Chi è cresciuto, come l’autore di questo articolo, alla scuola anglo-sassone conosce l’importanza di una impostazione e strategia centrate sul cliente, ma capisce anche quanto essa sia frequentemente lontana da concrete realizzazioni e da programmi coerenti. Ciò vale a maggior ragione per molte realtà italiane, non attrezzate culturalmente a comprendere il significato di nuove strategie tendenti a creare discontinuità con il passato.
Negli anni si è passati dall’orientamento al prodotto, a quello alla vendita, al marketing e al consumatore, in un’evoluzione dall’interno verso l’esterno e da una visione del mercato come terra di conquista ad una che postula la soddisfazione dei bisogni del consumatore/cliente e la sua centralità.
Trasformazione digitale come strategia, cultura di innovazione e cambiamento
Su questa centralità e nuova filosofia del cliente si sono costruite negli anni nuove concezioni di marketing, denominate non a caso relazionali, finalizzate a costruire un rapporto duraturo (Life Time Value) e a modificare l’asimmetria tra domanda ed offerta esistenti. Per perseguire questo scopo le aziende si sono dovute dotare di nuovi strumenti, in primo luogo per ascoltare meglio bisogni e richieste del cliente, poi per coinvolgerlo in modo pro-attivo nel processo di co-creazione di nuovi prodotti e servizi ed infine per personalizzare l’offerta sulla base di informazioni (Customer Knowledge Management) sempre aggiornate sul suo profilo e soprattutto sui suoi comportamenti ( oggi ciò può essere demandato a Google, Facebook e Linkedin ).
I risultati di questi sforzi sono stati fino ad oggi limitati, ed hanno evidenziato una distanza forte tra la teoria e la prassi. Fortunatamente con molte eccezioni e non soltanto in mercati di nicchia! L’esempio di Apple è una buona pratica da citare ma vale anche l’esempio tutto italiano di Ducati e della Diesel. Tutti questi esempi servono a sostantivare ruolo e importanza della capacità di ascoltare e monitorare i bisogni espressi dalle loro audience e segmenti di mercato target e di farlo puntando anche sull’utilizzo diffuso delle nuove tecnologie sociali e Web/Enetrprise 2.0.
Queste buone pratiche non impediscono però una riflessione critica sul tema della relazione e del suo ruolo mutante in un mercato che vede il consumatore sempre più attore e protagonista delle sue scelte ma anche del successo di un marchio (Apple?) e di un prodotto (iPAD?). Spesso la relazione viene intesa e applicata dalle aziende nella logica tradizionale del marketing e quello che dovrebbe essere il fine, la relazione, diventa semplicemente un mezzo per guadagnarsi la fedeltà del cliente. Questa logica tradizionale continua a vedere il consumatore come una controparte ed impedisce di comprendere fino in fondo il ruolo attivo che vuole avere nella relazione e cosa bisogna fare per alimentarla o rianimarla.
Sfugge così ad esempio il paradosso attuale che vede molti consumatori ribellarsi alle troppe iniziative di attenzione nei suoi confronti e reagire con dispetto all’insistenza con cui vengono utilizzate ( uso eccessivo del call center per indagini, ricerche di mercato, profilazioni, aggiornamento database, ecc.). Sfugge di conseguenza il fatto che il ricorso ai molti strumenti relazionali che la tecnologia mette a disposizione ( call center, CRM, permission marketing, database marketing ecc.) finisce per penalizzare ciò che serve realmente, e cioè avere occhi, orecchie e disponibilità al dialogo. L’interlocutore deve essere aperto e disponibile alla relazione e deve essere ammessa l’opzione di un suo rifiuto alla stessa (permission relationship).
L’esempio classico è quello di un ascensore che ringrazia il suo utilizzatore ogni qualvolta ne faccia uso o delle frequenti chiamate dei provider telefonici che offrono servizi promozionali o speciali a quelli che loro identificano come clienti fedeli. Nella realtà attuale, dopo anni di strategie di focalizzazione sul cliente da parte delle aziende ( più teorica che prassi effettiva ), quasi l’80% dei consumatori si dichiara disinteressato a sviluppare relazioni strette con un marchio da loro scelto. E’ come se il cliente/consumatore avesse realizzato che la relazione a cui molti marchi puntano è fatta di pura seduzione ma di scarso valore reale e significati concreti quando si manifestano bisogni e/o nuove necessità. Fondamentale conoscere profilo, propensioni, comportamenti ma ancora più essenziale saper dare risposte rapide e concrete ogni qualvolta si manifesti un bisogno da soddisfare.
Ne consegue che, come in politica il voto non è più garantito per nessun partito, anche sul mercato la fedeltà ad un marchio, fornitore non è più certa per nessuno. L’azienda deve operare per costruire relazioni persistenti nel tempo e farlo attivando un vero dialogo capace di mostrare un’attitudine e una coerenza relazionale. Solo il dialogo permetterà di comprendere che per salvare la relazione può essere meglio, in certe situazioni, ridurre la carica relazionale di alcune iniziative marketing e/o comunicazionali.
Si passerà così da una relazione ipocrita ad una empatica con benefici condivisi per tutti coloro che vi partecipano.