morsi di serpente), in altri (come per le cozze o i fidanzati) no. Sono punti cardinali relativi.

La Valutazione, per azzeccarci, richiede l'utilizzo agevole di una banca dati su cui basare le proprie scelte: una Memoria dei fatti, del valore dei fatti, delle sensazioni e delle emozioni legate ai fatti. A volte capita che ci scordiamo dei fatti ma resti la memoria delle sensazioni o delle emozioni. Tutti quanti facciamo esperienza in alcune situazioni di questa “memoria corporea”. A volte basta un odore per portarci verso sentori di esperienze vissute e luoghi lontani nello spazio e nel tempo, molto chiari sensorialmente ma evanescenti nel ricordo dei fatti.

La memoria per l'umano è più ampia che negli altri mammiferi ed estremamente più raffinata[17], ma soprattutto è peculiare il modo che abbiamo per accedere alla nostra banca dati e utilizzarla. Disponiamo infatti di motori di ricerca e di una Wikipedia interna consultata continuamente, che come la famosa enciclopedia digitale è continuamente riscritta arricchendosi di ulteriori contributi. Questo lavorio di ricerca determina una continua attività cognitiva tanto che pensare è una delle attività umane più gettonate e quasi costante.

In più, in quanto esseri sociali, questi pensieri (tranne quelli inconfessabili) abbiamo l'opportunità di scambiarceli col linguaggio, capacità appannaggio esclusivo dell'homo sapiens. Anche gli altri mammiferi comunicano (e in modo più rudimentale anche i rettili) ma con soli gesti, posture, espressioni e suoni.

Tutto questo è stato reso possibile nell'Homo Sapiens da una ulteriore ristrutturazione del proprio palazzo interno che ha visto l'ampliamento di un ulteriore livello il cosiddetto cervello neocorticale o neocortex posto in vari strati sopra il cervello mammaliano. Particolarmente sviluppatosi nei primati (sottogruppo dei mammiferi tra cui il nostro Pan Troglodytes) ha avuto nell'uomo un ulteriore evoluzione[18].

Il cervello umano per il resto è quasi uguale a quello dello scimpanzé. Eppure un misero 2% di geni diversi e una fettina in più fanno sì che da esso possano scaturire percezioni differenti e un mondo, 1, completamente diverso, ricco di opportunità inusitate. “Che ci vuole - potremmo insistere testardamente - abbiamo 1 cervello in più dei mammiferi e 2 in più dei rettili!”. 

Errato! 

Già ve lo abbiamo detto, la matematica in biologia è una cosa strana: ogni somma dà invariabilmente il risultato di 1. Come il 2° cervello ha consentito ai mammiferi di fare delle cose in più dei rettili solo unendosi al 1°, anzi fondendosi con esso a costituire una nuova unità, così il 3° si è fuso col precedente in una nuova unità. Le tappe evolutive sono state le ristrutturazioni, non l'aggiunta di nuove strutture cerebrali di per sé. Come 1+1 faceva 1 per lo scimpanzé, 1+1+1 fa sempre 1 anche per l'umano. Solo che ogni 1 è differente. 

È la Legge dei Sistemi, che obbliga a vedere i fenomeni nella complessità delle loro funzioni e non nella somma delle parti per poterli realmente comprendere e che vale anche per gli umani. Prendiamo un gruppo, per esempio una famiglia: c’è un genitore, un altro genitore e un figlio, tre persone in tutto ma una sola famiglia e una rimane, anche se al primo si aggiunge un secondo o un terzo figlio. La famiglia cambierà equilibri (ritmi di vita, dislocazione degli spazi, nuovi tablet e diverso conto in banca), si ristrutturerà in più modi, ma avrà sempre proprie e specifiche regole di funzionamento che la distingueranno dalle altre: quel clima familiare, quei ruoli, quei valori, quelle emozioni tipiche…

L'assunzione di una logica sistemica è stato probabilmente uno degli sviluppi più importanti della cultura del '900. Ha consentito un’evoluzione incredibile della conoscenza in tutte le discipline scientifiche (dalla fisica, alla biologia, alla medicina, alla psicologia, alle organizzazioni, alle scienze naturali) spostando l'attenzione dalle componenti di un processo alle loro funzioni (su questo lungo percorso che ha portato allo sviluppo del paradigma PNEI: Bottaccioli F., 2011, Mutamenti nelle basi delle scienze. L’emergere di nuovi paradigmi sistemici nelle scienze fisiche, della vita e umane).

