Segnaliamo un interessante e utile articolo scritto da Francesco Nasi e pubblicato su THE VISION
Nel saggio del 1930 Possibilità economiche per i nostri nipoti, l’economista britannico John Myanard Keynes scriveva che, da lì a cento anni, le condizioni lavorative sarebbero radicalmente cambiate. Data la crescita della produttività e le altre possibilità offerte dal progresso della tecnica, Keynes aveva immaginato che nel 2030 la ricchezza sarebbe ottuplicata, e che alle persone non sarebbe stato richiesto di lavorare più di 15 ore a settimana, ovvero 3 ore al giorno. A quasi un secolo dalla pubblicazione di quello scritto, la previsione di Keynes sembra purtroppo molto lontana dall’avverarsi. Non solo perché la giornata lavorativa “normale” rimane quella di otto ore ormai da svariati decenni, ma soprattutto perché, al contrario di quello che poteva immaginare Keynes, le nuove tecnologie stanno avendo effetti ambigui sul lavoro.
A sostenerlo ci sono numerosi studi, tra cui uno pubblicato nel 2021 sulla ILR Review. Comparando dati raccolti sui lavoratori nel Regno Unito, i ricercatori hanno evidenziato come per la maggior parte delle persone alcune condizioni di lavoro negli ultimi decenni siano peggiorate invece che migliorate. Per esempio, la percentuale di lavoratori che dichiara di essere sempre o spesso stressata sul posto di lavoro tra il 1989 e il 2015 è cresciuta dal 30 al 38%. E se nel 1992 soltanto poco meno di un terzo dei lavoratori affermava che il proprio lavoro era “molto duro”, la percentuale nel 2017 è arrivata al 46%, superando addirittura la metà nel caso delle donne, il 51%. In crescita è anche il numero delle persone che si definiscono “sfinite” alla fine della giornata: dal 20% al 28%, una percentuale che è particolarmente elevata (di nuovo) nel caso delle donne, arrivando sopra al 31%.