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La pandemia ha escluso dal lavoro pezzi fondamentali del rapporto con le persone

La pandemia ha escluso dal lavoro pezzi fondamentali del rapporto con le persone

08 Febbraio 2021 Alessandro Bianchi
Alessandro Bianchi
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La grossa lacuna della situazione italiana è l’assenza quasi totale di un approccio preventivo ai problemi di salute mentale; il retaggio culturale è ancora quello secondo cui chi va dallo psicologo sia “pazzo” o “malato”; non si considerano la sofferenza e il dolore come forme di disagio di cui occuparsi né, tanto meno, si è a conoscenza del fatto che questo tipo di emozioni quando non prese in tempo, portano allo sviluppo di sintomi, sindromi o vere e proprie malattie.

SALUTE E DISEGUAGLIANZA

L’OMS definisce la salute non come semplice assenza di malattia, ma “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, equiparandola ai diritti fondamentali che spettano alle persone. Coerentemente intende come promozione della salute il processo che mette in grado le persone di aumentarne il controllo e di migliorarla. 

La pandemia ha messo in evidenza come la salute sia una condizione accessibile in modo disuguale dalla popolazione, in funzione delle caratteristiche socio economiche: chi dispone una casa grande, magari con giardino, di dispositivi tecnologici per smartworking e studio e di una rete sociale attiva è avvantaggiato e sta meglio; chi queste cose non ha, appartiene alla schiera dei cosiddetti “nuovi poveri”, o fa parte dei “vecchi” è più in difficoltà. 

Analogamente la promozione della salute attecchisce in maniera differenziata sui diversi terreni socioculturali. Lo stesso avviene su scala mondiale: i popoli ricchi stanno meglio, quelli poveri peggio, anche nella possibilità di reagire alle malattie (resilienza). Non dimentichiamoci che i secondi sono maggioritari sui primi. 

In questo blog, ospitato su, SoloTablet.it, abbiamo deciso di allestire uno spazio dialogico aperto, sotto forma di interviste, che raccolga contributi e riflessioni. Sono state poste domande sia a professionisti della salute (psicologi), che a insegnanti della fascia 0-6. Questi ultimi poiché, accompagnando i bambini nelle esperienze cruciali dei primi anni di vita, contribuiscono a gettare le basi per la salute futura.

L'articolo contiene l'intervista di Alessandro Bianchi alla dott.ssa Liliana ArgenzianoPsicoterapeuta, Formatrice, Supervisore, Maserà di Padova


 

Per prima cosa direi di cominciare con un breve presentazione di cosa fai, quali gli ambiti nei quali sei specializzata/o e nei quali operi professionalmente, dei progetti a cui sta lavorando, degli interessi culturali e eventuali scuole/teorie/pratiche psicologiche di appartenenza.

Sono psicologa clinica specializzata in Psicoterapia Funzionale Corporea; lavoro come libera professionista soprattutto con persone che hanno problematiche stress-correlate, ansia, depressione e che sono state (o sono tutt’ora) vittime di traumi e violenze.

Il mio modo di lavorare prevede dei momenti pratici all’interno dell’ora della terapia; utilizzo infatti tecniche di movimento, immaginazione, di respirazione e di tocco e massaggio che mi consentono con maggiore efficacia di arrivare alla risoluzione dei problemi e dei sintomi.

Sto ultimando un master in Mindfulness, strumento che ho cominciato ad usare nel mio lavoro perché si integra perfettamente con le altre tecniche che uso e perchè ha un’ efficacia ormai comprovata da anni.

Oltre al lavoro clinico nel mio studio, mi occupo di formazione in azienda, sono supervisore di un gruppo di maestre di un nido 0-3 anni e svolgo corsi di biblio-terapia per adulti e ragazzi anche on line.

Sono appassionata di arte, letteratura, di fisica quantistica e neuroscienze.

Puoi dirci qualcosa di quanto e come le tue attività lavorative/professionali siano cambiate per effetto della pandemia?

