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Vita e tecnica del pensiero del Novecento

Vita e tecnica del pensiero del Novecento

25 Agosto 2019 Redazione SoloTablet
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BIBLIOTECA TECNOLOGICA - “La tecnica –scrive Galimberti rifacendosi a Gehlen- è l’essenza dell’uomo non solo perché, a motivo della sua insufficiente dotazione istintuale, l’uomo senza la tecnica non sarebbe sopravvissuto, ma anche perché (…) ha potuto attraverso le procedure tecniche di selezione e stabilizzazione, raggiungere ‘culturalmente’ quella selettività e stabilità che l’animale possiede per natura. [...] “L’uomo dunque è originariamente votato alla tecnica per compensare l’insufficienza dei propri organi, per intensificare le capacità che possiede, e per agevolare il lavoro della costruzione del mondo da cui la sua esistenza dipende”.

L'articolo è di Franco Battistrada ed è stato pubblicato sul sito di Fondazione Micheletti a cui rimandiamo per la lettura completa.


 

La “svolta” heideggeriana e la svolta dell’antropologia filosofica. 

Heidegger nel primo capitolo di “Essere e tempo” scriveva: “Nella introduzione abbiamo già posto in evidenza come l’analitica esistenziale dell’Esserci comporti anche un’esigenza la cui perentorietà è a mala pena inferiore a quella del problema dell’essere stesso: lo scoprimento dello a priori che rende possibile la discussione filosofica del seguente problema: Che cosa è l’uomo? L'analitica esistenziale dell’Esserci precede ogni psicologia, ogni antropologia, e soprattutto ogni biologia. Dalla sua delimitazione rispetto a queste ricerche possibili intorno all’Esserci, il tema dell’analitica non potrà che acquistare una determinazione ancora maggiore. Con ciò la sua necessità risulterà ancora più rigorosamente dimostrata.” (1)

Heidegger, dunque, operava una rottura con la tradizione della Metafisica: da una parte, con la sua svolta verso la “finitezza”, con l’indicazione cioè di una ontologia fondata sull’analitica esistenziale dell’Esserci; e, dall’altra, fondandola (in congiunzione allo scheleriano “primato dell’emozionalità”), sulla sua determinazione fondamentale costituita dalla “situazione emotiva”. Ma, nello stesso tempo, rimaneva legato al trascendentalismo tedesco in quanto manteneva (come condizione di possibilità del discorso filosofico sul “Che cosa è l’uomo?”), “lo scoprimento dell’a priori” e dunque la preclusione verso “ogni psicologia, ogni antropologia e soprattutto ogni biologia”. In breve ci troviamo, con queste enunciazioni di Heidegger, agli antipodi della metodologia e delle tesi che l’Antropologia filosofica, con Scheler, (il suo “La posizione dell’uomo nel cosmo” è del 1928), ma soprattutto con Plessner e con Gehlen, (e anche con Binswanger) stava formulando in quegli stessi anni, sul terreno di quella tradizione di profondo interesse, da parte dello stesso pensiero filosofico tedesco (si pensi solo a Herder o a W.von Humbolt), nei confronti dello studio sull’uomo in quanto tale, al di là di ogni trascendentalismo, nello spirito dell’umanesimo.

Pertanto è da tener presente che Helmut Plessner, già col suo “L’unità dei sensi” del 1923 e poi con “I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica.” del 1928, si era avviato a proporre un’interpretazione dell’uomo che ne tematizzasse, in stretto legame con i risultati in primo luogo della ricerca biologica e delle altre scienze, lo “specifico” rispetto alle altre forme viventi: contro un’antropologia di tipo puramente “zoologico”, e contro, nello stesso tempo, qualsiasi concezione metafisica della natura umana o di leggi universalmente valide. (2) Quanto a dire che egli affrancava l’antropologia filosofica, oltre che da Heidegger, anche dal marchio metafisico che Scheler le imprimerà in “La posizione dell’uomo nel cosmo”; in cui, pur definendo creativamente l’uomo come il soggetto del “no costituzionale all’impulso istintivo”, introdurrà contemporaneamente lo “spirito” quale elemento del tutto altro dalla vita. E teorizzerà la impossibilità di concepire lo spirito sia come scaturente dalla dimensione biologica, sia come compensazione di una inferiorità a livello organico e sia come eventuale risposta sostitutiva dell’adattamento all'ambiente (3) Per cui non perverrà mai a quanto contrassegna la vera “svolta” che l’antropologia filosofica avviava: la concezione di un apriori di carattere bioantropologico e contemporaneamente storico-culturale: da una parte marcato dalla storia evolutiva della specie umana e dall’ontogenesi; e dall’altro dal come tutto ciò interagisca, in quel determinato contesto storico-culturale e ambientale, con il vissuto cognitivo emozionale dell’identità umana nel rapporto emozionale con l’altro e con valori legittimati comunitariamente.

 

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