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Economia delle piattaforme e lavoro digitale

Economia delle piattaforme e lavoro digitale

13 Giugno 2019 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Il terzo millennio è segnato dalle tante rivoluzioni tecnologiche che lo caratterizzano. Le tecnologie non sono solo quelle dell’informazione e delle piattaforme digitali ma anche quelle che stanno trasformando discipline e settori di ricerca interi, in ambiti come la genetica e la biotecnologia, l’automazione delle fabbriche manifatturiere e di processo. Benefici e vantaggi devono fare i conti con la perdita di posti di lavoro, non solo manuali ma anche cognitivi. Più che riflettere sui posti servirebbe però una riflessione critica sui modelli di realtà che stanno emergendo.

Su questi temi la rivista Sustainability ha ospitato un anno fa un interessante contributo (Il digital labour all’interno dell’economia delle piattaforme: il caso di Facebook -  opera di un team italiano composto da Andrea Fumagalli, Stefano Lucarelli, Elena Musolino, Giulia Rocchi - una sua traduzione italiana si può leggere sulla rivista online effimera.org) che merita di essere ripreso e offerto a quanti sulla tecnologia abbiano deciso di adottare un approccio tecnocritico, tecnocinico e soprattutto tecnoconsapevole (Tecnoconsapevolezza e libertà di sceltaLa tecnoconsapevolezza aiuta la libertà di sceltaGatti, asini e canarini. Voliere, acquari e gabbie di vetro. Metafore per la tecnoconsapevolezza).

Tecnologia in accelerazione

Le nuove tecnologie, le loro intelligenze artificiali, il machine learning e gli algoritmi, unitamente alla potenza di calcolo del cloud computing, alla disponibilità dei dati dei Big Data e ai loro potenti strumenti di Business Intelligence, stanno imprimendo alla rivoluzione tecnologica un’accelerazione mai sperimentata prima nella storia dell’umanità.

Grazie alle nuove tecnologie semplici strumenti di lavoro e macchine utensili si stanno trasformando in mezzi di produzione sempre più potenti ed efficienti e, forse anche per questo, sostituendosi agli esseri umani in un numero crescente di attività lavorative. Non solo quelle routinarie, ripetitive e time consuming.

I dati al centro di tutto!

A fare la differenza assoluta sono i dati, mai stati disponibili prima in termini di granularità,  dettaglio, accuratezza, e quantità attuali. Mai capaci come oggi di generare valore producendo informazioni e conoscenze utilizzabili in tempi più rapidi e in modo più focalizzato, personalizzato ed efficace.

Dati e informazioni hanno ruoli diversi, uno su tutti sconosciuto o non compreso dai più. Le grandi quantità di dati disponibili permettono di fare degli esperimenti e dei test statistici prima di prendere decisioni o di implementare strategie (marketing o commerciali), iniziative o modelli di business. L’altro effetto collaterale, anch’esso poco percepibile, è la standardizzazione crescente di ogni ambito nel quale questi dati vengono prodotti.

Predisporre modalità di produzione dei dati d tipo standard ne facilita la raccolta, la loro categorizzazione e catalogazione e analisi. Finisce però per impoverire coloro che producono i dati e che sono chiamati a diventare complici di strategie, modelli di business e potentati vari dei proprietari delle piattaforme tecnologiche sulle quali questi dati vengono prodotti. Non è un caso che Nick Srnicek abbia coniato il termine di Capitalismo delle piattaforme per descrivere una realtà digitalizzata che sta cambiando completamento lo scenario futuro del lavoro facendo emergere nuove forme di sfruttamento, tutte legate alla trasformazione delle informazioni in merce e che si realizza attraverso l’espropriazione di buona parte della vita delle persone e delle loro attività.

Dati e modelli di business

Dati e informazioni sono merce preziosa, il petrolio del capitalismo delle piattaforme. Il loro valore è legato al modello di business che alimentano. 

Modelli come quello di Facebook che, prima ancora di possedere una piattaforma di social media e networking è detentore di un efficiente e potente motore di pubblicità, dall’elevato ritorno sugli investimenti. Modelli simili sono quelli implementati da Google e altre società tecnologiche come Amazon e Microsoft, ma anche molte altre. Alla base del modello c’è la prestazione di lavoro gratuito operata da miliardi di utenti che non sono consapevoli, forse perché non implicano alcun sforzo fisico o intellettuale, di quanto le loro attività relazionali e di interazione sociale siano in realtà prestazioni lavorative.

