Uno dei più influenti passi del pensiero occidentale risale allo pseudo-Dionigi, un autore del V secolo che si spacciava per quel Dionigi l’Areopagita che Paolo di Tarso aveva convertito per primo ad Atene. Nella sua Teologia mistica, lo pseudo-Dionigi aprì la strada alla cosiddetta teologia negativa, secondo cui tutto ciò che possiamo dire della Causa di tutte le cose (cioè di Dio) è ciò che non è:
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“[…] non è parola né pensiero, non si può esprimere né pensare; non è numero, né ordine, né grandezza né piccolezza né uguaglianza né disuguaglianza né similitudine né dissimilitudine; non sta fermo, né si muove né riposa; non ha potenza e non è potenza; non è luce, non vive, né è vita; non è sostanza, né eternità né tempo; non è oggetto di contatto intellettuale, non è scienza, non è verità né regalità né sapienza; non è né uno, né unita né divinità né bontà; non è spirito come lo possiamo intendere noi, né filiazione né paternità; non è nulla di ciò che noi o qualche altro degli esseri conosce, e non è nessuna delle cose che non sono e delle cose che sono […]”
(pseudo-Dionigi, 2020).
Circa tre secoli prima, qualcosa del genere fu proposto anche da uno dei principali filosofi buddhisti, Nāgārjuna (ca. 150-200 d.C.), fondatore della scuola dei Mādhyamika, sostenitori della “vacuità” del Tutto. Secondo la loro tesi, non esiste nulla a cui possa essere conferito il concetto di essere come proprietà di per sé, poiché l’esistere è possibile solo in relazione a qualcos’altro. Ne consegue che il pensiero umano deve allenarsi a comprendere la non-sostanzialità attraverso “tanto una determinazione positiva (della negazione) quanto una determinazione negativa (della natura propria), essendo caratteristica propria del pensiero appunto il definire escludendo” (Torella, 2020).
I limiti dell’infinito
A questo approccio radicalmente oppositivo a tutta la filosofia occidentale, fondata sulla comprensione delle proprietà dell’Essere, s’ispira il “diario filosofico” di Francesco D’Isa L’assurda evidenza, edito da Tlon. D’Isa, filosofo di formazione, da tempo promuove, attraverso la rivista L’Indiscreto e un’attiva presenza sui social, un approccio innovativo alla ricerca filosofica, fondato sull’indagine dei paradossi e sulle questioni esistenziali poste dall’immaginario contemporaneo; tema quest’ultimo comune anche al progetto di Tlon, “scuola permanente di filosofia e immaginazione” che attraverso la sua casa editrice sta portando in Italia diversi importanti testi che stanno contribuendo a rendere più accessibile l’indagine filosofica. Con L’assurda evidenza D’Isa riparte dai temi del suo romanzo La stanza di Thérèse (2017), nel quale, assumendo i panni dell’eroina eponima volontariamente rinchiusasi in una stanza d’albergo per mettere ordine nel suo caos mentale e comunicando con la sorella solo attraverso lettere, affrontava i paradossi dell’infinito. Nulla di più facile, per la ragione umana, che smarrirsi di fronte al concetto di infinito: “Una volta pensata la domanda, non c’è via di ritorno”, scriveva Thérèse/D’Isa.