Per l'uomo è il paradigma della psiconeuroendocrinoimmunologia[19] sintetizzato nell'acronimo PNEI. Significa che l'essere umano risponde a un funzionamento integrato circolare di processi che comunicano tra di loro: i processi psicologici comunicano in modo bidirezionale con quelli biologici (i Sistemi Nervoso, Endocrino e Immunologico). Ma c'è di più: il sistema PNEI[20] è aperto e comunica a sua volta con i sovrasistemi ambientali. Ciò determina una influenza reciproca tra biologia e cultura. Ciò che facciamo modifica la nostra biologia. Questo approccio ha aperto negli ultimi decenni enormi prospettive di comprensione dell’essere umano: dei suoi comportamenti, delle sue patologie, dei modi per curarlo e dei modi (cosa ancora più importante) per mantenerlo in salute. 

Questo E-book si basa in gran parte su queste nuove conoscenze (Bottaccioli F., Bottaccioli A.G.,2016, Psiconeuroendocrinoimmunologia e scienza della cura integrata. Il manuale). 

Il paradigma PNEI, su cui torneremo più volte nel corso del libro, ridimensiona in fondo anche il nostro cervello. Come le sue componenti da sole non permettono di comprenderne il funzionamento, come organo a sé stante perde di senso. Così come il cervello stesso non funziona a compartimenti stagni, ma come una unità, così l'intero essere umano è una unità di organi e processi che (cervello incluso) collaborano in modo sinergico: cognitivi, emozionali, sensomotori e biologi. 

In questo peculiare modo di funzionamento PNEI, l'essere umano ha così potuto produrre computer e tecnologie e fruirne. Così come ha prodotto l'automobile, la bomba atomica e l'effetto serra ha prodotto il personal computer, lo smartphone, il tablet, le APP ma anche il Cloud Computing, i Big Data, la Realtà Virtuale e l’Intelligenza Artificiale. 

Questa nuova e integrata complessità (che in gergo psicologico prende il nome di Sé) è sempre nei primi tempi della vita che compie la sua taratura fondamentale. Anche negli attuali tempi tecnologici che vedono la nostra famiglia fare i conti con la pervasività della tecnologia e con i suoi effetti sulla vita familiare, sull’espressione quotidiana della genitorialità  e sullo sviluppo psicobiologico sano dei figli e delle figlie. 

Anche la fase di cuccia dell'umano, i primi e primissimi tempi della sua vita (anche uterina), la prima e la seconda infanzia, la preadolescenza e l'adolescenza ha caratteristiche PNEI che dobbiamo considerare, soprattutto nella veste di genitori. 

In questo lungo periodo il sistema operativo umano (che è 1, integrato e aperto, ovvero duttile alle esperienze e aggiornabile continuamente) compie gran parte della propria scrittura, installazione rodaggio dal quale uscirà portandosene dietro vizi e virtù. 

La cuccia umana non è un semplice luogo fisico, ma relazione di accudimento nel sistema famiglia, sistema a sua volta aperto all’ambiente e alla cultura. È una cuccia con molte porte e finestre nella quale il cucciolo impara a maneggiare le capacità che lo porteranno a poter poi stare al mondo in modo indipendente ed allacciarvi a propria volta relazioni. 

Ogni esperienza precedente, registrata a livello psico-corporeo, permette al bambino, per tempi limitati, di stare nella sua cuccia anche da solo e anche da sveglio, senza un contatto fisico o una presenza fisica. È una capacità che esprime Autonomia, ovvero lo star bene da solo con sé stesso. Un'autonomia il cui incremento è proporzionale all’esperienza della presenza della figura genitoriale. Maggiore la seconda, maggiore la prima (per questo è sbagliatissimo far piangere il bambino, come alcuni pediatri ancor oggi consigliano, fino a che non si addormenta). 