Non posso negare che la pandemia abbia escluso dal mio lavoro alcuni pezzi fondamentali del rapporto con le persone: c’è la distanza fisica, il non potersi abbracciare nei momenti di dolore, di gioia o anche di saluto, il non potersi guardare in faccia ma solo occhi negli occhi; tutte limitazioni di cui sento fortemente l’impatto nella relazione.

Anche quando faccio formazione e supervisione risento fortemente della situazione pandemica: ore ed ore al pc sono stancanti fisicamente e mentalmente e creare un senso di appartenenza al gruppo on line è una sfida continua che mi richiede di fare spesso ricorso alla mia inventiva.

D’altro canto, posso dire che proprio per questi motivi la pandemia è stata una spinta alla creatività ed alla curiosità: ho dovuto trovare modi pratici ma anche relazionali per superare questi vincoli, ho dovuto studiare ancora di più (ho seguito corsi on line ad esempio di rilassamento progressivo, meditazione ed altro) e mi sono aperta a mondi che probabilmente non avrei esplorato.

Ora, dopo tanti mesi che ho ripreso il lavoro in presenza, posso dire che la distanza relazionale che in un primo momento si era venuta a creare, non esiste più: il Contatto è un’esperienza che possiamo vivere e recuperare in tantissimi modi, sebbene nulla potrà mai sostituire il calore di una carezza o di un abbraccio.

 

La pandemia pone in evidenza la grande discrepanza esistente in Italia tra offerta pubblica di servizi psicologici, insufficiente, e offerta privata. Come sottolineato dal presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi Lazzari, al bisogno diffuso e crescente di sostegno psicologico corrisponde una maggiore difficoltà ad accedervi. L’emergenza sanitaria si è portata appresso una crisi economica drammatica, acuendo le disparità già esistenti. Il rischio è che il disagio rimanga senza risposta per una larga fascia di popolazione, quella più fragile in particolare. Quale è il polso della situazione dal tuo osservatorio?

Mi trovo completamente d’accordo con quanto detto dal presidente; credo però che la situazione in fondo sia sempre stata questa, la pandemia ha solo reso i numeri più grossi e, dunque, la disparità di accesso alle cure ha potuto saltare all’occhio di tutti (senza contare, poi, che molti servizi pubblici nell’ambito della salute mentale, sono stati e sono tutt’ora sospesi).

Dopo avere fatto parte della task force ministeriale che si occupava del numero verde attivato tra Aprile e Giugno dello scorso anno, posso affermare che c’è un ulteriore problema oltre a quello evidenziato da Lazzari: al numero verde accedevano persone in urgenza ed emergenza e, nonostante questo (anzi proprio per questo direi), si è registrato un altissimo numero di drop out.

Riflettendo su questi due dati ritengo che il vero problema di fondo sia l’inesistenza di un’ educazione alla salute mentale (e non solo) che possa contribuire al considerare la salute psicologica come un valore, un bene prezioso di cui occuparsi sempre e soprattutto per tempo.

Credo fortemente che la grossa lacuna sia l’assenza quasi totale di un approccio preventivo ai problemi di salute mentale; il retaggio culturale è ancora quello secondo cui chi va dallo psicologo sia “pazzo” o “malato”; non si considerano la sofferenza ed il dolore come forme di disagio di cui occuparsi né, tanto meno, si è a conoscenza del fatto che questo tipo di emozioni quando non prese in tempo, portano allo sviluppo di sintomi, sindromi o vere e proprie malattie.

In Italia sono praticamente del tutto assenti interventi di prevenzione: non vengono portati avanti progetti nelle scuole, gli insegnanti ed i medici non hanno una formazione specifica su questi temi ed i progetti pilota degli ultimi anni riguardanti la figura dello Psicologo di Base e dello Psicologo in Farmacia stentano ad essere presi in considerazione.

Finchè non si costruirà una mentalità politica e popolare che dia valore alla salute mentale ed alla sua gestione in termini non solo di intervento ma anche di prevenzione, non ci potrà essere una buona risposta sul piano dei servizi pubblici.

