Luciano Gallino (1927-2015) è stato uno dei più autorevoli sociologi italiani formatosi, giovanissimo, all'Ufficio studi sociali di Adriano Olivetti. Nelle sue ricerche si è occupato delle relazioni fra tecnologie, cultura e formazione, oltre che di sociologia economica del lavoro e dell'industria. Fra i suoi testi, ricordiamo:Globalizzazione e disuguaglianze (2000), L'impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti (2001), La scomparsa dell'Italia industriale (2003), L'impresa irresponsabile (2005) e L'Italia in frantumi (2006). Il suo ultimo libro, Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici (Einaudi), è una raccolta di saggi sui temi della ricerca tecnologica con lo sguardo volto alle loro implicazioni sociali e culturali; è una riflessione sui vantaggi immensi che la tecnologia reca alla nostra esistenza, ma anche un monito dei pericoli di un suo uso irriflessivo. Le distanze tra crescita materiale e qualità dello sviluppo, così come gli scarti fra capacità realizzatrici e predittive delle scienze moderne, dipendono dal prevalere delle logiche di corto periodo e da un velo d'ignoranza sugli effetti a lungo termine, che confondono gli scenari negativi sovrastimando i fattori di sostenibilità. Nel testo sono rilevanti le considerazioni sui contributi della tecnologia per una maggiore formazione democratica, attuabile attraverso i mezzi della comunicazione, l'informatica, Internet, ma soprattutto consolidando l'idea delle conoscenze come produzione collettiva e della scienza come bene pubblico globale.
Il suo libro pone l'accento sui benefici della tecnologia ma anche sui problemi del mondo, sulla diffusa povertà
Gallino: Sullo sfondo del mio libro, che non è anti-tecnologico, c'è un profondo apprezzamento per i benefici delle tecnologie, anche per le più semplici come quelle della meccanizzazione e del trasporto di fluidi, dell'acqua. All'evoluzione di tecnologie che toccano la nostra quotidianità dobbiamo moltissimo: lavoriamo 1500 ore l'anno invece di 2600 come all'inizio del Novecento; godiamo di un benessere senza paragoni; viviamo in media fra trenta e quaranta anni in più rispetto a cento anni fa. Per questo benessere le tecnologie basse, medie e alte giocano un ruolo fondamentale.
Ci sono però almeno due problemi su cui punto l'attenzione. Il primo è che a più di metà del mondo, fra tre e quattro miliardi di persone, le tecnologie non hanno portato alcun beneficio, in certi casi hanno perfino peggiorato le loro condizioni. Per almeno due miliardi e mezzo di persone questo vale in modo drammatico. È un problema principalmente economico, ma anche etico e politico. Possiamo serenamente continuare a godere del nostro benessere - tra tanti problemi ma che sicuramente più di metà del mondo scambierebbe -on tutta una serie di visibili deterioramenti della condizione umana? Due miliardi e mezzo di persone dispongono di risorse valutabili in meno di due dollari al giorno e non sono prive solo di tecnologie informatiche, magari dispongono del cellulare, ma non di acqua. Negli slum, bidonville, baraccopoli, favelas - si possono chiamare in tanti modi - vive più di un miliardo di persone. Vivere in uno slum significa non disporre di nulla che assomigli a una vita non dico civile, ma libera e indipendente. Esistono milioni di bambini che non possono andare a scuola, non perché è lontana ma perché devono fare venti chilometri al giorno per procurare l'acqua alla famiglia e non hanno tempo ed energia per la scuola.
L'altro problema a cui la diffusione della tecnologia sta dando origine sono le forme crescenti di irrazionalità globale. L'automobile, per esempio, è una tecnologia meravigliosa. Sono un fan dell'automobile: non spreca come l'aereo, è imbattibile nel trasporto porta a porta, offre sensazioni estetiche e sentimentali bellissime. Ma i morti per incidenti fra automobili sono un milione e duecentomila l'anno. Le previsioni sono che si avrà in 15 anni un aumento del 65 percento, cioè più di due milioni di morti. Gli incidenti automobilistici costano tra i 60 e i 70 miliardi di dollari ogni anno. Le spese destinate allo studio degli incidenti - non i crash-test, ma la ricerca per rendere meno pericolosi gli spostamenti nel traffico - sono di 39 milioni di dollari, lo 0,6 percento dei costi: anche dal punto di vista economico c'è qualcosa che non torna.
Di esempi di ribaltamento della razionalità, di tecnologie utili per il singolo che si traducono in danni all'ambiente e alla salute su scala più ampia ve ne sono molti. I CFC per esempio, i gas per refrigerazione che negli anni Trenta del Novecento si erano rivelati ottimi amici tecnologici, cinquanta anni dopo sono diventati nemici globali dell'umanità, perché si è imputata loro gran parte dell'assottigliamento dello strato dell'ozono. Alla fine del Novecento il loro utilizzo è stato vietato in quasi tutti i paesi: la riconosciuta razionalità dell'utilizzo di singole apparecchiature con CFC aveva generato massicce dosi di irrazionalità ecologica globale. Desidero attirare l'attenzione sui processi che generano irrazionalità partendo da sostanziali benefici tecnologici.