L’era digitale è divenuto un fenomeno pervasivo e totalizzante, che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, di lavorare, di informarci, comunicare interagire tra di noi. Grazie a internet normali attività della vita quotidiana si velocizzano e si moltiplicano fornendo maggiori possibilità di creare collegamenti e connessioni. All’interno di una società incessante e iperattiva, come quella in cui tutti noi siamo immersi, è diventato così più facile relazionarsi con un pc o una smartphone, andando a strutturare, spesso inconsapevolmente, comportamenti e poi abitudini che ci vedono sempre più spesso avvalersi dei mezzi tecnologici al di là dei motivi per cui è nato il suo utilizzo. Nuove abitudini che vanno ad inficiare la relazionalità in modo sia diretto, siamo presenti fisicamente all’altro ma con lo sguardo o attenzione spesso sul telefono che ci porta continuamente a distrarci, che indiretto, l’assenza del corpo rende di fatto la comunicazione tra due utenti una comunicazione tra due sole menti, abituandoci a relazionarci in modo meno autentico e anestetizzato, con il rischio di non mettersi in gioco mai. Tutto ciò con importanti effetti collaterali per il corpo, la mente e le nostre relazioni interpersonali, i beni più preziosi della nostra vita! E soprattutto la relazionalità rappresenta un bene vitale, un imperativo biologico, che spesso non stiamo più curando e valorizzando. L’uso delle nuove tecnologie, da un punto di vista psicologico, sana sempre la nostra più o meno consapevole paura della solitudine, ma spesso illude, con il rischio di una solitudine tecnologica che è insieme individuale e sociale.
Insomma, sembra che stiamo costituendo una società fatta di persone avviate verso una colossale dipendenza dalla connessione e dalla contemporanea diminuzione dell’area interpersonale e privata.
Infatti i dati statistici non lasciato adito ad interpretazioni su quanto sia in aumento il tempo che passiamo con sguardo rivolto a smarthphone e tablet, regalandogli sempre più attenzione e nostri momenti di vita. Una recente ricerca sostiene che il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie tanto da arrivare a controllare in media lo smartphone 86 volte al giorno. Addirittura il 7% lo fa fino a 110 volte al giorno. Altri dati statistici ci dicono che 55 milioni sono i messaggi mandati ogni giorno nel mondo tramite whatsapp; 47 volte è’ la media di chi controlla il suo cellulare ogni giorno; 27% sono i figli che rimproverano i genitori di essere incollati al telefonino e 35% chi controlla lo smartphone entro 5 minuti dal risveglio.
Ma credo basti fare uno scanner della nostra giornata per rendersi conto di quanto sia diventato difficile prenderci una pausa dalle nuove tecnologie e anche sceglierne di farne a meno nonostante gli esperti ormai non hanno più dubbi nel sostenere quanto sia diventati importante tirare su la testa dai dispositivi se vogliamo preservare corpo e mente.
Felici come siamo per una vita resa meno complessa e faticosa dalla tecnologia che la rende sempre più affascinante e indispensabile, ci stiamo contemporaneamente chiedendo che effetti potrebbe avere un suo abuso sulla nostra salute psico-fisica e su quella dei nostri figli? Quanto tutto questo contribuisca alla nostra ricerca della felicità? E’ davvero sempre così necessario? Siamo consapevoli del perché ci attrae così tanto? esiste un lato ombra di tutto questo? Ci rendiamo conto del tempo che vi passiamo? Come tutelarci dai nuovi rischi della rete? Che antidoti usare per godere delle sue potenzialità senza rischiare di perdersi in essa?
Tenendo presente che si tratta di un fenomeno complesso e molto delicato, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche che già ci forniscono importanti indicazioni connesse alla relazionalità digitale e, senza demonizzare o negare gli importanti contributi che gli strumenti digitali ci offrono credo, sia divenuto fondamentale imparare a fermarsi un attimo e farsi nuove domande e riflessioni costruttive su ciò che sottende l’uso e abuso delle nuove tecnologie a livello sia individuale e privato che collettivo. Significa imparare a nutrire la relazione con la realtà digitale con l’adozione di modalità di pensiero e di gestione critica e consapevole che deriva da una responsabilizzazione nel potenziare modalità di coping e di empowerment, ovvero la capacità di fronteggiare gli eventi tecnologici senza esserne sopraffatti e stimolando la simbolopoiesi nonchè la formazione di spazi aperti e di pensabilità, di autoregolazione emotiva. Questo ci permetterà di non continuare a scegliere ogni nostro comportamento in automatico, ma in maniera consapevole così da allargare lo spazio in questa relazione, grazie alla conoscenza e comprensione del ventaglio delle possibilità ma anche dei limiti dello scenario delineato dalle nuove tecnologie, così da non renderla fusionale. Ciò farà sì che reale e digitale, che sempre più rappresentano dimensioni complementari possano integrarsi armoniosamente diventando una realtà aumentata e non sovrapporsi e confondersi, fino a generare sintomi di alienazione.
Le esperienze sociali virtuali devono essere messe al servizio di quelle reali, degli spazi condivisi, per sostenerle anche quando non è possibile un contatto vero. Devono essere utilizzati non come una protesi, ma come un ausilio alla realtà reale, alla vita vera, alle relazioni di cui dobbiamo prenderci cura ogni giorno, senza cedere a facili scorciatoie alle inevitabili difficoltà che qualunque relazione umana o particolari momenti di vita comportano.
Vorrei concludere con un promemoria “ogni tanto ricordatevi di spegnerlo, si può vivere anche senza”.
* L'immagine della testata è di The Atlantic