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Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra

Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra

01 Dicembre 2013 Redazione SoloTablet
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Capitolo 2

Il libro Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra di Carlo Mazzucchelli è stato stampato nel 2013 nella collana Technovisions di Delos Digital


Capitolo 2

Ambivalenza di Google. Strumento di libertà o di controllo?

 

Il mondo tecnologico è sempre più Mobile ma la tecnologia della rete continua ad essere il motore di ricerca. Google con i suoi algoritmi e i dati accumulati è oggi in grado di ripercorrere le nostre esperienze in rete e restituirci le informazioni che ci servono facendoci partecipi nella produzione di nuova conoscenza. Eppure per molti Google è il Grande Fratello, un Panopticon che controlla e vede tutto, un grande inquisitore che mira a conoscere per governare, un diavolo da contrastare come malattia dei nostri tempi tecnologici. E se questi molti sbagliassero? 

Al cuore di Google si trova l’algoritmo PageRank che Brin e Page scrissero mentre erano studenti a Stanford negli anni 90. Notarono che ogni volta qualcuno con un sito Web pone un link ad un altro sito, costui esprime un giudizio, dichiara che considera quel sito importante. In seguito realizzarono che mentre ogni link contiene un po’ di intelligenza umana, tutti i link insieme contengono una grande quantità di intelligenza – molto di più, in effetti, di quanto qualsiasi singola mente possa possedere. Il motore di ricerca di Google scava in questa intelligenza, link dopo link, e la usa per determinare l’importanza di tutte la pagine del Web. Più grande è il numero di link che porta ad una pagina, più grande è il suo valore. Come dice John Markoff, il software di Google “sfrutta sistematicamente la conoscenza e le scelte umane su ciò che è significante”. Ogni volta che scriviamo un link, o anche solo lo clicchiamo, alimentiamo il sistema di Google con la nostra intelligenza. Rendiamo la macchina un po’ più intelligente – e Brin, Page e tutti gli azionisti di Google un po’ più ricchi.
— Nicholas Carr, Il lato oscuro della rete1

Per comprendere Google e la sua tecnologia nulla vale più di una diretta sperimentazione. E’ possibile farlo come semplice utente e cittadino della rete o con la realizzazione di progetti e attività web ( non solo siti e portali ) che possono diventare utile palestra per cercare di comprendere meglio e studiare le modalità con cui interagire, non soltanto attraverso i contenuti pubblicati ma anche a livello di struttura e organizzazione dei contenuti, di codice sviluppato e di modelli di business. La conoscenza e le conoscenze prodotte da queste sperimentazioni hanno valore solo se riescono ad essere condivise ed a  favorire lo scambio, la collaborazione, il contradditorio sulle opinioni espresse e la partecipazione.

Le sperimentazioni possono produrre risultati alterni, ambigui e contradditori ma difficilemente riusciranno oggi a cancellare la percezione di Google come strumento potente per la creazione di valore e per la sua condivisione ma anche come un Grande Fratello in grado di determinare, in base ad algoritmi e logiche ignote cosa portare in evidenza od omettere, cosa ricordare o dimenticare, cosa pubblicizzare o nascondere.

Se è vero che Google è un apparato di cattura del valore dal basso che utilizza l'algoritmo Pagerank per trasformare le informazioni catturate in sistema di valore acquisito nei propri archivi digitali finalizzati alla condivisione, è altrettanto vero che molto del valore generato e ricordato non è un prodotto diretto della condensazione di attenzione e desiderio collettivo da parte degli utenti della rete.

La responsabilità potrebbe non essere di Google ma di chi contribuisce a generare valore e conoscenza in rete attraverso interazioni, collegamenti e scambi. Google è una fabbrica immateriale di nuova conoscenza che non impone alcun vincolo, struttura o linguaggio specializzato. Google si adegua alla rete e ai suoi abitanti, non suggerisce una visione del mondo o un pensiero unico ma è aperto a novità e varianti ed è predisposto 'geneticamente' a recepire in modo caotico la diversità.

Se questa è la questa visione di Google si può cercare di assecondarlo, si possono aprire le porte a contributi esterni, alla partecipazione attiva degli utenti. Nel fare questo ci si può muovere, come direbbe Francesco Varanini, "con cautela, scoprendo il cammino strada facendo, passo dopo passo, biforcazione dopo biforcazione, emergenza dopo emergenza". Ad ogni biforcazione si possono introdurre nuove versione delle applicazioni con cui si sta in rete e verificare il loro effetto nella valutazione del Fratello Google. A volte Google comunica in tempi rapidi il suo gradimento premiando con un nuovo incremento di accessi, a volte obbliga a lavorare per una nuova emergenza e su una nuova versione applicativa. Questa capacità di reazione e le conseguenze da essa generate fanno riflettere su una tecnologia Google che è molto di più di un motore di ricerca e qualcosa di simile al Panopticon di filosofica memoria. Un sistema, in grado di catturare e sorvegliare i dati dall'alto e di aumentare il suo potere cognitivo grazie al controllo e allo sfruttamento del lavoro prodotto dagli utenti della rete.