Nella cuccia umana anche i sistemi biologici imparano a funzionare e strutturano le caratteristiche personali che supporteranno tutte le capacità di interazione nella vita, permettendo di stare bene (si spera) con gli atri: trovare rassicurazione nella vicinanza e darla, appartenere a un gruppo, stabilire relazioni di coppia appaganti e relazioni amicali soddisfacenti, affermare una propria idea e progetto, quando necessario contrapporsi ad altre, sentirsi in grado di  poter vincere negli scontri, osare e tollerare le frustrazioni; ma anche strutturare cicli sonno veglia adeguati, affrontare lo stress, superare le malattie e ridurle al minimo, usare le tecnologie come prolungamento delle proprie capacità, trovare strade varie per il soddisfacimento dei bisogni di fondo, elaborare strategie e capacità di scelte nei bivi della vita; ovvero saper ristrutturare la propria vita più volte, quando necessario. 

Questo tirocinio è ineludibile; la vita nella cuccia predispone alla salute e al benessere.


E non è finita qui

 

“Questa è la condizione umana: la sua imprevedibilità è totale e non ammette una direzione precisa al corso della nostra storia, proprio come accade per la logica cieca dell’evoluzione. In questo senso, in tutti i nostri aspetti più interessanti, noi siamo la specie imprevedibile.” 

dalla premessa del libro La specie imprevedibili di Philip Lieberman

 

Potremmo pensare di essere arrivati alla conclusione di un processo evolutivo molto lungo. Immaginarci addirittura di esserne il prodotto finale prestabilito. Non è così! 

Nella storia ogni epoca si è considerata moderna rispetto alle precedenti, ma non per questo è rimasta quella definitiva. È un effetto prospettico facile ma riduttivamente infantile. L’evoluzione non è finita e la storia prosegue, dobbiamo rassegnarci. Nella storia, anche recente, abbiamo avuto varie modificazioni antropologiche che, se non hanno ancora coniato una nuova specie umana (Homo Technologicus, Homo Cyborg, Homo Transhuman, Homo Stupidus Stupidus... ?), possono esserne alla base. Sono modificazioni in corso e che mettono in luce comunque un movimento evolutivo continuo. Alcune sono state accennate a inizio libro. 

Oggi attraversiamo una fase di cambiamento nuova e accelerata che colpisce, influenza, modifica  proprio la fase più sensibile dell'evoluzione ontogenetica[21] l'infanzia, la preadolescenza e l'adolescenza: la culla psicobiologica del sistema operativo. 

Oggi alla culla umanamente riscaldata si aggiunge una nuova culla termica digitale, determinata dall'uso massiccio delle nuove tecnologie informatiche: smartphone, videogiochi, piattaforme social e relative APP. La culla tecnologica, in senso metaforico e come prodotto (la proliferazione delle APP ha fatto nascere una miriade di culle supertecnologiche e digitali come Snoo Smart Sleeper del MIT e quella del Meyer che fa anche da incubatrice, mamaRoo, Max Motor Dream della Ford, e molte altre ), offre dei vantaggi potenziali. Anche in essa il bambino può apprendere, ha la proprietà di stimolare l’autonomia e concede al genitore, fatto non secondario, le tregue necessarie di cui spesso sente bisogno. Ma va anche considerato che la culla digitale è una fonte di stimoli che potentemente impatta con il rodaggio del Sistema Integrato Sé. L’impatto non può più essere sottovalutato perché la pervasività della tecnologia ha conquistato il globo terrestre, occupato il tempo e lo spazio, anche cognitivi, dei recinti familiari e trasformato le stanze dei più piccoli in un arcobaleno di colori e di display, di distrazioni e di attività sempre più virtuali, digitali e tecnologiche. 