 

Sono passati i tempi di Basaglia, quando da una disciplina specifica, in quel caso la psichiatria, partiva una radicale proposta di cambiamento culturale con riflessi sociali importanti. Ritieni che oggi vi sia per la psicologia una possibilità per incidere sul sociale, contribuire alla crescita di una cultura di equità, di giustizia sociale, di redistribuzione equa della salute? Quali sono gli elementi sensibili su cui fare leva per una cultura del benessere fruibile da tutti e realmente inclusiva?

È ormai comprovato che la psicologia ha un impatto sul sociale: sia se la si acquisisce in termini di conoscenze teoriche, sia che ci si sottoponga a delle psicoterapie o a progetti di prevenzione perché cambia fortemente il modo di guardare alla realtà, alle persone e a se stessi.

La psicologia rinforza, solo per citare alcune cose 

  • empatia (che tradotta in altre parole può essere definita come solidarietà, gentilezza, non violenza),
  • resilienza (che potremmo tradurla, riducendola ai minimi termini, come una migliore risposta del sistema immunitario allo stress, cioè meno malati e malattie con grande sollievo del SSN che potrebbe investire i soldi risparmiati in altro; è stato dimostrato più volte che interventi preventivi e riabilitativi hanno un impatto economico perché alleviano i costi del Sistema Sanitario Nazionale)

  • consapevolezza (sapere cosa mi sta succedendo momento dopo momento e poterlo gestire al meglio senza perdere il controllo di me e delle mie emozioni).

Volendo tornare all’impatto economico che la psicologia ha sulle società, possiamo pensare al fatto che gli psicologi potrebbero collaborare con economisti e matematici per definire i comportamenti sociali delle persone rispetto all’uso del denaro (cosa che ad esempio viene fatta nel marketing pubblicitario di qualsiasi genere).

Non dimentichiamo, inoltre, che ogni social network viene progettato sulla base di studi e conoscenze del comportamento umano, cioè studi e conoscenze derivanti dal settore della psicologia.

Insomma oggi come oggi abbiamo numerosissime evidenze di quanto questa scienza impatti notevolmente sulle persone, sui gruppi e sulle organizzazioni.
Purtroppo finchè noi professionisti verremo lasciati soli non avremo molto margine per creare una educazione alla salute mentale; quando politici e finanzieri inizieranno a darci ascolto forse le cose potranno cambiare. Intanto credo che ognuno di noi, nel proprio piccolo, debba e possa contribuire alla causa.

 

 

Hai qualche proposta operativa in merito?

Mi piacerebbe vedere fiorire sempre più progetti nelle scuole, soprattutto scuole primarie e secondarie di primo grado: sono gli anni in cui la mente si forma ed assorbe tantissimo e lavorando con bambini e ragazzi si può contribuire alla crescita ed alla formazione delle donne e degli uomini di domani.

Lo svantaggio socio economico ad essere ereditario; alimenta la povertà educativa, limita le opportunità culturali e i diritti (dal gioco nei bambini, all’accesso, in generale, a beni e servizi dedicati e opportunità di apprendimento); la povertà di relazioni e l’isolamento restringono la dimensione emotiva della socialità, la capacità di relazionarsi con le realtà di riferimento, la resilienza alla malattia. Un fenomeno che tende a perpetuarsi nelle generazioni successive. Da psicologa come vedi il futuro?

Devo ammettere di essere molto pessimista: lavoro da 10 anni e in questo periodo ho visto cambiare drammaticamente e repentinamente l’utenza e le sue richieste: arrivano molte più persone con patologie gravi e, dato che più mi preoccupa, sempre più giovani; cioè ci si ammala prima e in modo più grave.

In aggiunta a questo mi preoccupa anche l’andamento della psicopatologia: sempre più depressioni e sempre più difficoltà relazionali; problematiche che minano fortemente il tessuto sociale ed economico futuro.

Vuoi aggiungere qualcos’altro? Ci sono tematiche non toccate nell’intervista che secondo te andavano approfondite?

Le domande mi sembrano coprire i punti salienti e spero che le risposte abbiano fatto altrettanto.

Voglio puntualizzare che parlare di psicologia non è parlare di soldi, di computer o di pomate: parlare di psicologia è parlare dell’ essere umano, questo dovrebbe bastare a fare capire quanto sia una materia imprescindibile per tutti noi, come individui e come società.

 

 

 

 

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