Tutto questo in una fase di passaggio, già di per sé distopica, caratterizzata dall’aumento della povertà e dalla precarietà lavorativa, dalla sparizione di innumerevoli piccole e medie aziende familiari, artigianali e commerciali, dall’aumento della disuguaglianza, dalla crisi delle democrazie e dei parlamenti occidentali, da multinazionali, in primo luogo tecnologiche e farmaceutiche, sempre più ricche e più potenti, dalle rivoluzioni geopolitiche emergenti, e dall’isolamento sociale crescente. In Italia poi distopica è anche solo la certezza di rivedere nel prossimo parlamento le solite facce e i personaggi che hanno contribuito alle distopie italiane del presente.
La proliferazione di distopie e l’assuefazione passiva ad esse è frutto del disincanto (anche nei confronti della tecnologia) e del distacco (un esempio su tutti l’astensionismo in politica), della rassegnazione, della sfiducia in un futuro migliore e dell’impossibilità a cambiare, della disinformazione ma soprattutto della misinformazione (anche se non ce ne accorgiamo siamo vettori di disinformazione: “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti” cantava De Andrè).
TWITTER CAMBIA: STUDIALO ORA
Per quanto difficile e forse impossibile, tutti sono chiamati a una riflessione critica consapevole e responsabile sul presente. Sui suoi scenari distopici futuri in formazione (un pianeta senza acqua dominato dalle guerre per il suo possesso e controllo!). Il primo passo da compiere è la ricerca di parole nuove (la parola crea la realtà, il mondo) e il recupero, nei loro significati, di quelle vecchie. Parole come guerra, lotta, proletariato, libertà, fede, sociale, democrazia, progresso, ecc. Le parole possono servire per ridare forza al linguaggio, oggi scaduto a Neolingua fatta di cinguettii ed emoji. Servono per costruire narrazioni alternative fuori dal conformismo dilagante e i suoi meccanismi di controllo, capaci di opporsi alla propaganda e all’emarginazione del dissenso. Con l’obiettivo di continuare a tenere sempre la mente e gli occhi bene aperti, in modo da contrastare ogni tentativo di trasformare il futuro in una distopia.
Il futuro è in bilico (titolo di un libro di Elisabetta Di Minico) ma non è necessariamente distopico.
Senza contare che abbiamo tutti bisogno di UTOPIA!