Nel secolo scorso (e in tutti quelli precedenti) il bambino trovava, nella cuccia prevalentemente umana, anche altri oggetti stimolanti (fogli, penne, quaderni da disegno, balocchi e attrezzi di lavoro, ma anche animali, e molti altri oggetti fisici e solidi) con cui interagiva sensorialmente, muovendo muscoli e pensieri. 

Come i cuccioli animali il gioco corporeo era palestra di conoscenza di sé e di interazioni con l'altro, una via prioritaria di immissione nel personale Wikipedia interno. Poi è arrivata la televisione che per la prima volta permetteva tempi lunghi di esperienze che potevano in parte bypassare la presenza dell’adulto, riducendo al contempo i rischi del motorio. Oggi le nuove tecnologie hanno amplificato queste possibilità. 

Il tempo del loro utilizzo si è dilatato assieme al potenziale impatto sul Sé, ma va considerata ancora la Regola dell’1. Anche in questo caso 1 (processi cognitivi specifici stimolati dalle tecnologie) + 1 (processi emotivi conseguenti) + 1 (processi sensomotori richiesti dall’uso) + 1 (processi biologici sottostanti)=1. Ogni ristrutturazione delle esperienze, da qualunque finestra giunga, modifica il sistema intero e il suo funzionamento.

Ai vantaggi e ai benefici si abbinano dei rischi e degli effetti collaterali, spesso non percepibili o previsti. Conoscerli, percepirli e prevenirli è possibile ma richiede una consapevolezza frutto di conoscenze e approfondimenti che vadano al di là dell’informazione e narrazione correnti. 

Per questo le importanti avvertenze d’uso che riempiono e giustificano i capitoli a seguire.

 

 

[1]  Homo Erectus segue Homo Habilis (Uomo Manipolatore), visse in un periodo temporale collocato tra 1,5 milioni e duecentomila anni, aveva una postura eretta e poteva camminare senza l’ausilio delle braccia. Era alto 1,50 centimetri con un cervello di 1200 centimetri cubici. Conosceva il fuoco, lavorava la pietra per costruire asce e armi per la caccia. Proveniente dall’Africa colonizzò l’Europa, l’Asia, l’Indonesia e la Cina  (questo dicono i reperti archeologici fin qui rinvenuti). 

[2]  Homo Habilis si diffuse a partire da 3 milioni di anni or sono nell’Africa australe. Rispetto all’Australopiteco che lo aveva preceduto aveva un’altezza maggiore (1,30 centimetri) e un cervello più grande (800 centimetri cubici). Era capace di costruire strumenti in pietra da usare per la caccia, l’alimentazione e la vita quotidiana. 

[3]  Homo di Neanderthal è un ominide affine all’Homo Sapiens vissuto nel periodo medio, tra i 200.000 e i 40.000 anni fa. Prende il nome dalla valle germanica di Neander che ne ha restituito i primi resti fossili. È un ominide evoluto. 

[4]  Forse molto di più. Ritrovamenti recenti sembrano anticipare l’esistenza dell’Homo sapiens a 315.000 anni fa.

[5]  Per correttezza questo non è completamente vero. Lo sarebbe per i pesci che però sono molto meno presenti nell’immaginario fantascientifico. Alcuni rettili proseguono dopo la schiusa delle uova un accudimento: le salamandre per circa 15 giorni, i coccodrilli addirittura per 4 settimane. 

[6]  Il protoindoeuropeo o indoeuropeo, è la protolingua che costituisce, secondo la scuola di linguistica comparativa, l’origine comune delle lingue indoeuropee. Le conoscenze attuali permettono di collegare le molte somiglianze tra queste lingue, la cui origine è attestata intorno al 2000 a.c a una protolingua preistorica originaria collocabile intorno al 7000 a.c. e chiamata per convenzione proto-indoeuropeo.

[7]  Il protoindoeuropeo o indoeuropeo, è la protolingua che costituisce, secondo la scuola di linguistica comparativa, l’origine comune delle lingue indoeuropee. Le conoscenze attuali permettono di collegare le molte somiglianze tra queste lingue, la cui origine è attestata intorno al 2000 a.c a una protolingua preistorica originaria collocabile intorno al 7000 a.c. e chiamata per convenzione proto-indoeuropeo.