Le piattaforme (Google, Facebook, Amazon, Spotify, ma anche altre come Uber, Airbnb, Deliveroo o Foodora  agiscono come un vero e proprio apparato funzionante e finalizzato all’accumulazione, sfruttando attività, conoscenza, relazioni sociali, comunicazioni, emozioni e sentimenti, così come facoltà umane. Lo sfruttamento è mirato alla creazione di valore, che viene estratto dai dati e dalle informazioni digitali prodotte e usato per produrre conoscenze e conoscenza. Il ciclo produttivo è immateriale e in mano agli algoritmi, impegnati nell’intero meccanismo di scambio, nella raccolta e analisi dei dati (Big Data e Business intelligence) così come nell’erogazione personalizzata di servizi, promozioni, merci, ecc.

I modelli di business all'opera

I modelli di business del capitalismo delle piattaforme sono sempre più organizzati, automatizzati e strutturati. Fanno uso di tecnologie sempre più avanzate, sistemi di intelligenza artificiale e macchine software capaci di apprendere (machine learning) usate per personalizzare l’offerta e plasmare i comportamenti e gli stili di vita. Sono modelli che facilitano e comportano la complicità dell’utente che, in forma più o meno consapevole, si fa schiavo delle sue manie, abitudini e passioni tecnologiche trasformandosi in estrattore e produttore di dati e di informazioni, la vera materia prima della quale le piattaforme sono avide. Impiegano forme di costrizione al lavoro di tipo gentile, ruffiano e manipolatorio al fine di catturare ogni forma di cooperazione e condivisione sociale digitale e di trasformarla in un meccanismo di produzione capitalistica.

Piattaforme sono anche quelle di Uber, Deliveroo o Foodora. In questo caso però il modello di business richiama quello tradizionale. Attraverso l’uso di queste piattaforme una moltitudine di lavoratori indipendenti (i proletariati del terzo millennio, tali anche se facenti parte del cognitariato, sempre più precario e disoccupato) offrono il loro lavoro in cambio di bassi salari, senza alcuna sicurezza sociale o diritti, ma soprattutto a proprio rischio e pericolo.

Piattaforme, posti di lavoro e dati

I vari modelli di business all’opera sono diversi ma simili tra loro. Gli affiliati di Deliveroo o Foodora sono lavoratori sfruttati così come lo sono quelli di Facebook o Google. Con la differenza che gli utilizzatori di Facebook o Google non sono chiamati a lavorare per le loro piattaforme ed anzi le loro attività digitali avvengono prevalentemente al di fuori dell’orario di lavoro. Chi lavora con/per Foodora è impegnato in un lavoro retribuito, chi sta su Facebook è come se prestasse lavoro libero e gratuitamente. I primi sono schiavi della piattaforma, i secondi ne sono complici, per di più mettendo a disposizione sé stessi come merce e vendendo gratuitamente come materia prima la propria stessa vita.

Secondo molti studiosi più che essere entrati nell’era della fine del lavoro, stiamo vivendo e partecipando alla nuova fase di evoluzione del capitalismo e della sua organizzazione del lavoro. Il tempo libero sembra aumentato ma in realtà siamo tutti catturati in attività lavorative continue che coinvolgono anche le nostre capacità cognitive, artistiche e creative.

Attività sulle quali, anche grazie ai dati che produciamo, i proprietari delle piattaforme tecnologiche possono attivare sistemi di misurazione della produttività e implementare quello che serve per farla ulteriormente aumentare. Ne deriva da un lato che la produzione sociale e collettiva di conoscenza, tipica delle piattaforme social, venga privatizzata e piegata al modello di business e al profitto, dall’altro l’emergere di nuovi paradigmi, processi e modelli di business che cambieranno profondamente non soltanto il rapporto di lavoro ma anche le relazioni sociali, economiche e politiche.

*Le immagini sono miei scatti di viaggio (Paesi Baltici)

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