Google agisce come un parassita. Uno strumento tecnologico potente capace di fornire servizi gratuiti e benevoli ma anche una presenza ambivalente e interessata all'accumulo del valore prodotto dagli utenti attraverso una piattaforma pervasiva e molecolare che stabilisce per conto suo e con regole ignote chi deve essere premiato e chi castigato o semplicemente ( che è anche peggio ) penalizzato. Il  parassitismo di Google non è passivo, cerca di essere selettivo anche se può esserlo solo a partire dal contesto nel quale si colloca ogni persona dedita ad una ricerca in rete o dalle parole chiave ricercate. Capita allora che, se la notizia sul nuovo iPad o Kindle Fire venga ripetuta ossessivamente da centinaia di siti web, Google sembra non avere scelta e si limita a visualizzare una selezione sempre parziale, mutevole e provvisoria di link a notizie tra loro simili se non completamente uguali. Rimane sempre oscuro l'algoritmo che decide in autonomia di portare in evidenza link a portali di scarsa qualità per struttura e organizzazione delle pagine web ma soprattutto per i contenuti pubblicati. Nonostante la tanto declamata importanza delle categorie della autorevolezza e della reputazione, i risultati di una ricerca Google sono spesso spiazzanti, sorprendenti e poco comprensibili ad utenti 'normali' della rete ma anche ad operatori professionali che dalla rete traggono i loro guadagni.

Questa incongruenza non ci porta a pensare a Google come al Panopticon di Jeremy Bentham. In Google tutti noi siamo al tempo stesso sorvegliati e componenti cellulari della retina visiva dei sorveglianti. L'occhio non è quello del sorvegliante centralizzato ( oggi la telecamera della video-sorveglianza ) della prigione di Bentham ma quello inconscio di coloro che partecipano alla sorveglianza senza saperlo. Siamo tutti cittadini e abitanti del mondo interconnesso anche se non possediamo tutti gli stessi diritti, esattamente come nel mondo reale, di cui Google e la tecnologia in generale è molto spesso un semplice specchio.

La filosofia di Google è riassumibile in una frase: "Abbiamo sempre creduto che il motore di ricerca perfetto fosse in grado di comprendere esattamente il significato della ricerca impostata e di ritornare esattamente quello che si era desiderato trovare". Questa filosofia/obiettivo è perseguita nella pratica attraverso la raccolta costante e aggiornata di informazioni su ogni soggetto/oggetto e utente della rete in modo da poter costruire delle mappe relazionali tra l'identità di ogni singola persona e ciò che lo/la interessa. Non vi è alcun dubbio sulla tenacia e capacità di Google nel perseguire questo obiettivo, sorprende a volte la scarsa qualità dei risultati e la incapacità del motore a facilitare la continuazione non ovvia della ricerca. E' come se l'algoritmo ad un certo punto diventasse troppo rigido e predeterminato per riuscire a soddisfare esigenze sempre più complesse, articolate ed esigenti. 

Il problema non sembra essere Google o il suo algoritmo di Pagerank ma le abitudini e i comportamenti, molto spesso massificati e condizionati, degli utenti della rete. Come spiegare diversamente l'effetto sciame su eventi di scarsa rilevanza ma di grande richiamo mediatico? E come spiegare il successo di un mondo chiuso come Facebook che ci trattiene al suo interno, persi in un chiacchiericco compassionevole e inconsistente, mentre al di fuori di esso palpita il web e la parte abitata della rete? Questi comportamenti che evidenziano la cultura di una parte consistente del popolo della rete sono fatti da mordi e fuggi, da osservazioni rapide e superficiali, da letture disattente e parziali. Tutti atteggiamenti che si traducono in scarsa interazione, in assenza di dialogo e in perdita di opportunità.

Tutto ciò senza che Google ne abbia alcuna colpa!

La rete potenzia e valorizza il passaparola ma lo fa dopo che il passaparola è stato iniziato da qualcuno. La rete è ricca di piccoli mondi ma la loro interazione/integrazione avviene sempre a fronte di gesti che mettono questi mondi in comunicazione. Le comunità della rete sono molte ma non tutte sono abitate e animate e molte sono fasulle e senza radice alcuna.

Su Google, social network e web sono molti i contributi in rete che aiutano ad una comprensione maggiore del mondo tecnologico ( technium ) che viviamo.

Ci limitiamo a segnalarne alcuni tra quelli che Google 'si è degnato' di farci trovare:

  • La nostra filosofia - Società - Google
  • PAUL VIRILIO: LA TERZA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA. AFORISMI
  • Critical Digital Studies di Arthur Korker
  • Cio che vuole la tecnologia di Kevin Kelly

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