[8]  Il protoindoeuropeo o indoeuropeo, è la protolingua che costituisce, secondo la scuola di linguistica comparativa, l’origine comune delle lingue indoeuropee. Le conoscenze attuali permettono di collegare le molte somiglianze tra queste lingue, la cui origine è attestata intorno al 2000 a.c a una protolingua preistorica originaria collocabile intorno al 7000 a.c. e chiamata per convenzione proto-indoeuropeo.

[9]  Nome comune dei Mammiferi Primati Ominidi del genere Pan. Il genere comprende due specie: il bonobo o scimpanzé pigmeo (Pan paniscus), più piccolo, delle foreste della Repubblica Democratica del Congo, principalmente frugivoro, con società matriarcali; e lo scimpanzé propriamente detto o scimpanzé comune (Pan troglodytes), rappresentato da diverse sottospecie, con distribuzione discontinua nelle foreste tropicali e savane umide dell’Africa occidentale e centrale. Il cervello dello scimpanzé, relativamente grande (300-400 cm3), riflette le notevoli doti intellettive di questi animali, compresa la capacità di apprendere e utilizzare il linguaggio gestuale per comunicare con l’uomo, di risolvere problemi pratici complessi o quella di utilizzare utensili, per es. per la ricerca e raccolta del cibo.  

[10]  Costituisce la parte anteriore dell'encefalo dei Vertebrati, dalla quale hanno origine gli emisferi cerebrali; insieme al mesencefalo e al diencefalo costituisce il cervello propriamente detto. Ha una forma ovoidale ed è posizionato all’interno della scatola cranica, esternamente al diencefalo. È suddiviso in due formazioni quasi identiche e giustapposte, denominate emisferi. Tra le principali funzioni delle strutture che lo compongono si possono elencare la ricezione di stimoli esterni e l'elaborazione di una risposta motoria, la memoria e le capacità decisionali. 

[11]  Primo in ordine di tempo o di spazio. Primo in ordine di importanza. Nella terminologia scientifica proto-umano assume spesso significati particolari indicando la prima fase di un fenomeno o dello sviluppo di un organismo. Il primo proto-umano di cui abbiamo conoscenza è Australopithecus afarensis (specie estinta di ominide del genere Australopithecus) dell’Africa orientale. Visse 3.8–2.9 milioni di anni fa e oggi è rappresentato da oltre 400 esemplari fossili. 

[12]  Il Progetto del Genoma Umano (UHGP, acronimo di Human Genome Project) è stato un progetto di ricerca scientifica internazionale, iniziato nel 1990 presso i National Institutes of Heath degli Stati Uniti, il cui principale obiettivo era di determinare la sequenza delle copie di base azotate che formano il DNA umano identificando e mappando i geni del genoma umano dal punto di vista sia fisico sia funzionale. Completato nel 2003 ha permesso l’identificazione di quasi 25000 geni, molto meno dei quasi 200.000 attesi. Un progetto simile è stato condotto anche dalla Celera Genomics ma la maggior parte del sequenziamento, sponsorizzato dal governo americano, è avvenuto in centri di ricerca di vari paesi: USA, Canada, UK, Nuova Zelanda. 

[13]  I macachi sono primati della famiglia dei Cercopithecidae. È il genere di primati a più ampia diffusione dopo l'uomo. Sono diffusi in larga parte  dell’Asia: dall’Afghanistan alla Cina, dall’India al sudest asiatico e al Giappone. Sono presenti anche in Africa. Il macaco è il terzo primate il cui genoma è stato completamente sequenziato rilevando una similarità con quello umano pari al 97,5%. 

