Il lavoro è uno degli argomenti caldi della discussione in corso tra economisti, politici, sindacalisti e lavoratori. Il tema è quello del capitalismo finanziario e le sue ricadute in termini di precarizzazione del lavoro, compreso quello cognitivo. L'analisi attuale è tutta dentro la crisi del capitalismo, nelle sue varie forme, anche digitali. Uno degli effetti più devastanti è stata la disgregazione e fragilizzazione del lavoro. Questo fenomeno sta interessando milioni di persone che operano, direttamente o indirettamente con la aziende protagoniste della rivoluzione tecnologica e digitale corrente. Sono aziende capaci di macinare grandi profitti, di coinvolgere con i loro prodotti, filosofie e visioni del mondo miliardi di persone, di imporre nuovi modelli di business ma anche di generare grandi diseguaglianze, sul mercato in cui operano e sociali.
Economia delle piattaforme e lavoro digitale
In un articolo pubblicato sul Guardian dal titolo ‘Digital capitalism produces few winners‘, John Naughton , traccia un breve profilo del capitalismo digitale caratterizzato dal predominio di pochi protagonisti. Un predominio valutabile e misurabile su modelli di business condivisi, fondati su quattro elementi: marginalità, grandi volumi, forte ineguaglianza e opportunità di lavoro.
I protagonisti attuali del capitalismo digitale non sono numerosi, Apple, Amazon, Google, Facebook, Microsoft e pochi altri. Tutti condividono il modello di business ma lo perseguono in modalità differenziate a seconda della loro posizione di forza o di debolezza attuale. Ad esempio sul fronte della marginalità, Apple può permettersi ancora di imporre un modello basato su utili elevati e su prezzi che non cambiano, nonostante la pressione competitiva di altri produttori come Amazon e Google. Apple può cioè insistere su un modello che in passato ha messo al tappeto aziende come Kodak. L’elevata marginalità sempre ricercata da Kodak (+70%) ha impedito il rinnovamento, ha penalizzato la ricerca e sviluppo ed ha portato al fallimento dell’azienda.
La tendenza attuale e i modelli di business vincenti emergenti sembrano essere quelli basati su una marginalità di prodotto più bassa ma su utili complessivi elevati, generati dal volume di vendite. Questi modelli valgono per prodotti hardware ma soprattutto per quelli software. Non è un caso che sono molti a guardare, studiare e copiare il modello di Amazon. Per comprendere la dimensione del fenomeno è sufficiente prendere visione dei numeri relativi ai download di applicazioni, al numero di video caricati su YouTube, al numero di fotografie pubblicate e condivise su Facebook e altri Social Newtork ecc. I margini e gli utili collegati a queste attività sono sempre minimi ma quando vengono moltiplicati per il numero che fa da moltiplicatore, il risultato finale è molto grande.
Gli utili generati creano grande disuguaglianza perché a trarne vantaggio sono poche società. A macinare utili sono aziende come Apple, Amazon, Google, Facebook, Micorosft e poche altre. Lo stanno facendo grazie alla loro capacità innovativa, agli investimenti fatti in ricerca e sviluppo, alla visibilità e immagine autorevole del brand sul mercato, al valore delle loro azioni in borsa ecc.
Tutto ciò ha una ricaduta forte anche sul mondo del lavoro. A fronte di pochi dipendenti ben remunerati perchè impiegati nella filiera della ideazione, progettazione e implementazione di nuovi prodotti, la vasta maggioranza dei loro colleghi sono molto meno fortunati. Ad esempio, la maggioranza dei dipendenti USA di Apple, lavora con salari minimi (25000 dollari all’anno, molto meno del salario medio che negli USA è di 39.000 dollari all’anno) e soprattutto nei numerosi punti vendita dell’azienda. Nonostante aziende come Apple e Facebook decantino sugli organi di stampa la loro abilità nel creare nuovi posti di lavoro (232.000 per Facebook, 600.000 Apple) non si parla mai di che tipo di posti di lavoro sono stati creati. Per capire meglio di cosa si parla può essere utile leggere i vari rapporti sulle condizioni di lavoro in aziende che fanno parte delle filiere Apple e Amazon.
Un’indagine svolta da Sarah O'Conor del Financial Times ( consigliata la lettura a tutti, peccato sia in inglese!) sulle condizioni di lavoro in Amazon ad esempio ha evidenziato come le persone impiegate nei centri di smistamento logistico degli ordinativi Amazon lavorano in condizioni di semi-schiavitù. Il controllo non è più operato, come ai tempi moderini di Chaplin, da persone ma da dispositivi hardware in grado di misurare costantemente la produttività di addetti operano in maniera automatizzata e guidata da schermi e da software appositamente studiati. Questo controllo robotizzato che avviene all'interno dei magazzini di stoccaggio e distribuzione dei prodotti è esteso anche all'esterno e incide anche nella vita personale dei dipendenti. Questo è ciò è emerso recentemente da una indagine giornalistica (canale televisivo ARD) in Germania che ha evidenziato l'impiego di guardie del corpo provenienti da ambienti nazisti per intimidire e ricattare manodopera extracomunitaria composta da quasi 5000 persone.
Questi dati obbligano a guardare ai dati e alle informazioni che raccontano il successo mondiale delle aziende protagoniste dell'economia digitale con maggiore capacità critica e a raccontare meglio non solo il potere ormai assoluto della tecnologia e i suoi effetti positivi ma anche le sue ricadute negative e gli effetti pesanti sulla disuguaglianza, sulla mancanza di libertà e sulla infelicità di molte persone.