2017 - 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) /

Recupera il significato semantico e poetico delle immagini

Recupera il significato semantico e poetico delle immagini

01 Ottobre 2017 Redazione SoloTablet
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Il libro di Carlo Mazzucchelli 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) è pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital

Non consumare immagini ma recupera il loro significato semantico e poetico

 

Siamo quello che siamo grazie alla tecnica ma le tecnologie attuali hanno oggi impatti così profondi sul nostro essere umani da suggerire nuove riflessioni, non solo filosofiche. Una in particolare dovrebbe interessare tutti: il ruolo assunto dai dispositivi nel modificare i nostri comportamenti grazie alla continua semplificazione e facilitazione di una miriade di attività umane e al nascondimento delle realtà complesse a esse sottese.

Per le loro caratteristiche e funzionalità, i prodotti tecnologici hanno dato una spinta fondamentale verso il consumismo istantaneo di prodotti e oggetti e soprattutto di immagini. È un consumismo felice, allegro, motivato da stili di vita e nuove tendenze emergenti di consumo quotidiano. Immerso in un ambiente interconnesso e iper-tecnologico il consumatore è diventato attore e autore delle sue esperienze di acquisto. Grazie ai suoi dispositivi tecnologici si sente proiettato al centro delle dinamiche di acquisto e di consumo. Il suo è un consumo mobile, flessibile, edonista, di Marca, sempre a caccia di nuove emozioni e di ben-essere, tutto centrato sulla moltiplicazione infinita dei bisogni e tutto rivolto al presente che ha sostituito ogni aspettativa del futuro. Il consumo vissuto come massima libertà si è al contrario trasformato in nuove forme di schiavitù e di dipendenza, dal sistema commerciale così come dagli strumenti tecnologici usati per le esperienze di acquisto e di consumo.

In questo contesto, le immagini assumono un ruolo ed un'importanza particolari nel definire la condivisione dell'immaginario dei soggetti coinvolti. Sono ovunque. Dai numerosi display che le ospitano, alimentano esperienze, illusioni, suggestioni, emozioni, narrazioni e visioni. Suggeriscono un loro consumo veloce, la rielaborazione continua dell'esperienza personale. Creano fantasmagorici e coreografici giochi di specchi nei quali è facile rispecchiarsi e perdersi nel loro continuo fluire. Nello specchio-finestra del display l'individuo non riflette più sé stesso ma è semplicemente assorbito dalla contemplazione delle immagini che vi scorrono (Jean Braudillard). Contribuiscono, unitamente ai contenitori tecnologici che le fanno vivere, a modificare comportamenti mentali, esperienziali e narrativi e a ridefinire lo spazio-tempo nel quale si muovono le persone.

Immersi in un mondo fatto di immagini, i cittadini digitali del mondo si ritrovano avvolti in un bozzolo in continua costruzione, che li avvolge e li accieca con un persistente fluire filamentoso di figure e apparenze delle quali hanno perso il controllo e il significato. Questo fluire instancabile, vorticoso e circolare è ciò che caratterizza oggi la vita di ogni display tecnologico, sempre in scorrimento sotto l'azione di dita in movimento impegnate a scorrere pagine Facebook, Flickr, Instagram o Pinterest. Le immagini che scorrono su quei display sono consumate come pop corn divorati nel buio di un cinematografo. È un consumo che impedisce di cogliere la vera vita delle immagini, la loro valenza performativa e la loro forza, come soggetti dotati di una propria virtualità e poesia (Horst Bredekamp).

Il primo passo per recuperare un nuovo rapporto con l'immagine è cercare di superare la passività e l'impotenza che caratterizza il comportamento di cittadini e consumatori digitali di fronte al diluvio di immagini a cui sono esposti. Bisogna comprendere come la proliferazione di immagini non determini automaticamente la loro accessibilità e comprensibilità ma ne uccida il senso, i significati e la poesia, portando alla cecità dello sguardo.

Per recuperare la vista non servono display più grandi o con un numero maggiore di pixel, non servono neppure visori o occhiali avveniristici e tecnologici.

Serve la voglia di riscoprire una relazione diversa con l'immagine. Una relazione che dia tempo e permetta alle immagini di farsi capire e ascoltare: "Quello che vogliono le immagini non è essere interpretate, decodificate, adorate, distrutte, smascherate o criticate dagli spettatori; non vogliono nemmeno affascinarli [...] ciò che vogliono è semplicemente che si chieda loro che cosa vogliono...." (Andrea Pinotti nel libro Teorie dell'immagine). Perché questo sia possibile servono però tempi più lunghi di quelli solitamente dedicati alle immagini sul rullo compressore del display. 

 

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