Occuparsi degli effetti prodotti dalle piattaforme tecnologiche significa interrogarsi su cosa sappiamo veramente delle tecnologie che utilizziamo, su come ne veniamo a conoscenza e su quanto ci viene tenuto nascosto, su ciò che non sappiamo, non capiamo o ci vantiamo superficialmente di capire. Senza riuscire a valutarne effetti, conseguenze, condizionamenti, rischi e pericoli. Ne deriva la necessità di acquisire maggiore conoscenza attraverso nuove conoscenze, una maggiore tecnoconsapevolezza (Gatti, asini e canarini. Voliere, acquari e gabbie di vetro. Metafore per la tecnoconsapevolezza).
Bisogna essere disponibili per una nuova alfabetizzazione che ci permetta di andare oltre la semplice comprensione e conoscenza per impossessarsi di nuovi strumenti intellettuali, linguistici, cognitivi e concettuali. Strumenti utili a sviluppare una sana riflessione critica che possa rendere possibili nuove pratiche, traducibili in nuovi comportamenti. Diversi da quelli determinati dagli algoritmi e dalla capacità computazionale delle piattaforme che frequentiamo e che stanno, con la nostra complicità e grazie alla nostra pigrizia mentale, modellando la nostra vita come se fosse una entità artificiale, come tale calcolabile, prevedibile e determinabile. Una vita che, proprio per questo, è sempre più assimilabile a quella di macchine intelligenti. Macchine che grazie alla potenza degli algoritmi e alla disponibilità di grandi quantità di dati, stanno accelerando la loro evoluzione diventando, più intelligenti, capaci di apprendere e di prendere decisioni.
La vita delle persone non è modellata dalle tecnologie solo nel loro privato. Le ultime elezioni brasiliane, vinte dal populista Bolsonaro (ultimo caso di altri che lo hanno preceduto nel mondo) attraverso un uso massiccio delle piattaforme sociali della Rete, hanno evidenziato ad esempio il ruolo che mezzi e canali tecnologici come WhatsApp hanno svolto nel dare forma alla realtà attraverso false notizie che di reale hanno poco o nulla. Rivolte a un pubblico che usa prevalentemente queste piattaforme per la sua informazione, le false notizie contribuiscono a manipolare la realtà, anche semanticamente, a renderla oscura e poco comprensibile.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Nell’oscurità sono oggi immerse milioni di persone, incapaci ormai di riconoscere una notizia vera da una falsa, un’informazione pubblicitaria da una notizia non sponsorizzata, un fotomontaggio da una foto vera. Incapaci, o forse persino disinteressate, a valutare validità, affidabilità, reputazione o autorevolezza delle fonti dalle quali le notizie sono derivate.
Senza disporre delle capacità di discernimento e senza darsi il tempo per esercitare il dubbio, la riflessione critica e la libertà di scelta, si finisce per confondere le notizie dei media cartacei (chiamati non a caso giornaloni da chi sta sfruttando a suo vantaggio la potenza delle tecnologie attuali) con quelle di siti web pensati e costruiti ad arte per diffondere false notizie, oltre che per dare origine e alimentare teorie complottistiche o negazionistiche al solo scopo di manipolare e condizionare l’opinione pubblica e la testa delle persone.
Dare ascolto e condividere questo tipo di false notizie o teorie complottistiche è diventata pratica comune e diffusa perché permette di stare dentro il trend del momento, di seguire l’onda, di sentirsi parte della moltitudine o della massa in formazione del momento, ma soprattutto perché semplice, facile e per nulla faticoso. Cercare le fonti e la provenienza delle informazioni, decodificare un messaggio o una notizia, elaborare un pensiero critico utile alla falsificazione e alla verifica dell’informazione così come della qualità e credibilità delle informazioni, usare in modo critico, scettico e consapevole le informazioni ricevute, sono tutte azioni che implicano lavoro mentale e intellettuale, comportano fatica, rallentano interazioni e condivisioni e fanno sorgere tanti dubbi e indecisioni. Il dubbio può servire a riflettere sulla nostra arrendevole disponibilità a farci ottimizzare e aggiornare dalla tecnologia, come se senza i nostri strumenti tecnologici (braccialetti intelligenti, applicazioni per contare i passi e registrare impulsi vitali, smartphone, ecc.) non potessimo più interagire direttamente con la realtà. L’indecisione, più che una forma di debolezza o un punto debole personale, può diventare uno strumento potente per mantenere il controllo sul mondo attraverso azioni e narrazioni personalizzate, non dettate dalle piattaforme tecnologiche e dai loro algoritmi.
Mettersi sulla strada del dubbio e della riflessione critica non è semplice. Non lo è per le persone adulte e neppure per le nuove generazioni. Non lo è perché confrontarsi con il pensiero complesso implica la capacità di analizzare i vari elementi che compongono ogni ambito esperienziale (attori coinvolti, comportamenti, narrazioni, ecc.) e soprattutto le loro interrelazioni. Approcciare la complessità significa affrontare i dilemmi e le biforcazioni, costruirsi una visione d’insieme, imparare a fare delle scelte (il dilemma del prigioniero ...) dopo aver elaborato ipotesi diverse e provato a immaginare quali possano essere gli scenari possibili e le loro conseguenze. Significa anche adottare buone pratiche o comportamenti diversi da quelli abitualmente praticati online, spesso autocentrati, governati da meccanismi autocelebrativi e alla ricerca di gratificazioni. Scarsamente dettati dalla volontà e capacità di ascoltare e poco inclini a riflettere sugli effetti che ogni azione online può avere sugli altri e su sé stessi.
Elaborare pensiero critico sulla tecnologia non significa che bisogna fare a meno di essa. Noi tutti siamo dentro la Rete e conviviamo con una miriade di prodotti tecnologici attraverso i quali non solo facciamo delle cose ma pensiamo, comunichiamo, facciamo delle scelte, decidiamo e interagiamo con la realtà (Cittadini digitali consapevoli). Ciò che serve è, dall’interno, provare a elaborare idee, argomenti, pensieri che permettano di dare forma a relazioni uomo-macchina più ragionate. Orientate a scopi e finalità diverse da quelle che oggi sembrano dominare la tecnologia e le scelte di chi la produce. Rinunciare a cambiare il verso della tecnologia attuale significa condannarsi a quella che James Bridle, nel suo libro Nuova era oscura, definisce come una crepa che si è aperta tra tutti noi in quanto individui “nel momento in cui preferiamo non riconoscere e articolare la nostra condizione attuale”. E di queste crepe in giro ce n’è un’infinità, basterebbe osservare con occhi diversi non solo i fatti italiani ma anche le numerose crisi che stanno caratterizzando il mondo contemporaneo. Riscaldamento climatico prima di tutto ma poi anche le numerose paranoie pubbliche e private che si stanno manifestando politicamente in opinioni diffuse, scelte e comportamenti che sembrano preparare il terreno a violenze e guerre prossime future.