[14]  L'epigenetica (dal greco επί, epì = "sopra" e γεννετικός, gennetikòs = "relativo all'eredità familiare") è una recente branca degli studi genetici. Ha preso origine nella metà del Novecento dagli studi del biologo inglese Conrad Hal Waddington (1905-1975) e mette in evidenza le modificazione dell'espressione genica (il fenotipo) derivanti dall'influenza ambientale che non causati da mutazioni del DNA. In sostanza i geni possono essere attivati o inibiti (fornendo alle cellule informazioni differenti per sintetizzare le proteine) in funzione delle esperienze di vita di ogni individuo: legate al cibo, all'esposizione a sostenze inquinanti, all'attività fisica, allo stress, alle vicissitudini e stili di vita personali e sociali. Questi cambiamenti nell'espressione genica sono detti marcature o segnature epigenetiche (i cui meccanismi sono studiati nei dettagli) e costituiscono l'epigenotipo di ogni essere vivente, in ogni specifico momento della vita. Fattori ambientali possono alterare l'espressione genica modificando la forma corporea, la risposta allo stress, la longevità, lo sviluppo di malattie e il comportamento in generale. Ulteriore e fondamentale scoperta è che i cambiamenti epigenetici possono essere trasmissibili generazionalmente, ereditabili. L'epigenetica modifica profondamente l'impostazione tradizionale basata sul determinismo genetico e la corrispondenza (così radicata da essere definita dogma) che in ogni gene vedeva l'origine di una specifica proteina (“1 gene, 1 proteina”). Ad essa si sostituisce una visione complessa che coglie la comunicazione profonda con l'ambiente e la cultura vede l'influenza dell'ambiente centrale nello sviluppo in salute o malattia della persona, con ricadute importanti a livello di prevenzione e cura, in particolare nella vita perinatale e nella prima infanzia. 

[15]  Spazio libero per note del lettore: …… 

[16]  A parlare in questa circostanza è uno dei due autori, Alessandro Bianchi. L’altro autore non ama il pesce e non assaggerebbe mai delle cozze, e non solo per il rischio di trovarsi in quarantena a causa di un virus…..

[17]  Ricordiamo particolari e sfumature, e anche colori, odori, sensazioni corporee, memorizziamo anche, in forma inconsapevole, i punti di riferimento che ci permettono di ritrovare la strada di ritorno durante una passeggiata.

[18]  Il cervello neo-mammaliano, neocortex o neocorticale prefrontale è presente anche nei primati ma nell’uomo ha avuto una sua evoluzione ulteriore. Si è sovrapposto e integrato, a livello fisiologico e funzionale, al cervello rettiliano e mammifero. 

[19]  La PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI) nasce circa trent'anni fa (seconda metà degli anni 80) come convergenza di discipline scientifiche diverse quali la psicologia, le neuroscienze, l'endocrinologia e l'immunologia. Alla base lo studio delle interazioni reciproche tra attività mentale, comportamento, sistema nervoso, sistema endocrino e reattività immunitaria. Il paradigma PNEI ha consentito il passaggio da una visione parcellizzata dell'essere umano e della sua cura (imperante da almeno 200 anni) ad una visione integrata che, superando la dicotomia mente-corpo, apre ad uno studio dell’organismo umano nella sua totalità e interezza e nel suo fondamentale rapporto con l’ambiente. La comunicazione e reciproca influenza tra sistemi psicologici e biologici e l'apertura al contesto ambientale in cui l'individuo viene generato e si sviluppa permette una nuova, integrata e interdisciplinare visione della cura, della prevenzione e della salutogenesi. Frutto di una potente convergenza di studi scientifici internazionali ha trovato in Italia nella SIPNEI, fondata da Francesco Bottaccioli nel 2000, la principale organizzazione di riferimento.

[20]  Vedi finestra N. 1

[21]  L'evoluzione ontogenetica (dal greco ὤν ὄντος, participio presente din εἰμί cioè ‘essere - ente’ e genesi 'creazione', 'sviluppo') racconta lo sviluppo biologico di un organismo vivente, dalla cellula ovarica fecondata all’embrione e all’individuo completo. È un’evoluzione frutto dell’insieme di processi diversi, dipendente dal genoma umano e dall’ambiente in cui l'individuo si sviluppa. L’evoluzione ontogenetica è spesso messa in relazione all’evoluzione filogenetica, propria della specie umana. 

 

 

 

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